mercoledì 14 agosto 2013

IL LAVORO OGGI. IL LAVORO DEI POVERI: A CHIAMATA. ROBERTO CICCARELLI, I nuovi schiavi di Buckingham Palace, IL MANIFESTO, 13 agosto 2013

La principessa Diana ha conquistato l'amore universale finanziando l'assistenza a poveri, tossici e disoccupati. Oggi la sua fama è stata oscurata da un'inchiesta del Sunday People. Turning Point, una delle associazioni da lei prediletta, che nel 1985 elesse i figlioli William e Harry a regali protettori, questa estate ha licenziato 2.927 lavoratori per assumerne 351 con un «contratto a zero ore».


«Zero ore» significa che i lavoratori devono essere reperibili in ogni momento dall'azienda che deve soddisfare una commessa. Turning Point li usa per servire pranzo e cena alle mense dei poveri, per garantire l'assistenza ai tossicodipendenti o ai malati mentali e persuadere gli alcolisti a smetterla con la bottiglia. Chi accetta di lavorare a zero ore lo fa per poche settimane, seguite da pause lunghe, per poi tornare a lavorare. Senza riconoscimento della malattia, delle ferie, di un'assicurazione contro gli infortuni, insomma dei diritti fondamentali garantiti ai lavoratori dipendenti.

Il futuro è «on call»Il lavoro a zero ore riguarda un milione di persone in Inghilterra nel settore privato e in quello pubblico. Lo sostiene una ricerca del Chartered Institute of Personnel and Development (Cipd) che ha smentito l'ufficio nazionale di statistica secondo il quale gli iperprecari usa e getta inglesi sono «solo» 250 mila. Il governo Cameron non ne conosce la cifra esatta e si è impegnato ad accertarla.
I contratti a zero ore vengono utilizzati nella «nuova economia» da Amazon, nell'intrattenimento dalla catena Cinemaworld (l'80% dei 4500 impiegati), nei pub JD Wetherspoon, negli ipermercati del retail sportivo Sports Direct (20 mila precari a zero ore). Nello stesso modo si lavora nel servizio catering della Tate Gallery.
Anche a Buckingham Palace si usano contratti a zero ore. Nel palazzo della regina ci sono 350 part-time senza orario. Sono stati assunti questa estate, affiancano il personale assunto, guidano i turisti nella Disneyland reale. Lavorano nei negozietti dei gadget, fanno la guardia nelle stanze per evitare che un turista giapponese fotografi i bagni. Gli «zero ore» firmano un impegno a non lavorare per nessun altro durante la durata del contratto. La soddisfazione di lavorare per le altezze reali non ha prezzo, evidentemente.
Anche in Inghilterra la crisi si è fatta insostenibile. La Banca centrale inglese ha stabilito che non abbasserà i tassi d'interesse finché la disoccupazione non sarà scesa al di sotto del 7%. È una decisione importante: gli interessi sui mutui, così come quelli dei prestiti a un istituto di credito da parte della banca centrale, dipenderanno dal numero degli occupati. È l'ammissione che la capacità di consumo può rianimare il prodotto interno lordo. Per questo bisogna «fare massa» e conteggiare tra gli occupati anche il milione di «contratti zero»: con poche centinaia di euro in tasca anche loro potrebbero risollevare le sorti della nazione, investendo un gruzzoletto nel mutuo di una casa, ad esempio. Solo che i precari assunti per un pugno di settimane, o anche per qualche mese, non pagano i mutui e le banche non ci pensano nemmeno a concedergli un prestito.

La «bolla» dei disoccupatiÈ il meccanismo che ha portato all'esplosione della bolla dei mutui subprime negli Usa. Oggi si vuole che il tasso di disoccupazione si abbassi, ma si tengono bassi i salari. In questo modo i precari, che sono anche consumatori ma non possono acquistare e fare (nuovi) debiti, alimentano la recessione. Motore di questa commedia degli equivoci è nuovo proletariato giovanile - una parte  cospicua del quinto stato diffuso nell'industria dei servizi alla persona, del tempo libero, in quella finanziaria, nella logistica - che svolge un ruolo di protagonista involontario della crisi in Inghilterra, come in Italia.
Il contratto inglese a zero ore ha un analogo nella legge 30 (conosciuta come «Biagi») del 2003: il «lavoro a chiamata», figura tipica del diritto del lavoro anglosassone introdotta in Italia. Ma è marginale nel nostro mercato del lavoro. La parte del leone la fa il contratto a termine a breve o brevissimo termine (meno di un mese). Secondo l'Isfol, nel 2012 il 42,5% delle assunzioni dei giovani è avvenuta così.

Assunto all'italiana, cioè gratis
Il «contratto a termine» non è il «contratto a zero ore» inglese, anche se per qualche verso svolge lo stesso ruolo: risparmio su alcuni costi, contenimento dei salari, alta intercambiabilità dei prestatori d'opera. Come in Inghilterra, anche da noi il consumo del lavoro giovanile è contingentato, breve e brutale. Invece di arrestare questa deriva - su qualche tipologia Elsa Fornero aveva ristretto i margini di flessibilità - la si amplifica. Il governo Letta ha accorciato gli intervalli tra i rinnovi dei contratti a termine, soddisfacendo una richiesta delle imprese. Invece di abolire, o riformare, i 46 contratti precari esistenti, ne ha modificato uno in particolare: l'apprendistato.
Questo contratto, già non molto frequentato dalle imprese italiane, è stato snaturato dalla riforma Fornero: riguarda i ragazzi fino ai 29 anni, molti dei quali hanno già fatto stage o tirocini. Praticamente si resta «in formazione» a vita, un altro modo per occultare il precariato di massa. Il recente accordo sul lavoro all'Expo ha aggiunto un altro tassello al mosaico. Per i sei mesi della durata di questo «grande evento» verranno creati 640 apprendisti (regolati dal contratto nazionale dei servizi) e 195 stagisti. E si prevedono 18.500 «volontari».
Il lavoro gratuito è diffuso nel nostro paese, ma mai prima di oggi è stato «santificato» da imprese, sindacati e governo, Quirinale compreso. Una realtà inaccettabile persino in Inghilterra, dove almeno ci sono le «zero ore». In Italia no, perché si pensa che il lavoro gratuito sia un'esperienza «formativa» per i giovani che possono fare un'esperienza. Come al servizio civile. Magari all'Expo prenderanno contatti per l'ennesimo stage o incontreranno il principe azzurro. Nessuno pensa che siano anche loro dei lavoratori. Questo accordo sprigiona un paternalismo raccapricciante a cui i giovani non potranno sottrarsi. Perché non hanno alternative.
La rassegnazione dei sindacati ad accettare la precarietà (degli altri) come una realtà irreversibile, da regolamentare dov'è possibile con un contratto nazionale, è una tragedia. E lo è ancor più perché attesta una trasformazione impensabile fino a poco tempo fa: la precarietà riguarda un ristretto nucleo di apprendisti, mentre la stragrande maggioranza degli inoccupati lavorerà gratis o in nero. È improbabile che una popolazione di precari, divisa tra apprendisti e volontari, farà ripartire i consumi e tanto meno la crescita auspicata dal premier Letta.

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