MILANO - In un mondo dove 3,5 miliardi di persone mettono insieme le stesse ricchezze delle 85 più ricche, le Nazioni Unite si sono ritrovate nuovamente a chiedere alla politica uno sforzo comune e coordinato per cercare di livellare le diseguaglianze e diffondere il benessere alle fasce che non lo conoscono. Queste ultime sono molto ampie e come sempre in questi casi i numeri dicono più di ogni altra affermazione: 1 miliardo e 200 milioni di persone vivono con 1,25 dollari o meno al giorno, ma le stime peggiorano se si tengono in considerazione parametri più ampi che quelli semplicemente reddituali.
Le ultime riguardano il Multidimensional Poverty Index,targato Undp, e rivelano che quasi 1,5 miliardi di persone in 91 Paesi in via di sviluppo vivono in povertà, con privazioni che si sovrappongono tra gli ambiti della salute, dell'istruzione o delle condizioni di vita. E nonostante la povertà nel complesso sia in contrazione, ci sono altri 800 milioni di individui che rischiano di scivolarsi se il corso della loro vita o quello del Paese in cui vivono dovesse subire
Alcuni flash che provengono dallo Human Development Report presentato in settimana dalle Nazioni Unite a Tokyo. Punta il dito sugli aspetti della "vulnerabilità" di moltissime persone, che si sono sedimentati nel tempo come risultato della discriminazione e del fallimento delle politiche socioeconomiche, colpendo gruppi come gli anziani, i migranti, le donne o i giovani, o ancora coloro che hanno disabilità. Per esempio, si scopre che l'80% della popolazione mondiale anziana non ha una sufficiente protezione sociale, che per di più si accompagna a povertà e disabilità.
Ancora, otto persone su dieci, nel mondo, mancano di protezione sociale, mentre il 12% (842 milioni di persone) soffre di fame cronica e quasi la metà di tutti i lavoratori del globo terracqueo sono occupati in maniera precaria o irregolare. Proprio la disoccupazione, soprattutto quella giovanile, è "il" problema crescente per i Paesi in via di sviluppo, in particolare perché sempre più ragazzi intraprendono il percorso scolastico. Khalid Malik, direttore dell'ufficio sullo Sviluppo umano dell'Undp, e principale autore del report, sottolinea infatti al Guardian: "Quando le persone sono più istruite, cambia il loro rapporto con la concezione di cittadinanza, e si aspettano una maggiore gratificazione dal lavoro. Il nostro rapporto mostraquanto si stia ampliando, in maniera sostanziale in Africa, il fossato tra persone che si affacciano al mondo del lavoro e reale disponibilità di posti di lavoro".
L'indice aggregato dello Sviluppo umano (Hdi) dice che l'Italia si posiziona 26esima al mondo: è alle spalle di Slovenia e Finlandia, che la precedono immediatamente, e ben lontana dal podio sul quale si confermano la Norvegia e l'Australia, seguite da Svizzera e Olanda che rubano spazio a Stati Uniti e Germania. Durante gli anni della crisi, tra il 2008 e l'anno scorso, l'Italia ha perso due posizioni. Per il Belpaese arriva un bruttissimo segnale da una nuova rilevazione contenuta nel rapporto: quella del Gender Development Index, che misura il gap di genere nell'indice di sviluppo umano. In pratica, quanto distano all'interno di un Paese uomini e donne: l'Italia in questa particolare graduatoria scivola giù fino al 61esimo posto. In sedici Paesi soltanto i valori degli Hdi sono uguali per uomini e donne, cioè la differenza di genere non comporta un "minus" nel confronto tra una cittadina e un cittadino e i percorsi verso la propria realizzazione non sono più in salita per le donne. Il Paese più iniquo è l'Afghanistan, dove il valore dell'Hdi delle donne è pari soltanto al 60% di quello degli uomini.
CLASSIFICA: Gli indici dello Sviluppo Umano
Tutti i quattro gruppi di Paesi, dai più sviluppati ai più arretrati, stanno sperimentando un netto rallentamento nella crescita degli indici di sviluppo. Nei Paesi arabi, Asia e Pacifico, America Latina e Caraibi - ad esempio - il tasso annuale di crescita degli Hdi si è dimezzato nel periodo 2008-2013, quello della crisi economica, rispetto al precedente 2000-2008. Un aspetto positivo è dato dal fatto che i Paesi più arretrati stanno comunque crescendo a un ritmo superiore rispetto agli altri, lasciando sperare i ricercatori del fatto che il gap possa iniziare a restringersi.
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