F ingeva ogni giorno di andare al lavoro, ma la sua azienda era fallita e da mesi non aveva più nessuna ragione per continuare le abitudini di anni. Quel che gli mancava, oltre al lavoro, era il coraggio di confessarlo in famiglia, dunque fingeva la normalità di sempre. Ogni mattina si vestiva e usciva di casa come se tutto fosse rimasto come prima. Dove andava, nessuno lo sa. Attesa interminabile È la storia di un imprenditore di Nese, una frazione di Alzano Lombardo, in provincia di Bergamo. 63 anni, troppo tardi per ricominciare da zero, troppo presto per rassegnarsi alle giornate vuote. Probabilmente troppa delusione, troppa vergogna, l’amor proprio che viene meno, un futuro carico di nuvole. Dunque ha scelto la zona grigia della procrastinazione e dell’attesa, ma quando ha capito che l’attesa si faceva interminabile, giovedì mattina ha preso la strada del non ritorno.
Per 24 ore deve aver vagato lungo le rive del Serio, forse senza uno scopo, forse con la tentazione di farla finita. E così i familiari, prima stupiti dall’assenza, poi sempre più allarmati di fronte al suo cellulare muto, hanno rotto gli indugi e in serata la figlia ha pensato bene di denunciarne la scomparsa. La sua Renault Clio, abbandonata in una piazzuola di sosta al km 6 della Superstrada della val Seriana, le ore che passavano, i Vigili del fuoco e i carabinieri sguinzagliati, la vana perlustrazione della zona, un elicottero, i sub, la Protezione civile... Come haFinché Billy, un labrador dal naso fino, in un quarto d’ora, verso le dieci di sera e ormai al buio, ha guidato i suoi istruttori verso Ranica. raccontato Fabio Paravisi sabato sul Corriere di Bergamo, non una traccia di speranza tra la valle e la montagna. Finché Billy, un labrador dal naso fino, in un quarto d’ora, verso le dieci di sera e ormai al buio, ha guidato i suoi istruttori verso Ranica, nella zona di San Dionisio, e l’ultima fiutata è andata a fermarsi sui piedi di un uomo con le idee confuse, gli occhi spersi, la vaga intenzione di raggiungere una stazione dei treni. E così la storia dell’imprenditore di Nese si è risolta non proprio in un lieto fine, ma quasi: con un cane eroe, una figlia felice e una vita salvata, diversamente dalle tante vite di piccoli industriali naufragate nella disperazione della crisi. E spesso nel suicidio. Fallire non è morire. OAS_AD('Bottom1');Epilogo diverso da quello di Carrère L’inizio di questa storia somiglia terribilmente all’«Avversario», il capolavoro-verità di Emmanuel Carrère: qui un piccolo imprenditore italiano, là il francese Jean-Claude Roman che per tanti anni mente alla sua famiglia fingendosi medico. Ma là il finale è tragico che più tragico non si può, qui per fortuna, grazie a un cane di nome Billy, niente di irreparabile. Non si contano i romanzi che narrano di fughe senza fine. Qualche volta con il pretesto di un equivoco che diventa l’occasione giusta per liberarsi del passato e cambiar vita per sempre, vedi «Il fu Mattia Pascal», dove l’obiettivo di sottrarsi allo sguardo degli altri è quello di cancellare la propria identità per provare a costruirsene un’altra. E chissà quanti romanzi nasceranno dalle centinaia di smarrimenti fisici e mentali dovuti alla crisi economica di questi anni. Quello dell’imprenditore di Nese potrebbe portare un titolo che apre una speranza: «Fallire Non si contano i romanzi che narrano di fughe senza fine. Qualche volta con il pretesto di un equivoco che diventa l’occasione giusta per liberarsi del passato e cambiar vita per sempre.non è morire». La comprensibile vergogna, peggio se c’è il rimorso di una menzogna, non si deve tradurre meccanicamente nella sparizione definitiva. Chi l’ha detto? Antonio D’Orrico, nel 1991, scrisse un libro intitolato «Cambiare vita». Sottotitolo: «Si vive più di una volta sola». Raccontava casi di gente che dall’oggi al domani ha optato per la svolta. Eravamo alla fine degli anni Ottanta, quando cambiare vita non era proprio una necessità. Oggi spesso lo è, e la vergogna ti soffoca, specie in un piccolo paese, dove tutti ti guardano (e ti giudicano). Ma altrove no, si può finire e ricominciare, a qualunque età. Anzi, se un insegnamento va tratto da questi tempi ciechi è che: si deve. È un imperativo. «Un uomo può essere distrutto ma non sconfitto» diceva Ernest Hemingway. Aveva ragione, avrebbe dovuto credere di più alle sue stesse parole. Purtroppo per lui, il labrador Billy non era ancora nato.
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