lunedì 20 maggio 2013

CRISI ECONOMICA E PROPOSTE PER LA CRESCITA. ALESINA, GIAVAZZI, Quel tre per cento non sia un tabù, IL CORRIERE DELLA SERA, 17 maggio 2013


La politica di bilancio in Italia è vincolata da puntuali regole europee. Esse prevedono che un Paese mantenga piena flessibilità nei propri conti pubblici solo se il suo deficit è inferiore al 3% del Prodotto interno lordo. Ad esempio la Germania, che quest'anno prevede di chiudere il bilancio in pareggio, potrebbe, se volesse, varare investimenti pubblici per 80 miliardi di euro (tre punti di Pil) perché rimarrebbe entro la soglia massima. Invece la Francia, che prevede un deficit del 4%, deve ridurlo e non le è consentito scorporare gli investimenti pubblici, né tener conto dell'effetto della recessione sui propri conti.



Il Documento di economia e finanza (Def) che il ministro Saccomanni presenta al Parlamento la prossima settimana, confermerà per quest'anno l'impegno annunciato due mesi fa dal governo Monti, cioè un deficit non superiore al 3%. E ciò nonostante il perdurare della recessione che renderà più difficile rimanere sotto il 3%. Sulla base di questo impegno il 30 maggio la Commissione europea chiuderà la procedura di infrazione in cui attualmente ci troviamo, dandoci via libera per una maggiore flessibilità. Ma sarà un via libera per noi purtroppo inutile. Nella migliore delle ipotesi saremo di un soffio sotto la soglia del 3% e ciò non consentirà di ridurre le imposte. In questa situazione occorre chiedersi se ci convenga impegnarci al 3% quest'anno, visto che, a parte una questione di orgoglio, non ne guadagneremmo sostanzialmente nulla. Non si riduce la disoccupazione con l'orgoglio.
Il governo potrebbe considerare una strategia alternativa che avrebbe anche il vantaggio di farlo dall'angolo in cui pressioni contrapposte lo stanno schiacciando. Proporre all'Ue un piano di riduzione immediata delle imposte: l'Imu, ma soprattutto le imposte sul lavoro. Diciamo per un ammontare dell'ordine di 50 miliardi che abbasserebbe la pressione fiscale di circa tre punti, contribuendo alla ripresa dell'economia. Contemporaneamente adottare un piano di riduzione graduale ma permanente delle spese: un punto di Pil di tagli all'anno per tre anni. Qualunque recupero di evasione dovrebbe essere usato per ridurre le aliquote dei contribuenti onesti. Il deficit rimarrebbe superiore al 3% ancora per due anni e rientrerebbe solo fra tre. Come la Francia. La Commissione non chiuderebbe la procedura di sorveglianza: dovrebbe approvare il piano e verificarne l'effettiva attuazione. Insomma, saremmo noi a scegliere il piano e Bruxelles a fare da «guardiano». È una strada praticabile? Dipende dalla credibilità dei tagli. Ma di questo Saccomanni dovrebbe discutere a Bruxelles, non della seconda cifra decimale del rapporto deficit/Pil.
Il secondo pilastro di questa strategia è il credito. La riduzione delle tasse non basta per uscire dalla recessione. È necessario che le banche ricomincino a prestare denaro a famiglie e imprese. Per far questo, come abbiamo già scritto, bisogna ricapitalizzarle. La premessa è risanarle, togliendo dai loro bilanci i prestiti insolventi (che in un anno sono saliti da 50 a 60 miliardi di euro). Per farlo si può utilizzare il Meccanismo europeo di stabilità (Ems), il cosiddetto «Fondo salva-banche», come ha fatto la Spagna. Il vantaggio è che anche questo prestito ci sarebbe concesso con «condizionalità», cioè sottoporrebbe le nostre banche - e la Banca d'Italia che vigila su di esse - al controllo delle istituzioni europee.
I mercati sono per ora calmi e ci danno respiro. Non sprechiamo questa occasione. Saccomanni deve puntare alto, non perdersi con i decimali. Se lo farà, Bruxelles deve ascoltarlo.

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