L’immaginario collettivo degli economisti: ecco il colpevole. Quell’economia mainstream costruita intorno a teorie largamente condivise e, come tali, insegnate come dogmi nelle università di tutto il mondo. Università da cui poi escono altri economisti “fedeli” a queste teorie rivelatesi già una volta non in grado di vedere la crisi che stava arrivando.
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La diagnosi spietata di Wolfgang Streeck, direttore del Max-Planck Institut di Colonia: «La crisi attuale non è un fenomeno accidentale, ma il culmine di una lunga serie di disordini politici ed economici che indicano la dissoluzione di quella formazione sociale che definiamo capitalismo democratico»
Nata nel 2012 da un gruppo di appena sette ragazzi, la Post-crash economics society è in pochi anni riuscita a porre al centro del dibattito accademico la necessità di introdurre un maggiore pluralismo nei corsi di studio di economia e sostiene l’importanza di affiancare all’insegnamento della scuola neoclassica anche teorie oggi tenute ai margini dal mondo accademico. Tra queste scuole di pensiero alternative, la Pces segnala due lavori tornati in auge per spiegare la crisi finanziaria: la critica fatta dalla scuola Austriaca, secondo cui è l’intervento delle banche centrali sui tassi di interesse a creare uno squilibrio che poi la recessione interviene per risolvere, o l’ipotesi dell’instabilità finanziaria di Minsky, che teorizza l’euforia speculativa a cui poi segue l’aumento del credito e il panico di fronte alla fine dell’aumento dei prezzi, facilmente applicabile all’esplosione della bolla dei mutui Subprime negli Stati Uniti (alimentata dall’estrema facilità di accesso al credito da parte di soggetti rivelatisi poi incapaci di restituire il dovuto).
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L’esempio del gruppo di Manchester non è rimasto confinato all’Inghilterra. Da quella e da altre esperienze simili, in tutto il mondo, sono spuntati negli ultimi anni gruppi che si prefiggono l’obiettivo di allargare gli orizzonti degli insegnamenti economici. Riuniti in network internazionali come Rethinking Economics, si contano rappresentanze in quindici paesi occidentali e in dieci atenei del centro-nord solo in Italia, a dimostrazione di un’esigenza sentita in tutto il mondo accademico.
La mobilitazione dal basso ha ottenuto tanti consensi da riuscire a richiamare anche economisti di primo piano: il libro Econocracy (un titolo che richiama a un gioco di parole tra econo-pazzia ed econo-crazia) realizzato da uno dei fondatori della Post-crash economy society e che espone in maniera più strutturata le teorie del gruppo, ha ottenuto ad esempio l’endorsement tra gli altri di big come Martin Wolf, Vince Cable e Robert Skidelsky. L’economista, finalmente, si è accorto di essere nudo.
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