Se è vero, come ha scritto Fernanda Pivano, che l’Antologia di Spoon River è stata «meno del verso ma più della prosa» è certo anche che la forza di quel libro non sia da ricercare soltanto nel tono narrativo con cui si meditano gli epitaffi quanto – semmai – nella capacità di dimostrare come, attraverso la descrizione della sofferenza di una vita talvolta esemplare, la morte possa essere l’esito di una certa condizione politica e sociale. A cento anni dalla prima edizione dell’Antologia di Spoon River, Antonello Mangano, fondatore di terrelibere!, ne La Spoon River dei braccianti (Meltemi, pp. 170, euro 15) ha scelto di richiamarsi a quell’opera e di farlo a partire proprio dalla necessità di riconsegnare alla storia i nomi di alcuni migranti: donne e uomini del nostro tempo indegnamente dimenticati. Come per Fletcher McGree di Spoon River, i protagonisti di Mangano, sfruttate e sfruttati, sono messi in un angolo e «cacciati fino a morire».