domenica 19 luglio 2015

ECONOMIA DEL DEBITO E CASO GRECIA. G. BLUME, La Germania non ha mai pagato. Intervista con Thomas Piketty, DOPPIOZERO, luglio 2015

Noi tedeschi possiamo essere soddisfatti del fatto che anche il governo francese riconosca la validità del dogma della politica del risparmio di Berlino?


Nient’affatto. Questo non è motivo di soddisfazione, né per la Francia né per la Germania e neppure per l’Europa. Semmai ho molto timore che i conservatori soprattutto in Germania stiano per distruggere l’Europa e l’idea di Europa e ciò a causa della loro assoluta incapacità di avere una memoria storica.

Ma noi tedeschi non abbiamo forse elaborato la storia?

Ma non per quanto riguarda la cancellazione del debito tedesco. E pensare che proprio per l’attuale Germania sarebbe importante ricordarsi di quella storia. Provi ad esaminare la storia dei debiti pubblici: l’Inghilterra, la Germania e la Francia si sono tutte già trovate nella situazione della Grecia di oggi, erano gravate da un debito addirittura maggiore. La prima lezione che si può dunque trarre dalla storia dei debiti pubblici è che oggi non ci troviamo di fronte a problemi nuovi. Ci sono sempre stati molti modi di cancellazione dei debiti e non solo uno, come Parigi e Berlino vogliono insegnare ai greci.



Ma non dovrebbero secondo lei pagare i loro debiti?

Il mio libro (Il Capitale nel XXI secolo) racconta la storia degli introiti e dei patrimoni, ivi compresi quelli pubblici. Ciò che mi colpì quando lo scrivevo era il fatto che la Germania fosse effettivamente l’esempio principe di un paese che nella sua storia non ha mai pagato i suoi debiti pubblici. Né dopo la prima né dopo la seconda guerra mondiale. Pretese che fossero altri a pagare, ad esempio dopo la guerra franco-tedesca del 1870 quando volle dalla Francia un elevato pagamento che poi per altro ottenne e che costò per decenni molti sacrifici allo stato francese. La storia degli indebitamenti pubblici ha molti aspetti ironici. Difficilmente corrisponde alle nostre concezioni di ordine e giustizia.

Dobbiamo allora rassegnarci a non cercare oggi una soluzione migliore a questo problema?

Se sento i tedeschi di oggi che dicono di avere un approccio molto morale alla questione dei debiti e che sono fermamente convinti che i debiti debbano essere pagati mi viene da dire: ma questa è una vera barzelletta! Proprio la Germania è il paese che non ha mai pagato i suoi debiti. Come fa a dare lezioni ad altri paesi?


Non vorrà presentare gli stati che non pagano i loro debiti come vincitori?

Proprio la Germania è uno di questi stati. Ma andiamoci piano.
La storia ci insegna che uno stato con alti debiti ha due possibilità per saldarli. Il primo è quello seguito dal Regno Unito nel 19. secolo dopo le guerre napoleoniche costate una fortuna. Si tratta del metodo lento, quello che si consiglia oggi anche alla Grecia. L’Inghilterra risparmiò le somme del debito grazie a una politica di bilancio rigorosa, cosa che funzionò ma durò un tempo infinito. Per più di 100 anni gli inglesi destinarono dal due al tre per cento del loro PIL al pagamento dei debiti, più di quello che investirono in scuola e formazione. Questo non era necessario e non dovrebbe esserlo nemmeno oggi. Poiché il secondo metodo è assai più rapido.
La Germania l’ha sperimentato nel XX. secolo. Essenzialmente consiste di tre componenti: inflazione, una imposta straordinaria sui patrimoni privati, e tagli ai debiti.

E ora lei ci sta dicendo che il nostro miracolo economico si basava su tagli dei debiti, che oggi vogliamo negare ai greci?

Esattamente. Lo stato tedesco dopo il ’45 era indebitato per una somma pari al 200% del suo PIL. Dieci anni dopo di quel debito rimaneva ben poco, l’indebitamento era sceso al 20%. Anche la Francia conseguì un risultato analogo nello stesso periodo. Una riduzione dei debiti di questa entità non sarebbe stata possibile con le sole politiche di bilancio che oggi consigliamo alla Grecia. Al contrario le nostre due nazioni applicarono la seconda soluzione impiegando le tre componenti di cui dicevo ivi incluso il taglio dei debiti. Pensi alla Conferenza sul debito che si tenne a Londra nel 1953, in cui il 60% dei debiti esteri tedeschi furono annullati, cosa che consentì di ristrutturare il debito interno della giovane Repubblica federale.

Ciò accadde perché ci si era convinti che le enormi richieste di restituzione degli oneri della guerra, richiesti ai tedeschi dopo la Prima guerra mondiale, siano state fra le cause della Seconda Guerra Mondiale. Questa volta si era deciso di condonare ai tedeschi i loro debiti!

Macché! In quella decisione non c’entravano le considerazioni morali, si trattava di una valutazione razionale di politica economica. Si valutò correttamente che dopo grandi crisi che comportano grandi debiti arriva prima o poi un momento in cui bisogna pensare al futuro. Non si può pretendere dalle nuove generazioni di pagare per decenni le colpe dei padri. Ora è chiaro che i greci hanno commesso gravi errori. Fino al 2009 i governi di Atene hanno truccato i loro bilanci. Per questo tuttavia la giovane generazione dei greci non ha una responsabilità maggiore di quella dei giovani tedeschi degli anni ’50 e ’60. Ora dobbiamo guardare avanti. L’Europa fu fondata sul fatto che si sono dimenticati i debiti e che si è investito sul futuro. E cioè non sull’idea della penitenza eterna. Non possiamo dimenticarlo.

La fine della seconda guerra mondiale ha segnato una frattura della civiltà. L’Europa si era trasformata in un campo di battaglia. Oggi non è più così.

Rifiutare il confronto storico con il dopoguerra sarebbe sbagliato. Prendiamo la crisi finanziaria del 2008/2009. Non si è trattato di una crisi qualsiasi! È stata la maggiore crisi finanziaria dal 1929. Dobbiamo invece farli questi confronti storici. E questo vale anche per il prodotto sociale lordo dei Greci: tra il 2009 e il 2015 si è ridotto del 25%. Qualcosa di comparabile con le recessioni di Germania e Francia tra il 1929 e il 1935.

Molti tedeschi pensano che i greci non abbiano ancora riconosciuto i loro errori e vogliano continuare a farli aumentando il disavanzo dello stato.

Se negli anni Cinquanta avessimo detto a voi tedeschi che non avevate riconosciuto fino in fondo i vostri errori sareste ancora lì a pagare i vostri debiti. Per fortuna siamo stati più intelligenti.

Il ministro delle finanze tedesco sembra invece incline a pensare che un’uscita della Grecia dall’eurozona creerebbe le condizioni di un’Europa più compatta.

Se cominciamo a buttare fuori le nazioni, la crisi crescente di fiducia in cui si trova oggi l’eurozona è destinata ad aumentare. I mercati finanziari si rivolgerebbero subito al prossimo paese e questo sarebbe l’inizio di una lunga agonia in cui rischieremmo di sacrificare sull’altare di una politica del debito conservatrice e irrazionale il modello sociale europeo, la sua democrazia, la sua stessa civiltà.

Non pensa che noi tedeschi siamo già molto generosi.

Ma cosa sta dicendo? Generosi? La Germania finora ha guadagnato con la Grecia in quanto le ha accordato crediti per un tasso di interesse piuttosto elevato.

Quale è la sua proposta di soluzione della crisi?

Abbiamo bisogno di una conferenza sull’insieme dei debiti europei come fu fatta dopo la Seconda Guerra Mondiale. Una ristrutturazione del debito non è solo inevitabile per la Grecia ma in molti altri paesi europei. Abbiamo appena perso sei mesi in trattative del tutto poco chiare con la Grecia. La convinzione dell’eurogruppo secondo la quale la Grecia sarà in grado in futuro di avere un avanzo di bilancio del 4% per cui potrà ripagare il suo debito in 30-40 anni non è ancora stata accantonata. Vale a dire che nel 2015 ci sarà un avanzo dell’1%, nel 2016 del 2%, nel 2017 del 3,5%. Una totale follia! Non sarà mai così, ma in questo modo rimandiamo semplicemente alle calende greche  il necessario dibattito sul debito.

E cosa accadrebbe dopo il grande taglio dei debiti?

Ci sarebbe bisogno di una nuova istituzione democratica europea, che decida sul livello di debito ammissibile per evitare una nuova crescita del debito stesso. Potrebbe essere per esempio una camera parlamentare europea, come emanazione dei parlamenti nazionali. Le decisioni di bilancio non possono essere sottratte ai parlamenti. Sottrarsi alla democrazia come oggi sta facendo la Germania insistendo sui meccanismi di regolazione del debito degli stati stabilite a Berlino è un errore madornale.

Il suo presidente François Hollande non ha avuto successo con la sua critica al patto fiscale.

Questo non migliora le cose. Se negli scorsi anni le decisioni europee fossero state prese in modo democratico ci sarebbe oggi in tutta Europa una politica del risparmio meno restrittiva.

Ma nessun partito in Francia è d’accordo con questa posizione. La sovranità nazionale è considerata sacra.

In effetti in Germania quelli che pensano di rifondare l’Europa in senso democratico sono in numero maggiore rispetto ai francesi in prevalenza legati all’idea di sovranità. Inoltre il nostro presidente continua a sentirsi prigioniero del referendum fallito del 2005 sulla costituzione europea. Hollande non capisce che la crisi finanziaria ha cambiato molte cose. Dobbiamo superare gli egoismi nazionali.

Quali egoismi nazionali vede in Germania?

La Germania mi appare oggi come fortemente segnata dalla riunificazione. Per molto tempo si è temuto che essa facesse arretrare economicamente la nazione. Eppure la riunificazione funzionò assai bene grazie a un modello sociale efficace e a strutture industriali intatte. Ora però il paese è così orgoglioso del suo successo che pretende di dare lezioni a tutti gli altri. Questo è un po’ infantile. Capisco naturalmente quanto sia stata importante la riunificazione vincente del paese per la storia politica personale di Angela Merkel. Ma ora la Germania deve voltare pagina, altrimenti la sua posizione sulla questione del debito diventerà un pericolo serio per l’Europa.

Cosa suggerisce alla cancelliera?

Quelli che oggi vogliono cacciare la Grecia dall’eurozona finiranno nella pattumiera della storia. Se la cancelliera vuole garantirsi il suo posto nella storia, così come fece Kohl con la riunificazione, deve impegnarsi a trovare una posizione comune che risolva la questione greca e dare vita a una conferenza sul debito che ci permetta di ricominciare da zero. Ovviamente con una disciplina di bilancio assai più severa che in passato.

Intervista pubblicata su "Die Zeit". Traduzione di Roberto Gilodi.


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DIE ZEIT, 27 giugno 2015
"Deutschland hat nie bezahlt"
Der Starökonom Thomas Piketty fordert eine große Schuldenkonferenz. Gerade Deutschland dürfe den Griechen Hilfe nicht verweigern INTERVIEW: 
Seit seinem Bucherfolg "Das Kapital im 21. Jahrhundert" zählt der FranzoseThomas Piketty zu den einflussreichsten Ökonomen der Welt. Seine Thesen zur Verteilung von Einkommen und Vermögen lösten im vergangenen Jahr eine weltweite Diskussion aus. Im ZEIT-Gespräch mischt er sich nun auch entschieden in die europäische Schuldendebatte ein.
DIE ZEIT: Dürfen wir Deutschen uns freuen, dass selbst die französische Regierung zurzeit den Dogmen der Berliner Sparpolitik huldigt?
Thomas Piketty: Keinesfalls. Das ist weder für Frankreich noch für Deutschland und schon gar nicht für Europa ein Grund zur Freude. Vielmehr habe ich große Angst, dass die Konservativen, insbesondere in Deutschland, kurz davor sind, Europa und die europäische Idee zu zerstören – und zwar aufgrund ihres erschreckenden Mangels an geschichtlichem Erinnerungsvermögen.
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ZEIT: Wir Deutschen haben die Geschichte doch aufgearbeitet.
Piketty: Aber nicht, was die deutsche Schuldentilgung betrifft! Dabei müsste die Erinnerung daran gerade für das heutige Deutschland von Bedeutung sein. Schauen Sie sich die Geschichte der öffentlichen Schulden an: Großbritannien, Deutschland und Frankreich waren alle schon in der Situation des Griechenlandsvon heute, litten sogar unter noch höheren Schulden. Die erste Lektion, die man deshalb aus der Geschichte der Staatsschulden ziehen kann, lautet, dass wir nicht vor neuen Problemen stehen. Es gab immer viele Möglichkeiten, die Schulden zu tilgen. Und nie nur eine, wie Berlin und Paris den Griechen weismachen wollen.
ZEIT: Aber die Schulden zurückzahlen sollten sie doch?
Dieser Artikel stammt aus der ZEIT Nr. 26 vom 25.06.2015.
Dieser Artikel stammt aus der ZEIT Nr. 26 vom 25.06.2015.   |  Die aktuelle ZEIT können Sie am Kiosk oder hier erwerben.
Piketty: Mein Buch erzählt von der Geschichte der Einkommen und Vermögen, inklusive der öffentlichen. Was mir beim Schreiben auffiel: Deutschland ist wirklich das Vorzeigebeispiel für ein Land, das in der Geschichte nie seine öffentlichen Schulden zurückgezahlt hat. Weder nach dem Ersten noch nach dem Zweiten Weltkrieg. Dafür ließ es andere zahlen, etwa nach dem deutsch-französischen Krieg von 1870, als es eine hohe Zahlung von Frankreich forderte und sie auch bekam. Dafür litt der französische Staat anschließend jahrzehntelang unter den Schulden. Tatsächlich ist die Geschichte der öffentlichen Verschuldung voller Ironie. Sie folgt selten unseren Vorstellungen von Ordnung und Gerechtigkeit.
ZEIT: Aber daraus kann man doch nicht den Schluss ziehen, dass wir es heute nicht besser machen können?
Piketty: Wenn ich die Deutschen heute sagen höre, dass sie einen sehr moralischen Umgang mit Schulden pflegen und fest daran glauben, dass Schulden zurückgezahlt werden müssen, dann denke ich: Das ist doch ein großer Witz! Deutschland ist das Land, das nie seine Schulden bezahlt hat. Es kann darin anderen Ländern keine Lektionen erteilen.
ZEIT: Wollen Sie die Geschichte bemühen, um Staaten, die ihre Schulden nicht zurückzahlen, als Gewinner darzustellen?

Piketty: Genau ein solcher Staat ist Deutschland. Aber langsam: Die Geschichte lehrt uns zwei Möglichkeiten für einen hoch verschuldeten Staat, seine Rückstände zu begleichen. Die eine hat das britische Königreich im 19. Jahrhundert nach den teuren napoleonischen Kriegen vorgemacht: Es ist die langsame Methode, die man heute auch Griechenland empfiehlt. Das Königreich sparte sich damals die Schulden durch rigorose Haushaltsführung ab – das funktionierte zwar, dauerte aber extrem lange. Über 100 Jahre verwandten die Briten zwei bis drei Prozent ihrer Wirtschaftsleistung auf die Schuldentilgung, mehr als sie für Schulen und Bildung ausgaben. Das musste nicht sein und sollte auch heute nicht sein. Denn die zweite Methode geht viel schneller. Deutschland hat sie im 20. Jahrhundert erprobt. Im Wesentlichen besteht sie aus drei Komponenten: Inflation, einer Sondersteuer auf Privatvermögen und Schuldenschnitte.
ZEIT: Und jetzt wollen Sie uns erklären, dass unser Wirtschaftswunder auf Schuldenschnitten beruhte, die wir heute den Griechen verweigern?
Piketty: Genau. Der deutsche Staat war nach Ende des Krieges 1945 mit über 200 Prozent seines Sozialproduktes verschuldet. Zehn Jahre später war davon wenig übrig, die Staatsverschuldung lag unter 20 Prozent des Sozialprodukts. Frankreich gelang in dieser Zeit ein ähnliches Kunststück. Diese ungeheuer schnelle Schuldenreduzierung aber hätten wir nie mit den haushaltspolitischen Mitteln erreicht, die wir heute Griechenland empfehlen. Stattdessen wandten unsere beiden Länder die zweite Methode an, mit den drei erwähnten Komponenten, inklusive Schuldenschnitt. Denken Sie an die Londoner Schuldenkonferenz von 1953, auf der 60 Prozent der deutschen Auslandsschulden annulliert und zudem die Inlandsschulden der jungen Bundesrepublik restrukturiert wurden.
ZEIT: Das geschah aus der Einsicht, dass die hohen Rückzahlungsforderungen an Deutschland nach dem Ersten Weltkrieg zu den Gründen des Zweiten Weltkriegs zählten. Man wollte den Deutschen dieses Mal ihre Sünden vergeben!
Piketty: Unsinn! Das hatte nichts mit moralischen Einsichten zu tun, sondern war eine rationale wirtschaftspolitische Entscheidung. Man erkannte damals richtig: Nach großen Krisen, die eine hohe Schuldenlast zur Folge haben, kommt irgendwann der Zeitpunkt, an dem man sich der Zukunft zuwenden muss. Man kann von neuen Generationen nicht verlangen, über Jahrzehnte für die Fehler ihrer Eltern zu bezahlen. Nun haben die Griechen zweifellos große Fehler gemacht. Bis 2009 haben die Regierungen in Athen ihre Haushalte gefälscht. Deshalb aber trägt die junge Generation der Griechen heute nicht mehr Verantwortung für die Fehler ihrer Eltern als die junge Generation von Deutschen in den 1950er und 1960er Jahren. Wir müssen jetzt nach vorne schauen. Europa wurde auf dem Vergessen der Schulden und dem Investieren in die Zukunft gegründet. Und eben nicht auf der Idee der ewigen Buße. Daran müssen wir uns erinnern.
ZEIT: Das Ende des Zweiten Weltkriegs war ein Zivilisationsbruch. Europa glich einem Schlachtfeld. Das ist heute anders.
Piketty: Den historischen Vergleich mit der Nachkriegszeit abzulehnen wäre falsch. Nehmen wir die Finanzkrise von 2008/2009: Das war nicht irgendeine Krise! Es war die größte Finanzkrise seit 1929. Wir müssen also diese historischen Vergleiche anstellen. Das gilt auch für das griechische Sozialprodukt: Zwischen 2009 und 2015 ist es um 25 Prozent zurückgegangen. Das ist vergleichbar mit den Rezessionen in Deutschland und Frankreich zwischen 1929 und 1935.
ZEIT: Viele Deutsche glauben, dass die Griechen ihre Fehler bis heute nicht eingesehen haben und einfach weitermachen wollen mit ihren hohen Staatsausgaben.
Piketty: Wenn wir euch Deutschen in den 1950er Jahren erzählt hätten, dass ihr eure Fehler nicht ausreichend eingestanden habt, wäret ihr immer noch dabei, eure Schulden zurückzuzahlen. Glücklicherweise waren wir intelligenter.
ZEIT: Der deutsche Finanzminister scheint dagegen zu glauben, dass ein Austritt Griechenlands aus der Euro-Zone Europa sogar schneller zusammenschweißen könnte.
Piketty: Wenn wir damit anfangen, ein Land auszustoßen, kann die gravierende Vertrauenskrise, in der sich die Euro-Zone heute befindet, nur größer werden. Die Finanzmärkte würden sich sofort dem nächsten Land zuwenden. Das wäre der Beginn einer langen Agonie, in deren Zuge wir riskieren, Europas Sozialmodell, seine Demokratie, ja seine Zivilisation auf dem Altar einer konservativen, irrationalen Schuldenpolitik zu opfern.
ZEIT: Glauben Sie, dass wir Deutschen nicht großzügig genug sind?
Piketty: Was reden Sie da? Großzügig? Deutschland verdient bisher an Griechenland, indem es zu vergleichsweise hohen Zinsen Kredite an das Land vergibt.
ZEIT: Was ist Ihr Lösungsvorschlag für die Krise?
Piketty: Wir brauchen eine Konferenz über die gesamten Schulden Europas wie nach dem Zweiten Weltkrieg. Eine Restrukturierung der Schulden ist nicht nur in Griechenland, sondern in vielen europäischen Ländern unvermeidlich. Gerade haben wir durch die völlig undurchsichtigen Verhandlungen mit Athen sechs Monate verloren. Die Vorstellung der Euro-Gruppe, dass Griechenland in Zukunft einen Haushaltsüberschuss von vier Prozent erwirtschaftet und damit in den nächsten 30 bis 40 Jahren seine Schulden zurückzahlt, ist immer noch nicht vom Tisch. Es heißt, 2015 werde ein Prozent Überschuss erwirtschaftet, 2016 dann zwei Prozent, 2017 dreieinhalb Prozent. Total verrückt! Es wird nie so laufen. Damit verschieben wir die nötige Schuldendebatte auf den Sankt-Nimmerleins-Tag.
ZEIT: Und was käme nach dem großen Schuldenschnitt?
Piketty: Es bedürfte einer neuen demokratischen europäischen Institution, die über das zulässige Schuldenniveau entscheidet, um einen Wiederanstieg der Schulden auszuschließen. Das könnte zum Beispiel eine europäische Parlamentskammer sein, die aus den nationalen Parlamenten hervorgeht. Haushaltsentscheidungen kann man den Parlamenten nicht entziehen. Die Demokratie in Europa zu unterlaufen, wie es Deutschland heute macht, indem es auf die vor allem von Berlin durchgepowerten Regelautomatismen bei der Verschuldung von Staaten besteht, ist ein großer Fehler.
ZEIT: Ihr Präsident François Hollande ist gerade erst mit seiner Kritik am Fiskalpakt gescheitert.
Piketty: Das macht die Sache nicht besser. Wenn in den vergangenen Jahren die Entscheidungen in Europa auf demokratische Weise gefallen wären, gäbe es heute europaweit eine weniger strenge Sparpolitik.
ZEIT: Da macht doch gerade in Frankreich keine Partei mit. Die nationale Souveränität gilt als heilig.
Piketty: In Deutschland machen sich in der Tat mehr Menschen Gedanken, die in die Richtung einer demokratischen Neugründung Europas gehen, als in Frankreich mit seinen zahlreichen Souveränitäts-Gläubigen. Zudem macht sich unser Präsident immer noch zum Gefangenen des in Frankreich gescheiterten EU-Verfassungsreferendums von 2005. François Hollande versteht nicht, dass sich durch die Finanzkrise viel verändert hat. Nationale Egoismen müssen wir überwinden.
ZEIT: Welche nationalen Egoismen sehen Sie in Deutschland am Werk?
Piketty: Mir scheint Deutschland heute sehr von der Wiedervereinigung geprägt. Man hatte lange Zeit Angst, durch sie ins wirtschaftliche Hintertreffen zu geraten. Doch dann gelang die Vereinigung sehr gut, dank eines funktionierenden Sozialmodells und intakter Industriestrukturen. Inzwischen aber ist das Land so stolz auf diesen Erfolg, dass es allen anderen Ländern Lektionen erteilt. Das ist ein bisschen infantil. Natürlich verstehe ich, wie wichtig die erfolgreiche Wiedervereinigung etwa für die persönliche Geschichte von Kanzlerin Angela Merkel war. Aber nun muss Deutschland umdenken. Sonst wird seine Einstellung zur Schuldenfrage zu einer großen Gefahr für Europa.
ZEIT: Was raten Sie der Kanzlerin?
Piketty: Diejenigen, die Griechenland heute aus der Euro-Zone vertreiben wollen, werden in der Mülltonne der Geschichte enden. Wenn die Kanzlerin ihren Platz in der Geschichte sichern will, ähnlich wie es Kohl mit der Wiedervereinigung gelang, dann muss sie sich heute erfolgreich für eine Einigung in der Griechenland-Frage einsetzen – samt einer Schuldenkonferenz, mit der wir dann bei null neu anfangen. Aber dann mit einer neuen, sehr viel strengeren Haushaltsdisziplin als früher. 
Dieser Text ist in einer englischen Übersetzung bei thewire.in erschienen.


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