venerdì 10 gennaio 2014

TEORIE ECONOMICHE. M. HALBWACS, Rappresentazioni ad alta intensità emotiva, IL MANIFESTO, 9 gennaio 2014

Finora inedito in Italia, il testo qui presentato contesta la centralità dell’economia nella formazione delle classi, privilegiando invece le «credenze» e i «costumi». Studioso noto per le sue opere sulla memoria storica affronta un tema che continua a dividere. Nel capitalismo, la richiesta monetaria è insufficiente a spiegare il conflitto politico di classe



Uno dei tratti più inte­res­santi dei lavori degli eco­no­mi­sti tede­schi in que­sti ultimi anni, è l’importanza che attri­bui­scono al pro­blema scien­ti­fico delle classi. Cos’è una classe sociale? Come, in virtù di quale cri­te­rio, distin­guere delle classi in un gruppo sociale così esteso come una nazione? Quale spe­cie di realtà deve essere posta a fon­da­mento di que­sta nozione un po’ vaga? Su que­sti punti, Sch­mol­ler, Bücher e Som­bart hanno teo­rie dif­fe­renti; l’utilità di una cri­tica di tali teo­rie con­si­ste, soprat­tutto, nel farci cono­scere meglio cosa si debba inten­dere per socio­lo­gia economica.



Oggetti da scoprire

Sulla posi­zione stessa di que­sti pro­blemi, si può dire che gli eco­no­mi­sti citati ci gra­ti­fi­cano sem­pre. Senza dub­bio essi sanno, e ce lo lasciano inten­dere, che l’oggetto di stu­dio è, nello spe­ci­fico, una rap­pre­sen­ta­zione col­let­tiva. Sch­mol­ler la defi­ni­sce pre­ci­sa­mente un «cir­colo di coscienza». Quindi, dovreb­bero distin­guere tre aspetti del pro­blema: 1) Qual è il con­te­nuto di que­sta rap­pre­sen­ta­zione, quali ele­menti vi si riu­ni­scono e seguendo quale piano di orga­niz­za­zione? 2) Da dove viene l’intensità più o meno grande che essa pos­siede, e seguendo quale legge que­sta inten­sità varia? 3) Come si spiega il suo oggetto este­riore, la sua realtà, la sua evo­lu­zione e la sua per­si­stenza? Di que­ste domande la prima, sicu­ra­mente, appar­tiene alla psi­co­lo­gia. Senza dub­bio il metodo di Bücher, sem­pre alla ricerca di serie da iso­lare per l’analisi scien­ti­fica, lo spinge a ten­tare due ordini di ricer­che: da un lato, come certe forme della pro­du­zione, facendo entrare in rela­zione i lavo­ra­tori, fac­ciano loro pren­dere coscienza<CW-20> del gruppo sociale che essi for­mano pro­gres­si­va­mente (secondo aspetto) e dall’altro, come la ric­chezza, la sua ine­guale distri­bu­zione, sia la causa dell’esistenza delle classi sociali (terzo aspetto). Que­sta spie­ga­zione delle classi, però, può sem­brare par­ziale, in più dimen­tica la dimen­sione psi­co­lo­gica del pro­blema, oppure, se la intra­vede, non la distin­gue affatto dal pro­blema della genesi effet­tiva delle classi. Sch­mol­ler e Som­bart si sono pre­oc­cu­pati più di fare sin­tesi che distin­zioni: la sto­ria e la psi­co­lo­gia si mischiano a con­si­de­ra­zioni bio­lo­gi­che (Sch­mol­ler) o dia­let­ti­che (Som­bart). I punti di vista appena citati non sono affatto separati. (…)
È la seconda domanda – «Da dove viene l’intensità più o meno grande che la rap­pre­sen­ta­zione delle classi pos­siede in un gruppo e seguendo quale legge que­sta inten­sità varia?» – a for­nire, seb­bene gli eco­no­mi­sti tede­schi non se ne siano occu­pati troppo seria­mente, rispetto al pro­blema delle classi, il punto di vista più socio­lo­gico in cui col­lo­carsi. Delle tre domande, a dire vero, è la sola che rilevi inte­resse per la sociologia (…)
Defi­niamo l’organizzazione come un carat­tere ogget­tivo in cui si rivela l’esistenza di una coscienza col­let­tiva. Le cor­po­ra­zioni del Medioevo, le Tra­des Unions in Inghil­terra, cor­ri­spon­dono bene a delle classi defi­nite, tut­ta­via, que­ste forme non sono com­parse che molto tardi in que­ste stesse classi, e in più, non tutte le classi si orga­niz­zano. Si vede, d’altronde, come l’organizzazione di un gruppo indi­chi un avvi­ci­na­mento più stretto di tutte le sue parti, di con­se­guenza, una coscienza col­let­tiva più forte. L’organizzazione, dun­que, sarebbe il segno e il risul­tato di una rap­pre­sen­ta­zione sociale intensa.
Quand’è che vediamo appa­rire que­ste orga­niz­za­zioni? Quando la rap­pre­sen­ta­zione di classe diviene intensa? Si potrebbe pen­sare che ciò accada quando i mem­bri di una classe si sen­tono il più lon­tano pos­si­bile dagli altri uomini a causa della loro vita e della loro potenza mone­ta­ria, quando lo scarto tra le classi è il più grande pos­si­bile. Nei due esempi appena citati, non è così. Gli arti­giani del Medioevo non danno ai loro mestieri la forma cor­po­ra­tiva se non quando si sen­tono minac­ciati dalla con­cor­renza di nume­rosi lavo­ra­tori a gior­nata e da quella degli stra­nieri; sarebbe a dire, quando tra di essi e i con­ta­dini si svi­luppa una nuova classe, i cui mem­bri sono troppo simili e pres­so­ché uguali. Gli ope­rai qua­li­fi­cati non costi­tui­scono delle Tra­des Unions se non quando le loro atti­tu­dini spe­ciali e i loro alti salari li ren­dono così forti da poter trat­tare con i loro padroni su di un piano di egua­glianza. I due casi non sono simili e tanto meno lo sono le due forme di orga­niz­za­zione: qui una classe infe­riore lotta con­tro una supe­riore, e lì le cose vanno al con­tra­rio: ma sem­pre il fatto dell’organizzazione cor­ri­sponde a una dif­fe­renza minore tra le classi.

Un pro­blema di forza

Affin­ché una classe supe­riore si orga­nizzi con­tro una infe­riore, biso­gna che ne senta il biso­gno, e per­ché una classe infe­riore si orga­nizzi con­tro una supe­riore, biso­gna che essa ne abbia la forza. Ora, si capi­sce bene che una classe minac­ciata o inco­rag­giata spe­ri­menti l’utilità di riu­nire le sue forze e di deter­mi­nare l’estensione dei suoi diritti, ma si vor­rebbe sapere cosa signi­fi­chi allora l’intensità accre­sciuta della rap­pre­sen­ta­zione di classe. Ciò che accade in que­sto momento al primo livello della coscienza col­let­tiva, non è la nozione delle dif­fe­renze inde­bo­lite tra que­sta classe e le altre, ma, piut­to­sto, quella dei rap­porti tra i suoi mem­bri e, soprat­tutto, della loro iden­tità di inte­ressi, e del loro fine comune. Que­sta rap­pre­sen­ta­zione è molto chiara, cor­ri­sponde a delle rela­zioni create dagli uomini stessi tra di loro: i mem­bri della classe vi ritro­ve­ranno ciò che ci hanno messo. Si potrebbe chie­dere se, diven­tando più siste­ma­tica e più netta, essa non si sia impo­ve­rita, svuo­tata di una gran parte del suo con­te­nuto concreto.
Lo scarto con­si­de­re­vole tra due classi, se si fa scom­pa­rire l’utilità di una orga­niz­za­zione interna, con­serva senza dub­bio tutta la sua ric­chezza e la sua ori­gi­na­lità rispetto al senso della dif­fe­renza delle situa­zioni. L’esempio più tipico, da que­sto punto di vista, è quello della schia­vitù ovun­que lo si incon­tri. Distin­guiamo lo schiavo dome­stico, che vive nella fami­glia come uno dei suoi mem­bri e la cui situa­zione di dipen­denza è molto vicina alla con­di­zione vile delle donne e all’assoggettamento dei bam­bini; e il gruppo asser­vito impie­gato nelle pian­ta­gioni e nelle miniere, trat­tato più dura­mente. Fac­ciamo rife­ri­mento a que­sti ultimi che, soli, svi­lup­pano una coscienza sociale vera.
Quali dati devono entrare in que­sta rap­pre­sen­ta­zione di classe? I rap­porti eco­no­mici pas­sano in secondo piano, poi­ché lo schiavo non vende il suo lavoro o la sua forza lavoro attra­verso un libero con­tratto, almeno in teo­ria: giu­ri­di­ca­mente è pro­prietà del padrone che ha su di lui tutti i diritti. (…) Al con­tra­rio, ciò che soprat­tutto deve essere evi­dente al gruppo, è il fatto della sua infe­rio­rità sociale, tanto nel caso in cui le sia stata tra­smessa da ascen­denti già schiavi, quanto in quello che le deriva dal fare parte di popolo asser­vito dagli attuali padroni: que­sta rap­pre­sen­ta­zione si con­fonde spesso con quella dell’ineguaglianza delle razze, e le si ricol­lega sem­pre. Ora, que­sta ine­gua­glianza ha come carat­te­ri­sti­che, in oppo­si­zione a quella che si fonda sulla situa­zione eco­no­mica, di essere allo stesso tempo molto sta­bile e dif­fi­cile da spie­gare, ma da ciò si può dire che essa com­prenda una quan­tità di ele­menti: le dif­fe­renze dura­ture di con­di­zioni por­tano, in effetti, ogni sorta di abi­tu­dini o di maniere d’essere dif­fe­renti che hanno il tempo di fis­sarsi; e que­sta igno­ranza delle cause fa che si attri­bui­sca alla supe­rio­rità o all’inferiorità del gruppo una esi­stenza in qual­che modo sostan­ziale. La rap­pre­sen­ta­zione di classe in un gruppo di que­sto tipo trae, dun­que, la sua ric­chezza da ciò che non si lascia com­pren­dere nei ter­mini di rap­porti astratti e intel­le­gi­bili, ma risiede su di un fondo di cre­denze e di costumi.

Oltre le costrizioni

Il ter­mine inten­sità, appli­cato alla rap­pre­sen­ta­zione di classe si pre­sta ad equi­voci poi­ché lo si può inten­dere sia come la forza del sen­ti­mento dello scarto tra le classi, sia come l’alto grado di chia­rezza della loro coscienza organica.(…)
In ogni caso, sotto i suoi due aspetti, la coscienza di classe resta, dun­que, un fatto sociale e si risolve in un insieme di costri­zioni eser­ci­tate sui suoi mem­bri. Fin quando non c’è orga­niz­za­zione, ma grande scarto tra le classi, l’origine di que­sta costri­zione è fuori del gruppo, nel gruppo vicino, supe­riore o infe­riore; quando que­sto grande scarto non c’è, ma c’è orga­niz­za­zione, la costri­zione è nel gruppo stesso, la classe, orga­niz­zan­dosi, impone sem­pre più la sua auto­rità ai suoi mem­bri. Si vede, dun­que, che il ter­mine inten­sità si rivolge nei due casi al suo signi­fi­cato sociale: è sem­pre l’intensità della rap­pre­sen­ta­zione di una costri­zione: ma ci sono due spe­cie di costri­zioni, ed è per que­sta ragione che la coscienza di classe può dirsi intensa in due sensi differenti.

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