venerdì 30 novembre 2012
mercoledì 28 novembre 2012
PATTO PER LA PRODUTTIVITA'. NUOVE REGOLE PER I LAVORATORI. ALESSANDRO ROBECCHI, Primarie di produttività, IL MANIFESTO,25 novembre 2012
Da oggi in poi, in Italia, si tengono le primarie. Uno scontro senza esclusione di colpi tra soggetti della sinistra, gettati in un'arena e costretti a sopraffare gli avversari per sopravvivere.
INDIA E BANGLADESH. MODERNIZZAZIONE E SFRUTTAMENTO OPERAIO.
http://kikukula5.blogspot.it/2012/11/bangladesh-incendio-in-una-fabbrica-di.html
http://kikukula5.blogspot.it/2012/11/india-industria-dellabbigliamento-e.html
lunedì 26 novembre 2012
MERITO E MERITOCRAZIA. ANTONIO NICITA, La differenza tra merito e ‘me-lo-merito’, IL FATTO, 25 novembre 2012
Finalmente - e inevitabilmente – la questione del merito è diventata centrale nel dibattito politico-elettorale del nostro paese. Essa riguarda la selezione della classe dirigente, non solo nel pubblico, ma anche nel privato. Oggi, ne parlano tutti. Ma pochissimi riconoscono l’equivoco tra merito e “me-lo-merito”.
Mi spiego. Spesso i sostenitori del merito non sono solo interessati a una società ‘aristocratica’, cioè dei migliori: essi sostengono il merito perché pensano di possederlo. Capovolgendo la famosa frase di Groucho Marx, una società che non riconosce il mio merito non può che esser sbagliata, se non corrotta.
giovedì 22 novembre 2012
mercoledì 21 novembre 2012
sabato 17 novembre 2012
EUROPA. ECONOMIE SVEDESI. CASO IKEA. MATTEO CRUCCU,Scandalo in Germania: «Ikea utilizzava prigionieri politici della Ddr», IL CORRIERE DELLA SERA, 17 novembre 2012
Un rapporto conferma la tesi di un documentario.
Il colosso svedese si dice «profondamente dispiaciuto»
domenica 11 novembre 2012
CINA. DELOCALIZZAZIONE DELLA APPLE. SALOM P., Ora la Foxconn delocalizza negli USA, IL CORRIERE DELLA SERA, 10 novembre 2012
Mentre a Pechino i delegati del Pcc delineano le strategie (e gli uomini) per il futuro della Cina, l'economia globale detta le sue regole e impone il ritmo.
DISEGUAGLIANZE ECONOMICHE. POVERTA'. ABRAVANEL R., Ineguaglianze, ecco perchè la sinistra non ne parla, IL CORRIERE DELLA SERA, 10 novembre 2012
Nel mondo inizia il sesto anno di crisi economica e si accende il dibattito
sulla disuguaglianza. In realtà è da 20 anni che la disuguaglianza cresce, ma la
crisi ha innescato la protesta sociale: un conto è arricchirsi meno degli altri
quando l’economia va bene, un altro è diventare più poveri mentre i ricchi
accrescono il loro benessere. Oggi il grande dilemma della maggioranza dei
leader politici nel mondo è come ridurre la disuguaglianza senza penalizzare la
crescita.
In Italia, invece, quasi nessuno si lamenta ancora del nostro elevatissimo livello di disuguaglianza, anch’esso di lunga data. Da sempre l’indice Gini in Italia (misura il divario tra i più ricchi e i più poveri) è tra i maggiori d’Europa: è al livello della iperliberista Inghilterra e vicino a quello degli Usa, molto più alto di quello di altri Paesi europei, come la Germania o i Paesi scandinavi.
Anche la mobilità sociale, ovvero la possibilità per i figli di genitori poveri di raggiungere un reddito alto, in Italia è bassa. Siamo a livello degli Usa, ma con caratteristiche diverse: in America il gruppo dei super-ricchi (il top 1% dei redditi) è sempre più costituito da manager e professionisti, e sempre meno da imprenditori. Il reddito in queste carriere dipende dalle scuole che si frequentano, i professionisti più ricchi spesso si sposano tra di loro e possono mandare a loro volta i figli nelle scuole più care. Questa è la causa principale della riduzione della mobilità sociale in Usa negli ultimi vent’anni.
La mobilità sociale italiana è bassa da sempre, ma per un’altra ragione: perché i figli dei ricchi ereditano l’azienda e le proprietà del padre. Nel nostro Paese non solo i poveri sono sempre stati molto più poveri, ma non hanno mai avuto molte possibilità di diventare ricchi, come invece avviene negli Usa grazie alle borse di studio per le migliori Università. Peraltro il nostro welfare non è certo costato poco: oggi, in rapporto al Pil, è a livelli scandinavi, ovvero delle società che hanno la più bassa disuguaglianza e la maggiore mobilità sociale. Questi Paesi hanno trasformato negli anni il loro stato assistenziale in un welfare in grado di creare opportunità per ogni cittadino senza falsare le regole di mercato per sostenere la crescita dell’economia. Per esempio il sussidio di disoccupazione termina se il lavoratore non si attiva seriamente per rioccuparsi, mentre lo Stato lo aiuta a imparare un altro mestiere e a trovare un lavoro diverso.
La disuguaglianza sociale in Italia è quindi un problema enorme. Tuttavia se ne parla poco: sorprende soprattutto il disinteresse delle sinistre. Prendiamo uno degli slogan lanciati proprio dalla sinistra in questi mesi di crisi: «tassare i ricchi». Aumentare le tasse per pagare il welfare dei poveri? No, farle salire per far «pagare il costo della crisi ai ricchi». Di dare soldi ai poveri, se ne parla poco. Del resto il nostro welfare non protegge i più poveri, i giovani e le donne: difende piuttosto i capofamiglia maschi, ai quali garantisce il posto di lavoro e una pensione prima di tutti gli altri Paesi.
Quando la sinistra parla di «politiche per la crisi», parla sempre e solo di «difesa»: difesa del posto di lavoro, difesa delle pensioni, difesa dei diritti. Non di creazione di opportunità, se non in termini generici e vaghi.
Questo linguaggio è figlio di un’impostazione conservatrice e anti-capitalista, che pone la sinistra italiana (e buona parte del Paese) su un pianeta ideologico arretrato rispetto alle altre nazioni occidentali.
Nel «pianeta Italia» la disuguaglianza viene oggi affrontata basandosi su principi quasi feudali. Non è l’impresa che crea benessere, ma il lavoro (art. 1 della Costituzione). Il lavoro esiste indipendentemente dal capitale, dall’impresa, dal consumo. Interessa poco il fatto che senza imprese e consumatori che comprano i loro prodotti non ci sono lavoratori. Il lavoro, inteso come posto di lavoro, è un diritto inalienabile dell’uomo, come la vita. Corollario: tutti i posti di lavoro vanno difesi. Dunque se sei fortunato e vai in pensione quando sei ancora molto giovane, è un tuo diritto. Lavori in miniera nel Sulcis? Un altro diritto che va difeso, anche se difenderlo costa dieci volte il tuo stipendio. Inoltre, come la vita, il lavoro di chi oggi ha un impiego è un bene molto più importante dell’occupazione potenziale di chi un lavoro non ce l’ha. In un ospedale, i vivi hanno la precedenza sui morti. È lo stesso atteggiamento del sindacato, di fronte a occupati e disoccupati. È così che si crea l’«apartheid» di cui parla Pietro Ichino tra i dodici milioni di intoccabili (assunti a tempo indeterminato) e i nove milioni di «precari» e dipendenti delle piccole imprese.
In Italia, invece, quasi nessuno si lamenta ancora del nostro elevatissimo livello di disuguaglianza, anch’esso di lunga data. Da sempre l’indice Gini in Italia (misura il divario tra i più ricchi e i più poveri) è tra i maggiori d’Europa: è al livello della iperliberista Inghilterra e vicino a quello degli Usa, molto più alto di quello di altri Paesi europei, come la Germania o i Paesi scandinavi.
Anche la mobilità sociale, ovvero la possibilità per i figli di genitori poveri di raggiungere un reddito alto, in Italia è bassa. Siamo a livello degli Usa, ma con caratteristiche diverse: in America il gruppo dei super-ricchi (il top 1% dei redditi) è sempre più costituito da manager e professionisti, e sempre meno da imprenditori. Il reddito in queste carriere dipende dalle scuole che si frequentano, i professionisti più ricchi spesso si sposano tra di loro e possono mandare a loro volta i figli nelle scuole più care. Questa è la causa principale della riduzione della mobilità sociale in Usa negli ultimi vent’anni.
La mobilità sociale italiana è bassa da sempre, ma per un’altra ragione: perché i figli dei ricchi ereditano l’azienda e le proprietà del padre. Nel nostro Paese non solo i poveri sono sempre stati molto più poveri, ma non hanno mai avuto molte possibilità di diventare ricchi, come invece avviene negli Usa grazie alle borse di studio per le migliori Università. Peraltro il nostro welfare non è certo costato poco: oggi, in rapporto al Pil, è a livelli scandinavi, ovvero delle società che hanno la più bassa disuguaglianza e la maggiore mobilità sociale. Questi Paesi hanno trasformato negli anni il loro stato assistenziale in un welfare in grado di creare opportunità per ogni cittadino senza falsare le regole di mercato per sostenere la crescita dell’economia. Per esempio il sussidio di disoccupazione termina se il lavoratore non si attiva seriamente per rioccuparsi, mentre lo Stato lo aiuta a imparare un altro mestiere e a trovare un lavoro diverso.
La disuguaglianza sociale in Italia è quindi un problema enorme. Tuttavia se ne parla poco: sorprende soprattutto il disinteresse delle sinistre. Prendiamo uno degli slogan lanciati proprio dalla sinistra in questi mesi di crisi: «tassare i ricchi». Aumentare le tasse per pagare il welfare dei poveri? No, farle salire per far «pagare il costo della crisi ai ricchi». Di dare soldi ai poveri, se ne parla poco. Del resto il nostro welfare non protegge i più poveri, i giovani e le donne: difende piuttosto i capofamiglia maschi, ai quali garantisce il posto di lavoro e una pensione prima di tutti gli altri Paesi.
Quando la sinistra parla di «politiche per la crisi», parla sempre e solo di «difesa»: difesa del posto di lavoro, difesa delle pensioni, difesa dei diritti. Non di creazione di opportunità, se non in termini generici e vaghi.
Questo linguaggio è figlio di un’impostazione conservatrice e anti-capitalista, che pone la sinistra italiana (e buona parte del Paese) su un pianeta ideologico arretrato rispetto alle altre nazioni occidentali.
Nel «pianeta Italia» la disuguaglianza viene oggi affrontata basandosi su principi quasi feudali. Non è l’impresa che crea benessere, ma il lavoro (art. 1 della Costituzione). Il lavoro esiste indipendentemente dal capitale, dall’impresa, dal consumo. Interessa poco il fatto che senza imprese e consumatori che comprano i loro prodotti non ci sono lavoratori. Il lavoro, inteso come posto di lavoro, è un diritto inalienabile dell’uomo, come la vita. Corollario: tutti i posti di lavoro vanno difesi. Dunque se sei fortunato e vai in pensione quando sei ancora molto giovane, è un tuo diritto. Lavori in miniera nel Sulcis? Un altro diritto che va difeso, anche se difenderlo costa dieci volte il tuo stipendio. Inoltre, come la vita, il lavoro di chi oggi ha un impiego è un bene molto più importante dell’occupazione potenziale di chi un lavoro non ce l’ha. In un ospedale, i vivi hanno la precedenza sui morti. È lo stesso atteggiamento del sindacato, di fronte a occupati e disoccupati. È così che si crea l’«apartheid» di cui parla Pietro Ichino tra i dodici milioni di intoccabili (assunti a tempo indeterminato) e i nove milioni di «precari» e dipendenti delle piccole imprese.
sabato 10 novembre 2012
SERBIA E FIAT. Serbia, Fiat cede sui salari, ma non sui turni I sindacati: "Si lavora 12 ore al giorno, basta" , LA REPUBBLICA, 10 novembre 2012
La vertenza allo stabilimento di Kraguievac che produce la 500L:
ai 2500 operai +13% in busta, tredicesima e incentivi. L'ostacolo principale
resta però l'organizzazione produttiva accettata per l'avvio della produzione.
I sindacati: "Turni non più sostenibili"
venerdì 9 novembre 2012
ITALIA. NUOVE PROFESSIONI: LE OLGETTINE. REDAZIONE,Processo Ruby, parlano le olgettine "Silvio ci dà 2mila 500 euro al mese", LA REPUBBLICA, 9 novembre 2012
Cinque ragazze sul libro paga di Silvio Berlusconi con versamenti mensili da 2mila 500 euro a ciascuna - solo una delle quattro ha parlato di 2mila euro - insieme con altre regalie. La prima a raccontarlo, sentita come testimone a Milano nel processo Ruby, in cui sono imputati Emilio Fede, Nicole Minetti e Lele Mora, è stata Elisa Toti, una delle ragazze che hanno preso parte alle serate ad Arcore. "Silvio Berlusconi come mi aiutava prima, mi aiuta anche adesso e mi dà 2.500 euro al mese con dei bonifici". L'ex premier - ha aggiunto Toti - mi ha aiutato anche prestando una garanzia per l'acquisto di una casa" e "mi ha regalato una Mini". L'incontro con l'ex premier risale "al 2008, quando grazie a un amico comune lo incontrai a Villa Gernetto".
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