Il saggio di Piketty denuncia il ritorno del capitalismo attuale a una fase ottocentesca di gigantesche diseguaglianze, provocate da accumulazione e rendita
PARIGI — «Non ci sono mai stati così tanti miliardari in Francia». Il titolo della rivista economica Challenges , che ha pubblicato la sua 19esima classifica annuale delle più grandi fortune francesi, fa impressione nei giorni in cui la disoccupazione continua ad aumentare, il ministro dell’Economia vara l’ennesimo piano per il potere d’acquisto delle classi medie impoverite, e ai cittadini si chiedono sacrifici sicuri e immediati in vista di un risanamento futuro e incerto.
«Non è che Piketty aveva ragione?», si chiedono la rivista e pure il Financial Times , che qualche settimana fa aveva contestato le cifre alla base del «Capitale nel XXI secolo», la monumentale opera dell’economista francese Thomas Piketty. Uscito quasi in sordina in Francia, accolto come un capolavoro da molta critica americana, il saggio di 1.000 pagine di Piketty (in Italia uscirà a settembre per Bompiani) denuncia il ritorno del capitalismo attuale a una fase ottocentesca di gigantesche diseguaglianze, provocate da accumulazione e rendita che, pur essendo fattori improduttivi, allo stato attuale contano più del lavoro e del talento.
I dubbi sul libro di Piketty riguardavano alcuni dati e l’impostazione — tacciata di essere «neomarxista» da alcuni commentatori, soprattutto in patria — più che la constatazione che le disparità aumentano. Comunque l’indagine di Challenges rafforza gli argomenti e la centralità del problema. Se prendiamo la Francia, secondo Piketty l’1% più benestante della popolazione detiene oggi il 25% della ricchezza nazionale, contro il 23% nel 1970. E le cifre della rivista indicano che il totale dei primi 500 patrimoni francesi è aumentato di oltre il 15% nel 2013, toccando quota 390 miliardi di euro.
I miliardari sono 67, ovvero 13 in più che un anno fa , e circa il doppio rispetto al 2008, anno al quale si fa risalire l’inizio della crisi finanziaria ed economica. Una settimana fa, l’Insee (l’istituto nazionale di statistica) ha pubblicato una ricerca che va nello stesso senso: lo 0,01 più ricco di Francia ha visto il suo reddito crescere in modo spettacolare, + 20%, negli ultimi due anni, quelli della crisi più profonda per il resto della popolazione.
Le cifre sulla nuova diseguaglianza francese arrivano proprio nel momento in cui il presidente Hollande sembra tentato dal cambiare politica e abbassare il peso fiscale. I primi due anni all’Eliseo sono stati segnati da una misura simbolica e contestata come la tassa del 75% sulla parte di reddito superiore al milione di euro, norma peraltro bocciata alla fine dal Consiglio costituzionale e trasferita dai privati alle aziende. Nelle ultime settimane il nuovo primo ministro Manuel Valls ha annunciato una riduzione delle tasse soprattutto per le famiglie, e in generale il clima è cambiato: Hollande non dice più «il mio nemico è la finanza», e il ministro dell’Economia, Arnaud Montebourg, semmai lo corregge proclamando «il nostro unico nemico è il conformismo», e promette una nuova politica di sostegno alle aziende.
Difficile quindi che venga ascoltato l’appello di Piketty a tassare di più i molto facoltosi per ridurre le disparità. D’altra parte, il ministro delle Finanze Michel Sapin ha appena confessato di non avere letto il suo libro, «troppo voluminoso, troppo pesante, non fa per me». In attesa di una miracolosa ripartenza dell’economia a beneficio di tutti, non può lamentarsi intanto Bernard Arnault, presidente del gruppo del lusso LVMH. La sua domanda di nazionalità in Belgio è stata respinta, continua a risiedere e a pagare le tasse in Francia, ma resta l’uomo più ricco del Paese e d’Europa: una fortuna di 27 miliardi di euro nel 2013, ovvero 2,7 miliardi in più rispetto all’anno prima.
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