lunedì 13 gennaio 2014

SOCIOLOGIA DEL LAVORO. A. R. CILLIS, "La strada della rinascita? Fare di un hobby il proprio lavoro". Intervista con D. De Masi, LA REPUBBLICA, 10 gennaio 2014

Per il sociologo Domenico De Masi il futuro sta nel trasformare le proprie inclinazioni in un mestiere vero e proprio. Un'ipotesi che porta avanti da trent'anni e che in questo momento storico, sostiene, è una soluzione possibile per sopravvivere alla crisi. E aggiunge: "Bisogna lavorare tutti meno, guadagnare meno ma lavorare tutti".



ROMA - Domenico De Masi sorride in modo lieve, quasi impercettibile mentre dice che "il futuro è già arrivato, basta guardarsi intorno: sono scomparsi o presto lo saranno, moltissimi lavori. L'iPad, ad esempio, si mangerà tra pochi anni mestieri come quello di giornalaio a meno ché chi vende riviste non si metta a commercializzare anche dell'altro".
Del resto lui, sociologo del lavoro prima di tutto, poi professore universitario e molto altro, non ha cambiato idea negli anni: "Non mi stupisce che tante persone che hanno perso il lavoro cerchino nei propri hobby una via d'uscita, una rinascita occupazionale". Pondera i termini De Masi, con simpatia, acutezza e assoluta lucidità mentre aggiunge: "L'unica soluzione è di trovare un lavoro o di ritrovarlo il più vicino possibile alle proprie inclinazioni". In un suo testo uscito agli inizi degli anni Duemila (Il futuro del lavoro, Rizzoli editore, ristampato più volte), il sociologo ipotizzava questa via. Per De Masi, nella società post-industriale, "l'altro", il tempo libero, sarebbe diventato importante quanto il lavoro stesso trasformando il concetto di impiego in modo irreversibile.
De Masi, se il futuro è già arrivato e di lavoro ce n'è sempre meno, ora che succede?
"Vede noi abbiamo un difetto di base, parliamo sempre di lavoro per dire le cose più diverse: il giornalista, il metalmeccanico, il poeta, il minatore lavorano... il problema è che usiamo una sola parola per dire cose diversissime tra loro e questo crea confusione".
Creerà confusione ma il problema resta.
"Certo ma prima bisogna chiarirsi le idee".
Ovvero?
"Bisogna iniziare a capire che esistono due tipi di lavoro: quello esecutivo e quello creativo. Il primo può essere ridotto: dieci persone che lavorano otto ore possono trasformarsi in venti che lo fanno per quattro, ad esempio. Ma il lavoro creativo non si può ridurre anche perché serviranno più idee".
Parla di ridistribuzione del lavoro e quindi del reddito?
"Sì perché a parte poche isole felici nel mondo, tutto il resto vive una profondissima crisi. Ora bisogna trovare mestieri il più creativi possibile e le attività creative, per eccellenza, sono gli hobby. Ridurre il lavoro e farne uno il più vicino possibile al proprio hobby: sono trent'anni che scrivo questo e non è stato mai preso in considerazione e la disoccupazione è aumentata sempre, ci sono migliaia di persone infelici sul lavoro. Attenzione però, hobby non significa pigrizia, al contrario, si fatica ma con gioia".
E l'Italia è pronta a questa svolta?
"Il nostro Paese sta cambiando moltissimo, non eravamo abituati a una trasformazione così rapida come sta accadendo con le nuove tecnologie. L'iPad servirà a leggere tutti i giornali, i lettori elettronici ad acquistare libri. Pensiamo poi ai bancomat. Trentacinque operai bastano a produrne centinaia e questo cancella migliaia di cassieri di banca. Anche se le evoluzioni per dirsi complete impiegano decenni: per abituarsi all'elettricità il mondo occidentale ci ha impiegato 70 anni".
Ma trovare un nuovo lavoro, dopo essere stati licenziati è possibile?
"Nessuno ha la sfera di cristallo ma sono convinto di una cosa, noi essere umani siamo divisi in due tipologie: quelli che hanno propensione enorme alla curiosità e quelli che al contrario hanno una totale avversione alla novità".
Chi emerge?
"I primi perché si ridurranno sempre di più i lavori esecutivi e cresceranno sempre di più quelli creativi che hanno bisogno di curiosità e libertà d'azione. E poi c'è un'altra considerazione: bisogna lavorare tutti meno, guadagnare meno ma lavorare tutti".
Ne è sicuro?
"Assolutamente sì, i governi in Italia le hanno provate tutte ma è sempre andata male: la legge Fornero o quella Biagi non risolvono i problemi. L'unica strada, mi creda, è quella". 

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