venerdì 17 agosto 2012

EUROPA E BCE. GNESUTTA C., Un anno da Draghi al timone dell'euro, IL MANIFESTO, 3 agosto 2012

Un'analisi dei discorsi pubblici del superbanchiere italiano a un anno dall'insediamento. Dalla «fine del modello sociale europeo» all'irreversibilità dell'euro, fino ai richiami (solo ideali) a Federico Caffè
 
Claudio Gnesutta è docente ordinario di “Economia Politica” e “Politiche economiche e scenari macroeconomici”, presso la Facoltà di Economia dell’Università di Roma “La Sapienza
Negli ultimi 3 mesi l'euro ha registrato una discesa da 1,320 per dollaro a 1,220 segnalando il rafforzarsi delle voci sulle crescenti difficoltà di tenuta dell'eurozona. Venerdì della scorsa settimana il Presidente della Bce, Mario Draghi, ha con forza affermato che l'euro è irreversibile e la Banca è pronta a fare tutto il necessario per salvare la moneta unica. Nonostante il sostegno di Hollande e Merkel, all'inizio della settimana la Bundesbank, tramite il suo Presidente Jens Weidman, ha richiamato la Bce a non superare il suo mandato (finalizzandolo esclusivamente alla stabilità dei prezzi) anche perché un'unione politica in Europa non è pensabile nel futuro immediato. La posizione intransigente della Banca centrale tedesca, affiancata ora anche dal ministro dell'Economia tedesco, si è riflessa nelle decisioni del Consiglio Direttivo della Bce che ieri ha sostanzialmente rinviato nel tempo qualsiasi prospettiva di attivazione dei salvataggi Efsf e Esm. È un segnale che la visione di Draghi sul ruolo e sugli sviluppi dell'euro non è ancora accolta come egemone all'interno del blocco conservatore europeo.
Venerdì della scorsa settimana Draghi ha assunto una netta posizione in difesa dell'euro. Le sue affermazioni, in un momento in cui montavano i dubbi sulla sostenibilità dell'eurozona nell'attuale configurazione, sono apparse una novità importante quanto inaspettata. Fermo restando l'apprezzamento per i benefici che possono provenire dall'allentamento della pressione sui titoli pubblici spagnoli e italiani la vicenda si presta ad alcune considerazioni sul modo in cui - in un mondo ipermediatico la cui memoria è limitata a pochi mesi, se non settimane - viene data per nuova una linea della presidenza Draghi ripetutamente ribadita nella forma e nella sostanza in questo suo primo anno di presidenza. Non richiamare l'attenzione sul Draghi-pensiero complessivo, e quindi sul significato che questa rassicurazione ha per il futuro dell'area, significa non comprendere il senso dell'azione delle autorità monetarie europee per uscire dalla crisi. Non sottoporre a discussione questa dimensione del dibattito politico è una rinuncia a fornire quella essenziale informazione pubblica il cui furto è stato così efficacemente denunciato recentemente sulle pagine del manifesto.
Nel suo primo anno di presidenza alla Bce, Draghi non ha mancato di riconoscere che divergenze nello sviluppo economico tra i diversi paesi dell'eurozona è un fatto normale sia per le loro diverse condizioni iniziali, sia per le loro diverse politiche perseguite. Gli squilibri che ne sono seguiti sono spiegati dalla «insufficiente disciplina fiscale, dagli eccessi finanziari, dal fallimento delle riforme strutturali specialmente, ma non esclusivamente, sul lavoro, e sul deficit di competitività sui mercati».. Le difficoltà delle bilance dei pagamenti non sarebbero altro che la manifestazione degli squilibri macroeconomici strutturali per cui non ha senso, «abbandonando l'eurozona, svalutare la moneta, creare una grande inflazione per poi, alla fine di questa strada, dover intraprendere le stesse riforme che potevano essere fatte da una posizione migliore».
È anche esplicita la ricetta di politica economica: la stabilità dell'area va garantita attraverso politiche nazionali di riforma strutturale per favorire la crescita, centrate, come noto, sulla liberalizzazione del mercato dei prodotti, sulla rimozione degli impedimenti burocratici, sulla flessibilità del mercato del lavoro e su regole fiscali favorevoli alla crescita. Politiche nazionali che risultano rafforzate dai vincoli fiscali posti a livello europeo ("six pack", Semestre Europeo, Euro Plus Pact). Non c'è contraddizione tra austerità fiscale, crescita, competitività e creazione di occupazione; per quanto l'azione di consolidamento fiscale abbia inevitabili effetti recessivi nel breve periodo, è il miglioramento dei conti pubblici e le riforme strutturali ad essere l'unica via per rilanciare la crescita e l'occupazione nel lungo periodo. Lo dobbiamo fare per l'Europa perché l'Europa (delle politiche dell'offerta) ha deciso che questa è l'unica via.
La valutazione di Draghi è che si siano fatti notevoli passi avanti nella direzione della stabilità dell'area euro e quindi di una vera unione monetaria. La valutazione positiva riguarda anche la politica monetaria non solo per aver garantito l'obiettivo canonico della stabilità dei prezzi, ma soprattutto per essersi dimostrata una gestione intelligente e innovativa nel contrastare la difficile situazione di illiquidità in cui si sono venute a trovare le banche europee. L'impegno maggiore dell'azione monetaria della Bce è stato appunto rivolto al loro risanamento senza voler intervenire nelle scelte strategiche dell'utilizzo dei fondi resi loro disponibili. Ma anche a livello di politiche nazionali si sono registrati evidenti risultati positivi in termini di una ricercata maggiore solidità della finanza pubblica e di più incisive riforme strutturali per la crescita. Anche l'intervento a livello dell'Unione con la predisposizione e l'attuazione dell'Efsf si è mossa nella direzione di una struttura istituzionale dell'eurozona più rafforzata. È in questo contesto che viene posta l'esigenza del trasferimento della sovranità a un livello superiore. Altrettanto inevitabile è la creazione di una entità sovranazionale (un'unione politica, fiscale e finanziaria) poiché, in una realtà globalizzata, «è precisamente condividendo la sovranità che i paesi possono salvarsi».
Il risultato è un'eurozona dalla quale nessuno ha motivo di uscire e chi vi partecipa è inevitabilmente costretto a rispettare le regole di buon comportamento, come stanno dimostrando tutti i paesi in difficoltà economiche e finanziarie. È questa la prospettiva dell'euro che Draghi si è impegnato a difendere con tutti i mezzi a sua disposizione («L'euro è irrevocabile!)», una costruzione istituzionale che nella sua visione rappresenta il miglior meccanismo per un disciplinato funzionamento dell'economia (e della società) europea. Il confronto, ampiamente evidenziato dai media, con i forti bastioni del conservatorismo germanico arroccato intorno alla Bundesbank, appare allora come l'iniziativa urgente e necessaria per convincere una parte decisiva della dirigenza economica e politica europea che questa è la prospettiva egemonica intorno alla quale anch'essa dovrebbe convergere.
Nell'alternativa che la classe dirigente europea liberal-conservatrice si pone tra escludere dall'eurozona chi non ha i titoli per parteciparvi (e forse mai li avrà) e trattenere tutti al suo interno in quanto convinti nella forma e nella sostanza delle regole statuite, quest'ultima è la linea (alla quale sta aderendo la stessa Merkel, nonostante le difficoltà interne) che Draghi ritiene debba esser perseguita per il più rapido inserimento della società europea nell'economia globale.
Ma la società europea della visione di Draghi non è quella di una società impegnata nel dare una risposta condivisa alle necessità di protezione sociale universale, alla creazione di condizioni per una piena occupazione stabile e dignitosa, all'estensione universale dei diritti umani e civili. Su questo il suo pensiero è molto trasparente (e tranquillizzante per i conservatori europei) poiché non manca occasione per esplicitare la sua convinzione che «il vecchio modello sociale europeo è di fatto morto», essendosi esaurito a causa della «concorrenza crescente dei paesi emergenti, la riorganizzazione dei processi produttivi su base globale, la rapidità dell'innovazione, la crescente frammentarietà dei percorsi lavorativi sempre meno legati al riferimento di un "posto fisso", la maggiore instabilità dei nuclei familiari, l'abbassamento della fertilità, la flessione prospettica delle forze di lavoro, l'invecchiamento della popolazione», ed è quindi incompatibile con il processo di globalizzazione in atto che ha mutato significativamente la «configurazione dei rischi affrontati dagli individui nel corso della loro vita», senza peraltro argomentare perché i nuovi rischi debbano essere affrontati individualmente e non più attraverso forme di solidarietà sociale.
Si deve dare atto a Draghi di chiarezza sia nella gestione tecnica di breve periodo che nelle prospettive di lungo periodo di una realtà sociale che sta contribuendo a costruire e al cui compito non è stato eletto. Dal punto di vista personale è comprensibile il richiamo di gioventù al magistero di Federico Caffè così come la sua rivendicazione a «scoprire se stessi», secondo l'insegnamento del Maestro. Ma è proprio la libertà - teorica e morale - con la quale reinterpreta gli strumenti per intervenire sul processo sociale che rende difficile comprendere il richiamo al pensiero di Caffè e alla sua tensione ideale stante l'assenza di qualsiasi nozione di cittadinanza (europea) nella prospettiva che orienta la sua azione. Ancor più stridenti risultano a questo riguardo le ripetute affermazioni - del genere «There is not alternative» thathceriano - che costellano le sue interviste dove si ribadisce essere le regole dell'economia a dover dettar legge sui valori e le aspirazioni presenti nella società.
La chiarezza con la quale si esprime uno dei più importanti pilastri della politica economica europea - è, se ce ne fosse bisogno, un elemento che rafforza la consapevolezza del consolidarsi nella classe dirigente europea (e americana) di una soluzione in cui è inevitabile la subordinazione dei valori e dei bisogni sociali alle esigenze dell'efficienza economica. Il tentativo di aggregare le forze conservatrici attorno a questa prospettiva di lungo periodo non dovrebbe lasciare dubbi ai cittadini europei (italiani, degli altri paesi dell'eurozona e di quelli del resto dell'Unione) che il processo di riaggiustamento finanziario avviato e condotto sotto una simile guida non potrà che riprodurre una società ancor più ineguale di quanto lo è quella attuale. Per i cittadini europei ci dev'essere un'alternativa, ma dev'esserci anche una seria volontà di costruirla.
* Il testo integrale su www.sbilanciamoci.info

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