domenica 13 gennaio 2013

RICCHEZZA, LAVORO ED ECONOMIA CAPITALISTICA. QUALE RELAZIONE? GIUSEPPINA GIUFFREDA, MItologia della ricchezza, IL MANIFESTO, 11 gennaio 2'13

Gli interessi economici e politici da soli non vanno lontano, hanno sempre bisogno di un immaginario che li accompagni. Ed è grazie a una mitologia diffusa ovunque negli ultimi trent'anni da pensatoi, università, mass media, mode e pubblicità che oggi si guarda ai super ricchi sempre più ricchi attraverso le fantasie della Scuola di Chicago: la ricchezza è il giusto compenso all'impresa che perseguendo i suoi fini, e non altro, produce benessere e libertà per tutti, e ogni critica viene da una sinistra che non vuole ammettere la sua sconfitta storica. Ripeti a lungo una bugia e alla fine diventa verità.



Cominciamo dall'inizio: da dove nasce tutta questa super ricchezza? Non parliamo infatti della giusta remunerazione agli imprenditori che fanno con onestà e creatività il loro mestiere o al banchiere che ricorda ancora i motivi per cui la banca è nata ma di quel pugno - l'1% denunciato dagli Indignados o il 20% dei rapporti internazionali - nelle cui mani è concentrata da tempo la ricchezza prodotta nel mondo. La chiacchiera prevalente la vuole frutto dell'ingegno e dell'impegno personale di umani talentuosi, che hanno idee innovative e rischiano del loro. Fosse vero. Abbiamo visto quanto hanno rischiato in proprio banchieri e operatori di Borsa nella crisi che stiamo vivendo. E quanto crescerebbero le imprese transnazionali senza lo sfruttamento ottocentesco dei lavoratori, le esternalità della produzione (per tutte l'inquinamento) mai evitate, non pagate e rovesciate sui cittadini, senza il sostegno dello Stato sotto forma di sussidi diretti e l'accesso gratuito, o quasi, alle risorse naturali, senza l'evasione fiscale e l'assenza di regole sulle operazioni finanziarie? Come nascono i super ricchi lo spiegano bene i Brics, i paesi emergenti osannati perché tirano la crescita economica mondiale. Il caso Russia è esemplare. Il 70% dei lavoratori ha salari da fame ma ci sono 20 miliardari russi tra i primi 150. All'origine delle fortune degli ormai noti oligarchi, spesso i figli spregiudicati della nomenklatura comunista già sperimentati negli affari poco puliti nelle pieghe del socialismo reale, c'è il furto delle proprietà pubbliche, dal gas al petrolio alle miniere, durante il periodo caotico del "passaggio al capitalismo", la terapia shock che lasciò la maggioranza dei russi senza reddito e con i prezzi dei beni quotidiani alle stelle. Sparì anche il prestito miliardario del Fondo Monetario. Era al potere Boris Eltsin, sostenuto dall'Occidente. Seconda domanda: quale beneficio reale i super ricchi portano al loro popolo o all'umanità intera? Prendiamo Carl Slim, miliardario magnate delle telecomunicazioni: anche con la crisi resta il più ricco del mondo ma al suo paese, il Messico, è arrivato ben poco. Resta l'inferno dei narcotrafficanti. Leggete "Il potere del cane", potente romanzo-documento di Don Winslow, e rabbrividite. Adam Smith sognava: la ricchezza non gocciola verso il basso e, abbaglio progressista, non è nemmeno la marea che alza tutte le imbarcazioni. Si accumula con l'appropriazione selvaggia del lavoro e delle risorse naturali, restituendo briciole.

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