Primogenito di un disabile, Fardeen Barakzai
aveva solo cinque anni quando suo padre lo spedì per le strade di Kabul a
vendere frutta. Oggi di anni ne ha diciotto e dopo aver messo a rischio la sua
vita, superando le terre inospitali dove imperversa la furia dei Taliban per
arrivare fino alle miniere illegali di Bamyan, è diventato l'autore di un video
di denuncia che sta mettendo in imbarazzo le autorità dell'Afghanistan proprio
sul tema del lavoro minorile.
Non che il problema sia nuovo per il governo guidato dal 2004 dal presidente Hamid Karzai. Da Kabul a Herat, passando per i villaggi della valle dello Swat, i baby-lavoratori sono ovunque. Piccoli venditori, giovani manovali. Affollano bazar e officine, bancarelle e cantieri cercando di procurare qualcosa da mangiare alle proprie famiglie in un Paese affamato di cibo e di pace.
Secondo stime ufficiali del governo, circa un terzo dei bambini afgani, oltre quattro milioni, è impegnato in qualche sorta di lavoro. Ma quella raccolta da Fardeen è una testimonianza diversa, che ha una forza singolare. Perché la sua è la denuncia di un ragazzo sulla miseria di altri ragazzi, poco più giovani di lui. Perché le immagini girate sono agghiaccianti.
Bambini che lavorano in cunicoli bui come il carbone che raccolgono. Hanno volti e corpi ricoperti della stessa polvere del combustibile che respirano. Una polvere che intasa i loro polmoni anche per 12 ore al giorno. A volte sgobbano anche di notte, questi bambini.
Alcuni di soli
dieci anni di età, tutti senza attrezzature di protezione alcuna.
Rispondendo alle domande di Fardeen, uno di loro dice: "Se non fossi qui, sarei
a scuola. Ma lavoro per sfamare la mia famiglia. Sa... mio padre è morto".
Fardeen aveva ricevuto l'incarico di realizzare una testimonianza sul lavoro
minorile dalla scuola, finanziata dal governo danese, Educational Children
Circus for Afghanistan: la stessa che lo aveva tolto dalla strada ad otto anni
quando faceva il venditore ambulante.
Ma non voleva fare le solite interviste nella relativa tranquillità di Kabul. Aveva saputo dell'esistenza di due miniere illegali nella provincia di Bamyan che impiegavano dei minori da un rapporto indipendente che contava 212 bambini, tra i 12 e i 18 anni.
E voleva vederle con i suoi occhi. Così, nonostante il rischioso viaggio di quattro ore tra Kabul e Bamyan che lo aspettava, ha persuaso il direttore della scuola ed è partito, accompagnato da un insegnante e un autista. "Volevo mostrare a Kabul e a tutto l'Afghanistan - ha detto - che il lavoro minorile è un problema enorme per tutti".
Obiettivo centrato: il video è giunto all'Organizzazione internazionale del lavoro. E alle autorità afgane, dove però c'è stata una scrollata di spalle generale. Al ministero del Lavoro sostengono che le leggi esistono, "ma non ci sono risorse" per farle rispettare. Al dicastero delle Miniere, il ministro Wahidullah Shahrani ha candidamente ammesso al Wall Street Journal che "queste sono tristi realtà".
Una speranza per i baby minatori di Fardeen potrebbe arrivare dalla China Metallurgical Group, il consorzio pubblico cinese cui il governo ha appena affidato la concessione per lo sfruttamento del carbone di Bamyan e che inizierà l'attività estrattiva tra qualche mese. Ma quell'area mineraria è cruciale per l'economia afgana: difficile pensare che Kabul alzerà la voce con il colosso cinese, se dovesse impiegare dei bimbi. Per di più, la Cina non è esattamente un campione in quanto a tutela delle norme sul lavoro.
Non che il problema sia nuovo per il governo guidato dal 2004 dal presidente Hamid Karzai. Da Kabul a Herat, passando per i villaggi della valle dello Swat, i baby-lavoratori sono ovunque. Piccoli venditori, giovani manovali. Affollano bazar e officine, bancarelle e cantieri cercando di procurare qualcosa da mangiare alle proprie famiglie in un Paese affamato di cibo e di pace.
Secondo stime ufficiali del governo, circa un terzo dei bambini afgani, oltre quattro milioni, è impegnato in qualche sorta di lavoro. Ma quella raccolta da Fardeen è una testimonianza diversa, che ha una forza singolare. Perché la sua è la denuncia di un ragazzo sulla miseria di altri ragazzi, poco più giovani di lui. Perché le immagini girate sono agghiaccianti.
Bambini che lavorano in cunicoli bui come il carbone che raccolgono. Hanno volti e corpi ricoperti della stessa polvere del combustibile che respirano. Una polvere che intasa i loro polmoni anche per 12 ore al giorno. A volte sgobbano anche di notte, questi bambini.
Alcuni di soli
Ma non voleva fare le solite interviste nella relativa tranquillità di Kabul. Aveva saputo dell'esistenza di due miniere illegali nella provincia di Bamyan che impiegavano dei minori da un rapporto indipendente che contava 212 bambini, tra i 12 e i 18 anni.
E voleva vederle con i suoi occhi. Così, nonostante il rischioso viaggio di quattro ore tra Kabul e Bamyan che lo aspettava, ha persuaso il direttore della scuola ed è partito, accompagnato da un insegnante e un autista. "Volevo mostrare a Kabul e a tutto l'Afghanistan - ha detto - che il lavoro minorile è un problema enorme per tutti".
Obiettivo centrato: il video è giunto all'Organizzazione internazionale del lavoro. E alle autorità afgane, dove però c'è stata una scrollata di spalle generale. Al ministero del Lavoro sostengono che le leggi esistono, "ma non ci sono risorse" per farle rispettare. Al dicastero delle Miniere, il ministro Wahidullah Shahrani ha candidamente ammesso al Wall Street Journal che "queste sono tristi realtà".
Una speranza per i baby minatori di Fardeen potrebbe arrivare dalla China Metallurgical Group, il consorzio pubblico cinese cui il governo ha appena affidato la concessione per lo sfruttamento del carbone di Bamyan e che inizierà l'attività estrattiva tra qualche mese. Ma quell'area mineraria è cruciale per l'economia afgana: difficile pensare che Kabul alzerà la voce con il colosso cinese, se dovesse impiegare dei bimbi. Per di più, la Cina non è esattamente un campione in quanto a tutela delle norme sul lavoro.
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