martedì 30 settembre 2014

GOVERNO RENZI E JOBS ACT. L. SALVIA, Jobs act, cosa cambia (davvero), CORRIERE DELLA SERA, 30 settembre 2014

Una mediazione interna al partito, e un passo indietro rispetto alle intenzioni. La mossa di Matteo Renzi ridurrebbe parecchio il peso della modifica all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori da inserire nel Jobs act. Si tratta di un disegno di legge delega, che dovrà essere approvato da Camera e Senato e poi essere attuato con una serie di decreti legislativi e quindi le incertezze sono ancora molte. Ieri però Renzi ha fornito un dettaglio su come vuole cambiare la disciplina dei licenziamenti. 


Di fatto l’unica differenza rispetto ad oggi sarebbe l’eliminazione del reintegro nel posto di lavoro da parte del giudice per i licenziamenti economici che sono manifestamente infondati. Tolti i licenziamenti discriminatori, vietati dai principi costituzionali, la riforma del governo Monti ha modificato i licenziamenti disciplinari e quelli economici. Sui primi, conseguenza di un comportamento del dipendente, il giudice può sanzionare l’azienda con un risarcimento fino a 24 mensilità ma anche con il reintegro, se il fatto non sussiste o se il lavoratore poteva essere «punito» dall’azienda in un altro modo. Renzi ha detto ieri di non voler modificare nemmeno questo punto. Restano i licenziamenti economici, quelli decisi ad esempio quando una nuova tecnica o le vendite in calo spingono l’azienda a ridurre gli addetti. In questo caso, secondo le regole attuali, il giudice può condannare l’azienda a pagare al lavoratore fino a 24 mensilità mentre il reintegro è possibile solo quando i motivi economici sono «manifestamente infondati». Secondo la mediazione di Renzi il Jobs act eliminerebbe il reintegro solo in quest’ultima ipotesi. Le aziende in difficoltà potrebbero «pagare» per mandar via il lavoratore senza rischiare il reintegro. Con un’incognita però. Davanti al giudice, il lavoratore potrebbe sempre dimostrare che si è trattato di un licenziamento se non discriminatorio almeno disciplinare e tentare così la strada del reintegro. Proprio per questo la stessa ipotesi era stata presa in considerazione due anni fa dal governo Monti. E poi scartata.
1. Contratti
Fino a tre anni di prova prima dell’assunzione. Al posto dei diversi tipi di contratto oggi possibili il Jobs act prevede l’introduzione del contratto a «tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio». Cosa vuol dire? Nel disegno di legge delega viene indicato solo il principio, e la formula è compatibile con due soluzioni molto diverse fra loro. La prima prevede un lungo periodo di prova, che può durare da tre a sei anni a seconda delle ipotesi, durante il quale il licenziamento è sempre possibile per poi passare ad un periodo di stabilità secondo le regole dell’articolo 18 come verrà riscritto. La seconda ipotesi, sostenuta da Ncd, consente invece il licenziamento sempre ma con un indennizzo crescente con l’anzianità di servizio. Il nuovo contatto sarebbe utilizzabile solo per le nuove assunzioni.
2. Licenziamenti
Indennizzo o rientro, la scelta del giudice. L’articolo 18 dello statuto dei lavoratori regola i licenziamenti per le aziende che hanno più di 15 dipendenti. L’ultima modifica è di due anni fa, targata governo Monti. Il licenziamento discriminatorio, per motivi politici o religiosi, è nullo. Questa tipologia non è stata toccata dalla riforma del governo Monti e in realtà non può essere materia di trattativa, perché vietato dai principi della Costituzione. Il licenziamento disciplinare, motivato dal comportamento del lavoratore, può portare al reintegro nel posto se così stabilito dal giudice. Quello economico, che riguarda l’attività produttiva o l’organizzazione del lavoro, può portare ad un indennizzo fino ad un massimo di 24 mensilità ma può scattare anche il reintegro se il giudice accerta che la motivazione economica era manifestamente infondata.
3. Ammortizzatori
Ai disoccupati sussidi legati ai contributi. Nella riforma si prevede una riscrittura anche delle regole per gli ammortizzatori sociali, gli interventi messi in campo dallo Stato per aiutare chi perde il posto di lavoro. L’obiettivo è rendere più stringenti i requisiti di accesso ed estendere la rete di sicurezza a circa 12 milioni di lavoratori. Un po’ come avviene oggi con la pensione, anche il sussidio di disoccupazione diventerebbe proporzionale all’anzianità contributiva. Nella legge di Stabilità ci dovrebbe essere uno stanziamento di 1,5 miliardi di euro. Una somma con ogni probabilità insufficiente per un intervento del genere che però potrebbe essere finanziato in parte dagli stessi lavoratori, con un aumento dei contributi, oppure con un finanziamento successivo nel corso dell’anno, come avviene già oggi per la cassa integrazione.
4. Organizzazione
Il cambio di mansioni e i controlli a distanza. Il Jobs act apre la strada al cosiddetto demansionamento, cioè all’assegnazione al lavoratore di compiti di livello più basso rispetto a quelli svolti in precedenza. Anche in questo caso il ddl delega resta sulla linee generali parlando solo di revisione della disciplina delle mansioni, e di cambi che devono avvenire nell’interesse del lavoratore. Ma per i sindacati il campanello d’allarme è già suonato. Il Jobs act potenzia anche i voucher, i buoni lavoro per le prestazioni occasionali, suggerendo l’eliminazione del tetto di 5 mila euro l’anno a lavoratore previsto finora. E anche il telelavoro, con una revisione della disciplina dei controlli a distanza che apre alle nuove tecnologie per la sorveglianza dei dipendenti, a patto che sia tutelata la dignità e la riservatezza.

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