Forse Roberto Esposito ha avuto un po' troppo fretta nel compiacersi (Il made in Italy della filosofia, «la Repubblica», 24 febbraio) della fortuna che da qualche tempo vanno mietendo in America l'Italian Theory — cioè l'opera di alcuni noti filosofi italiani: da Agamben, a Negri a Tronti, e non da ultimo allo stesso Esposito — e in qualche modo, per loro tramite, la tradizione intellettuale italiana.
mercoledì 29 febbraio 2012
CAPITALISMO COME RELIGIONE. AGAMBEN G., Se la feroce religione del denaro divora il futuro, LA REPUBBLICA, 16 febbraio 2012
Per capire che cosa significa la parola "futuro", bisogna prima capire che cosa significa un´altra parola, che non siamo più abituati a usare se non nella sfera religiosa: la parola "fede". Senza fede o fiducia, non è possibile futuro, c´è futuro solo se possiamo sperare o credere in qualcosa. Già, ma che cos´è la fede? David Flüsser, un grande studioso di scienza delle religioni – esiste anche una disciplina con questo strano nome – stava appunto lavorando sulla parola pistis, che è il termine greco che Gesù e gli apostoli usavano per "fede".
CAPITALISMO COME RELIGIONE. RISPOSTA AD AGAMBEN.VITIELLO G. E' arrivato lo stregone, IL FOGLIO, 20 febbraio 2012
Se solo ci fossero gli abati di una volta! Heinrich Heine non dimenticò mai le botte che si buscò dal suo istruttore di francese, l’abate d’Aulnoi. Per sei volte questi gli aveva domandato: “Henri, come si dice fede in francese?”. E per sei volte, sempre più vicino al pianto, il giovane Heine aveva risposto: “Si dice le crédit”. D’imprimergli nella mente con le buone una paroletta semplice semplice come foi proprio non c’era verso. Fosse vivo oggi, l’abate d’Aulnoi darebbe una bella tirata d’orecchi a Giorgio Agamben, che giovedì su Repubblica ha eretto un castello di carte speculativo sullo stesso equivoco per cui Heine si beccò quegli sganassoni di gioventù.
CAPITALISMO COME RELIGIONE. ESPOSITO R., La mistica del capitalismo, LA REPUBBLICA, 6 dicembre 2011
«Nel capitalismo può ravvisarsi una religione, vale a dire, il capitalismo serve essenzialmente alla soddisfazione delle medesime ansie, sofferenze, inquietudini, cui un tempo davano risposta le cosiddette religioni». Queste fulminanti parole di Walter Benjamin – tratte da un frammento del 1921, pubblicato adesso nei suoi Scritti politici, a cura di M. Palma e G. Pedullà per gli Editori Internazionali Riuniti – esprimono la situazione spirituale del nostro tempo meglio di interi trattati di macroeconomia.
CAPITALISMO E DECRESCITA. PASCALE A. , Gli egoisti della decrescita, IL CORRIERE DELLA SERA
Mi capita di ascoltare svariate volte la parola decrescita. È di gran moda, la usano un po’ tutti. Di recente, l’ho sentita pronunciare da Serena Dandini, Luca Mercalli, Carlo Petrini e dal mio scrittore preferito, Sandro Veronesi. E con sfumature particolari anche dai piccoli e medi imprenditori, quelli cioè che dovrebbero crescere. Marco Cassini della minimum fax: «Impegnarsi insieme, e reciprocamente, in una campagna di “decrescita felice”: produrre meno per produrre meglio».
CAPITALISMO E DECRESCITA. VERONESI S., Nessun egoismo, decrescere è sano, IL CORRIERE DELLA SERA
Caro Antonio Pascale, ho letto con attenzione il tuo articolo sulle parole-ameba (cioè quegli involucri verbali che, sostieni, «significano tutto e niente») comparso su queste pagine la settimana scorsa. Tu dici: «Il concetto di decrescita non trova spazio nei dipartimenti di economia, ma abbonda sulla bocca di quelli di noi che non hanno mai superato un esame di micro e macroeconomia». E io ti chiedo: perché dici questo? Vuoi forse suggerire che «quelli di noi» che lo menzionano non sanno di cosa stanno parlando? Non sai che fior di economisti (magari non nei dipartimenti universitari) stanno parlando di downshifting, decrescita e di riduzione da almeno tre decenni? E se le università non ne tengono conto, tu credi forse che abbiano ragione? Credi che in economia abbia valore solo quello che esce dai dipartimenti universitari?
domenica 26 febbraio 2012
CAPITALISMO IN CRISI. ZIZEK S., La rivolta della borghesia salariata: il nuovo proletariato, THE LONDON REVIEW OF BOOKS, 26 gennaio 2012
How did Bill Gates become the richest man in America? His wealth has nothing to do with Microsoft producing good software at lower prices than its competitors, or ‘exploiting’ its workers more successfully (Microsoft pays its intellectual workers a relatively high salary). Millions of people still buy Microsoft software because Microsoft has imposed itself as an almost universal standard, practically monopolising the field, as one embodiment of what Marx called the ‘general intellect’, by which he meant collective knowledge in all its forms, from science to practical knowhow. Gates effectively privatised part of the general intellect and became rich by appropriating the rent that followed.
CAPITALISMO ED ETICA. CAVALLETTI A., La biopolitica di Agamben nello specchio francescano IL MANIFESTO, 11 dicembre 2011
Qualcosa di inaudito, una nuova relazione tra norma e vita, una nuova “religio”: l’assoluto filosofico della regola francescana è al centro di “Altissima povertà”, il recente saggio di Giorgio Agamben edito da Neri Pozza
CAPITALISMO ED ETICA. DONI M., Il guadagno della rinuncia. Recensioni ad Agamben e Garelli, IL MANIFESTO, 4 dicembre 2011
Nell'ascesi monastica la lotta contro quell'accidia che permea il nostro presente. «Altissima povertà» di Giorgio Agamben e «Religione all'italiana» del sociologo Franco Garelli Declinata la pratica della confessione, resta un sacramento ribattezzato con il nome di «riconciliazione» Reagire al cinismo immobile, a una tonalità emotiva priva di fiducia, è l'impegno che caratterizza gli uomini «di buona volontà»
CAPITALISMO ED ETICA. COLLOQUIO FRA SYLOS LABINI E GRANDE STEVENS, LA REPUBBLICA, 11 settembre 2002
Nel nostro paese molti intellettuali pensano che morale ed economia rappresentino due categorie separate, spesso addirittura contrapposte, e che la stessa considerazione valga per i rapporti fra etica e politica. Qual è il vostro giudizio?
CAPITALISMO IN CRISI. OSTELLINO P., Cambiare senza tagliare le teste, IL CORRIERE DELLA SERA, 20 febbraio 2012
La grande avventura del capitalismo, e del mercato - e il dibattito che, di volta in volta, si accende su di essi - si sviluppa tutto intorno a un problema filosofico. Di Teoria della conoscenza. Parliamo volentieri di «crisi del capitalismo e del mercato» e non ci accorgiamo che in crisi è la metodologia della conoscenza cui ci affidiamo; fragile è la nostra capacità di capire. Il crinale lungo il quale procede lo sviluppo capitalistico, e si muove il mercato, è quello della «conoscenza relativa» delle preferenze soggettive di milioni di individui.
CAPITALISMO IN CRISI. BATTISTON G., Il mondo di Beck. Intervista con il sociologo tedesco U. Beck, IL MANIFESTO, 1 maggio 2010
Quello di Ulrich Beck è un vero corpo a corpo con la società. Praticato con quella riflessività che secondo questo studioso tedesco costituisce la cifra peculiare della seconda modernità. È proprio grazie a uno sguardo critico sull'immaturità storica della sociologia, ancorata all'«insularità seduttiva della coscienza nazionale», che l'autore de La società del rischio ha potuto incrinare l'orizzonte normativo della sociologia novecentesca, sostituendo al nazionalismo metodologico un immaginario inclusivo e ambivalente. L'unico con cui sia possibile fare i conti col presente e immaginare alternative all'architettura nazionale della politica e della democrazia.
CAPITALISMO E CRISI ATTUALE. TAINO D., Tremonti: allarme per l'Europa. Democrazia minacciata dallo strapotere della finanza, IL CORRIERE DELLA SERA, 25 gennaio 2012
Siamo in periodi di pronunciamientos, dice Giulio Tremonti. Giorni pericolosi per la democrazia, soprattutto in Europa: non minacciata da generali e colonnelli ma dai banchieri e dai loro tecnici. «Una volta il pronunciamiento lo facevano i militari - scrive nel suo libro in libreria da oggi, Uscita di sicurezza -. Occupavano la radio-tv, imponevano il coprifuoco di notte eccetera. Oggi, in versione postmoderna, lo si fa con l'argomento della tenuta sistemica dell'euro, con il connesso capo d'accusa spiccabile contro un Paese di fare fallire per sua specifica colpa l'intero eurosistema, come se questo da solo e per suo conto fosse invece davvero stabile (!); lo si fa condizionando e commissariando governi e parlamenti; sperimentando la cosiddetta nuova governance europea "rafforzata". Ed è la finanza a farlo, il pronunciamiento , imponendo il proprio governo, fatto quasi sempre da gente con la sua stessa uniforme, da tecnocrati apostoli cultori delle loro utopie, convinti ancora del dogma monetarista; ingegneri applicati all'economia, come era nel Politburo prima del crollo; replicanti totalitaristi alla Saint-Simon».
Il primo capitolo del libro si scarica dal sito seguente:
http://www.giuliotremonti.it/uscita-di-sicurezza/il-libro.html
Il primo capitolo del libro si scarica dal sito seguente:
http://www.giuliotremonti.it/uscita-di-sicurezza/il-libro.html
CAPITALISMO E STATI. The rise of state capitalism, THE ECONOMIST, 21 gennaio 2012
OVER the past 15 years striking corporate headquarters have transformed the great cities of the emerging world. China Central Television’s building resembles a giant alien marching across Beijing’s skyline; the 88-storey Petronas Towers, home to Malaysia’s oil company, soar above Kuala Lumpur; the gleaming office of VTB, a banking powerhouse, sits at the heart of Moscow’s new financial district. These are all monuments to the rise of a new kind of hybrid corporation, backed by the state but behaving like a private-sector multinational.
CAPITALISMO E STATO. TAINO D., Neo-statalista, rigido, legato al potere. Il capitalismo ha mutato anima? IL CORRIERE DELLA SERA, 23 gennaio 2012
Non ha mai avuto una faccia tanto brutta e incattivita come oggi, il capitalismo. In pochi anni, è invecchiato e si è irrigidito. Un tempo sollevava speranze, oggi non attrae più e qualche volta repelle. Non è che sia in crisi. È che è così potente da essere insopportabile. Vittima del suo stesso successo, dilagante dopo il crollo del socialismo reale, è diventato il contrario di ciò che ha sempre predicato: invece di liberare forze, come spesso nella storia ha fatto, oggi tende a schiacciarle, a limitare lo sviluppo del nuovo oppure a mangiarselo subito. La crisi finanziaria esplosa nell'autunno del 2008 è stata probabilmente la porta che lo ha introdotto in una sua fase nuova, quella della distruzione, invece che della creazione, della ricchezza.
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