lunedì 11 agosto 2014

SUD AMERICA ED ECONOMIA. G. SABA, L'altra America delle Silicon Valley è latina, LA LETTURA, 10 agosto 2014

La Casa de Cristal è un edificio storico nel cuore di Santiago, in Cile, a cui le modifiche architettoniche degli ultimi anni hanno conferito un aspetto schizofrenico: moderne strutture in vetro si sono aggiunte alla strutture neoclassiche. Il fatto è che la palazzina a pochi piani incastrata tra i giardini del quartiere commercial-residenziale di Providencia, ha cambiato destinazione. Negli anni Novanta era lo scenario di matrimoni dell’alta società, ma da qualche tempo è diventata un luogo di coworking stile Silicon Valley: molte realtà indipendenti sotto lo stesso tetto, molta voglia di innovazione.


Una di queste è Start-Up Chile: centinaia di nuove imprese che si sono avvicendate dal 2010 facendo guadagnare alla capitale la pole position nella classifica stilata dall’«Economist» e il titolo di Chilecon Valley. Più che le aziende in sé, a proiettare il Cile nel panorama tecnologico mondiale è stato il programma governativo che le ha lanciate, stanziando finanziamenti di 40 mila dollari per nuove imprese con «mentalità globale», disposte a lavorare nel Paese per almeno sei mesi.
Dunque, le Silicon Valley. Non c’è quasi Paese dell’America Latina che non abbia la sua, sia pure in versione a volte ultraridotta, o con progetti di crearne una, non importa che le aziende si trovino nello stesso luogo o siano sparse per la città. Alle origini del fenomeno c’è il successo dei talenti nelle facoltà di scienza e informatica, disegno e telecomunicazioni. «In gran parte delle metropoli latinoamericane si assiste a una concentrazione delle università di eccellenza ed è facile trovare in quel contesto giovani visionari e un ambiente stimolante per la collettività e l’imprenditorialità», spiega a «la Lettura» Pablo Albarracín Bermúdez, vicedirettore della rivista «AmericaEconomia». «In qualche caso intervengono anche i governi con finanziamenti di vario tipo».
Va da sé che le città intelligenti sono più frequenti nei giganti emersi o emergenti come Messico, Colombia e Brasile. In quest’ultimo Paese sono diversi a contendersi il titolo di locale Silicon Valley, anche se ultimamente sembra che l’appellativo tocchi a Campinas: città di un milione di abitanti a cento chilometri da San Paolo in cui le infrastrutture solide, l’alta qualità della vita e università prestigiose come Unicamp hanno convinto molte compagnie a lasciare le metropoli per trasferirvi i propri impianti. Tanto che i parchi tecnologici Ciatec I e II (rispettivamente 800 mila e 8 milioni di metri quadri) sono ormai saturi ed è in progetto Ciatec III.
In Messico la palma per l’innovazione spetta a Guadalajara, che ospita 70 imprese leader nell’alta tecnologia e 3 mila operatori qualificati, e ha in progetto una Ciudad Creativa Digital grazie alla quale la metropoli diventerà un riferimento mondiale per i media digitali. Da capitale della droga negli anni Novanta, anche la colombiana Medellín è diventata una città fortemente industrializzata il cui decollo tecnologico è visibile nella Ruta N, quartiere di palazzi in vetro e acciaio che ospitano decine di compagnie straniere tra cui Hewlett-Packard. Finanziata con una quota dei profitti delle Empresas Publicas, la Ruta N diventerà un tech hub di 150 ettari, il più grande dell’America Latina.
Certo, la relazione tra compagnie straniere e benefici per il Paese è a volte delicata. A Cordoba, consolidato tempio della tecnologia con 250 compagnie da quando, nel 2001, Motorola vi aprì il primo centro di sviluppo software dell’Argentina, il direttore di un cluster si lamenta che alcune multinazionali formano il personale soltanto per le loro esigenze. Un altro problema è la mancanza di un progetto di produzione basato sulla tecnologia. «C’è bisogno di investitori che rischino », spiega Albarracín Bermúdez. «I poli dell’innovazione in America Latina sono piuttosto fragili nel breve e medio termine, dal momento che manca una base istituzionale per lo sviluppo sistematico della produzione in base alla tecnologia».
La corsa all’innovazione e al suo simbolo più evidente contagia perfino una delle città più pericolose al mondo come Città del Guatemala. Che si è ritagliata la propria speranza tecnologica: un Campus Tec che per adesso è un palazzone di mattoni ma a cui si aggiungerà in breve un edificio tre volte più grande che offrirà servizi a più di 1.500 imprenditori. «Siamo nati quattro anni fa ma abbiamo già cento imprese», spiega Maria Zaghi, responsabile dello Sviluppo dei Negocios del Campus. «La maggior parte sono specializzati in web design, effetti speciali e hardware, ma ne abbiamo anche nel settore della tecnologia informatica e della comunicazione ». Imprese come Intel, Ibm, Amazon e Hewlett-Packard hanno centri di ricerca nella Valle Central della Costa Rica, esportatore di tecnologia grazie alla manodopera qualificata e alla relativa vicinanza con la California. E 17 hanno aperto o stanno aprendo sedi nella parte argentina della Terra del Fuoco. Per alcuni analisti questa regione è destinata a diventare un suggestivo, futuro polo di innovazione tecnologica, per altri si tratterà soltanto di una zona di assemblaggio, attraente per i bassi costi della manodopera.
Gabriella Saba

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