lunedì 13 agosto 2012

INDUSTRIE IN EUROPA ED INQUINAMENTO. GIOVANNINI R., Le fabbriche asfissianti che avvelenano l'Europa, LA STAMPA, 13 agosto 2012

Il rapporto Ue: l'inquinamento ci costa 169 miliardi di euro l'anno



 
 
Ci costa fino a 169 miliardi annui, a noi cittadini europei, l'inquinamento atmosferico prodotto dalle 10.000 industrie più «sporche» dell'Unione Europea. Lo spaventoso costo dell'inquinamento dell'aria prodotto dalle attività industriali - e scaricato, sotto forma di costi per la salute e per l'ambiente sulle tasche dei cittadini - è rivelato da un rapporto dello scorso novembre dell'Agenzia Europea dell'Ambiente. Per la precisione, a seconda delle metodologie adoperate per calcolare gli oneri che vengono esternalizzati dalle imprese sull'ambiente circostante (e sui sistemi pubblici e privati, che devono provvedere a fronteggiare le spese, ad esempio, per le malattie causate) le emissioni di agenti inquinanti nel 2009 pesavano tra i 102 e i 169 miliardi l'anno, ovvero dai 200 ai 330 euro a persona. Quel che colpisce di più è che ben il 50 per cento dei costi aggiuntivi (tra 51 e 85 miliardi) sono generati da soltanto 191 impianti. è il 2% del totale di quelli censiti, quelli più «sporchi» in assoluto. Il 75% del totale delle emissioni è prodotto da soli 622 siti industriali.

A guidare la classifica - che è calcolata sui dati del 2009 - sono le centrali termoelettriche, in particolare a carbone o a olio combustibile; il discutibile primato di industria più inquinante in assoluto d'Europa se lo aggiudica la famigerata centrale elettrica di Belchatow, in Polonia, una «bestia» alimentata a lignite (un carbone di particolare bassa qualità) da 5.000 Megawatt nei pressi della città di Lodz. Tra le prime venti però troviamo anche la centrale termoelettrica Enel Federico II di Brindisi, che da sola genera costi connessi ad inquinamento tra i 536 e i 707 milioni di euro l'anno. E al 52esimo posto c'è l'acciaieria Ilva di Taranto, che ci costa dai 283 ai 463 milioni l'anno.
Insomma, quando si valutano i benefici economici di un'attività industriale - i dipendenti, i profitti, la produzione, le imposte generate - sarebbe il caso forse anche di computare quei costi che «magicamente» quelle industrie riescono a non inserire nei propri bilanci. E a scaricare sull'ambiente o sul contribuente, che dovrà pagare di tasca sua i costi delle morti, delle malattie, o delle bonifiche da realizzare. Un po' quello che sta succedendo all'Ilva, dove - sempre che i forni non vengano spenti una volta per tutte - si utilizzeranno fondi pubblici per cercare di rendere meno pericolosa per l'ambiente e le popolazioni l'acciaieria ex Finsider.

Il rapporto dell'AEA utilizza gli ufficialissimi dati del registro europeo delle emissioni (E-PRTR) che registra 10.000 impianti industriali, e si basa su strumenti e metodi certificati. I dati, talvolta incompleti per colpa di dichiarazioni «parziali» - sono aggiornati al 2009. Sulla base di diverse metodologie statistiche - è per questa ragione che i costi evidenziati prevedono una «forchetta», tra un valore più basso e uno più elevato - i ricercatori hanno preso in esame il costo esternalizzato dalle emissioni di sostanze inquinanti nell'aria. Tra queste, oltre al CO2 (l'anidride carbonica, massima responsabile del riscaldamento globale dell'atmosfera), sono considerati tutti gli inquinanti atmosferici piu diffusi: NH3 (ammoniaca), NOx (ossidi di azoto), PM10 (poveri sottili), SO2 (anidride solforosa). Ma anche i composti organici volatili (benzene e butadiene), i metalli pesanti (arsenico, cadmio, cromo, piombo, mercurio e nichel), i microinquinanti organici (idrocarburi policiclici aromatici, diossine e furani). Le industrie esaminate sono quelle di produzione di energia, le raffinerie, tutti i processi produttivi e manufatturieri e alcune attività agricole.
Un'analisi complessiva mostra chiaramente che le emissioni delle grandi centrali elettriche sono quelle più costose, tra 66 e 112 miliardi. In secondo luogo, i paesi dove i costi ambientali «nascosti» sono in assoluto più elevati sono quelli a industrializzazione «storica»: nell'ordine, Germania, Polonia, Gran Bretagna, Francia e Italia. Per l'Italia si stimano costi aggiuntivi tra gli 8 e i 12,2 miliardi. Pesando però le emissioni rispetto alla grandezza delle economie (il Pil), in testa ci sono i paesi dell'ex Europa socialista: Bulgaria, Romania, Estonia, Polonia e Repubblica Ceca. Il paese più virtuoso in assoluto è la Lettonia.
Per quanto riguarda il nostro paese, le Regioni più «aggravate» dal costo dell'inquinamento sono Puglia e Sardegna. Non è un caso, perché proprio in queste Regioni durante il boom economico si pianificò un modello di sviluppo basato su grandi centrali elettriche e industrie pesanti. Ai tempi di proprietà delle partecipazioni statali, e oggi talvolta finite in mano a privati. Alle spalle della centrale Enel a carbone di Brindisi (18esima) e all'Ilva di Taranto (52esima), troviamo così al 69esimo posto le raffinerie Saras di Sarroch (in Sardegna, della famiglia Moratti); la centrale termoelettrica Eni di Taranto all'80esimo posto; la centrale termoelettrica E.on di Fiume Santo (Sassari), all'87esimo posto; l'impianto termoelettrico Enel di Fusina al 108esimo posto; la centrale di Vado Ligure di TirrenoPower al 118esimo posto. Seguono la centrale di San Filippo del Mela (128esimo posto), la raffineria Esso di Augusta in Sicilia (145esimo posto), quella Eni di Sannazzaro de' Burgondi (Pavia) al 148esimo posto.

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