lunedì 17 luglio 2017

INTELLIGENZA ARTIFICIALE ROBOTICA LAVORO E AUTOMAZIONE. A. SIGNORELLI, Il futuro del lavoro, tra robot e reddito di cittadinanza, LA STAMPA, 17 luglio 2017

I timori relativi all’impatto delle macchine sul mondo del lavoro non sono novità: dai luddisti di inizio Ottocento fino agli autori del rapporto Triple Revolution del 1964 (che giunse sulla scrivania del presidente degli Stati Uniti Lyndon Johnson), la storia recente è costellata di allarmismi riguardanti il rischio di una disoccupazione di massa causata dall’automazione dei lavori. Regolarmente, però, le previsioni più pessimistiche sono state smentite e gli impieghi cancellati sono stati sempre sostituiti da nuovi lavori, senza causare un aumento degli inoccupati. Visti i precedenti, perché la diffusione dell’intelligenza artificialecontinua invece a essere considerata una minaccia per i lavoratori? 



“Stiamo assistendo a qualcosa di radicalmente diverso dal passato e, a mio parere, i timori questa volta sono fondati”, spiega Martin Ford, autore de Il futuro senza lavoro (Il Saggiatore). “L’accelerazione dell’automazione procede a ritmi esponenziali, che la società non è preparata per affrontare. Inoltre, oggi siamo alle prese con software e robot che, grazie al machine learning , stanno iniziando a pensare e sono in grado di prendere decisioni”. 

Lo scenario, quindi, è molto più complesso rispetto al passato: secondo un noto report di Merrill Lynch, fino al 47% dei lavori attualmente compiuti negli Stati Uniti può essere automatizzato: “Le auto autonome da sole, per fare un esempio, possono potenzialmente eliminare milioni di posti di lavoro”, prosegue Ford. “Lo stesso vale per chi cucina nei fast food, sistema gli scaffali e in generale tutti coloro i quali compiono lavori routinari e ripetitivi”. I timori si basano anche su dati oggettivi, che mostrano una tendenza in corso ormai da lungo tempo: il 20% delle mansioni esistenti oggi sono state create negli ultimi cent’anni, eppure impiegano solo il 10% dei lavoratori. “I nuovi lavori, quindi, non sono in grado di assorbire tutti quelli che si stanno perdendo”. 


Un altro dato significativo riguarda il rapporto tra il compenso ottenuto da un lavoratore e la sua produttività: fino agli anni ‘70, le due linee crescevano di pari passo. Negli ultimi 40 anni, invece, il compenso è rimasto sostanzialmente fermo, mentre la produttività è più che raddoppiata. Come si spiega? “Finché la tecnologia creava strumenti che aiutavano i lavoratori, i guadagni crescevano assieme alla produttività”, spiega ancora Ford. “Negli ultimi decenni, però, la tecnologia ha sminuito il valore dei lavoratori, ed è per questo che le due linee divergono sempre di più. Questo grafico, in un certo senso, spiega anche la vittoria di Donald Trump, che ha conquistato un sacco di voti tra chi sente di star subendo sulla propria pelle il progresso tecnologico”. 


Ma l’incognita più importante è una: quali sono i lavori che resisteranno all’avanzata delle macchine? “Tutto ciò che ha a che fare con la creatività, con la cura delle persone e con la capacità di lavorare con gli altri non può ancora essere replicato dalle macchine. Ma questo non varrà per sempre, perché alcune sperimentazioni già oggi in corso fanno pensare che, prima o poi, le intelligenze artificiali saranno in grado di sostituirci anche sotto questi fronti”. 

La società dovrà quindi affrontare enormi trasformazioni anche dal punto di vista economico: in un futuro in cui sempre meno persone lavorano e guadagnano, chi comprerà i beni che vengono prodotti? “A mio parere, sul lungo termine, non c’è altra soluzione che separare il lavoro dal reddito, introducendo qualche forma di reddito di cittadinanza ”, conclude Ford. “Al momento sono in corso alcune sperimentazioni su piccola scala, per esempio negli Stati Uniti o in Finlandia , ma nel futuro penso che sarà inevitabile adottare misure di questo tipo”.  

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