Il fondamentalismo giudiziario uccide il lavoro a colpi di “precauzione”
La decisione traumatica del giudice delle indagini preliminari di Taranto che ha sequestrato i forni dell’Ilva ha drammatizzato una situazione sulla quale già da tempo si agiva, d’intesa tra proprietà, sindacati e autorità pubbliche, per risolvere i problemi di inquinamento del passato e per evitare che si determinassero nuovi pericoli per la salute. Il gip, invece, sostiene che il pericolo sia attuale e consistente, in base al noto “principio di precauzione” che si presta per la sua genericità a interpretazioni di ogni genere. Naturalmente è giusto che attraverso un dibattimento si verifichino i fatti, le responsabilità, gli eventuali reati. L’ordinanza di sequestro, invece, che implica di fatto la cessazione delle attività del più grande stabilimento siderurgico italiano, è una sentenza emanata prima del dibattimento, in base a princìpi di tipo prevalentemente ideologico. Basta leggere il testo dell’ordinanza dove si sostiene che non si possono ammettere “contemperamenti, compromessi o compromissioni di sorta” in nome della “logica del profitto” (e altri “cinismi”) per intendere il carattere fondamentalista dell’iniziativa giudiziaria.
La risposta dei lavoratori è stata compatta, drammatica e pacifica, l’azione delle istituzioni, a cominciare dal governo nazionale, e delle rappresentanze sociali cerca di trovare soluzioni che salvaguardino il lavoro e la salute, cioè quel “compromesso” che il gip sembra non voler prendere neppure in considerazione. Si vedrà come evolverà la situazione, che anche sul piano tecnico non può essere gestita con il tratto di penna di un qualche magistrato. Spegnere altiforni non è come premere un interruttore, richiede tempi lunghissimi, che possono essere impiegati per realizzare le salvaguardie aggiuntive richieste dalla magistratura. Può anche darsi che, una volta soddisfatta l’autoreferenzialità ideologica, i magistrati tarantini si accontentino del risultato acquisito e vadano al processo in modo regolare, senza strangolare un’impresa che è il motore produttivo della città ionica e di una lunga catena del lavoro. La retorica giustizialista, sommata all’estremismo ambientalistico, può formare una miscela altrettanto tossica degli inquinanti delle acciaierie. Dire, come hanno fatto i magistrati in polemica con il ministro dell’Ambiente, che l’ambiente è la vittima e che il ministro dovrebbe tutelarlo invece di pensare a salvare il lavoro, è segno evidente di ostilità preconcetta. I problemi complessi, come quello della compatibilità tra una produzione siderurgica e un’area urbana, richiedono attenzione, conoscenza tecnologica, serietà, rispetto della legge e buona politica. L’Ilva è ora un banco di prova della capacità, sostenuta dalla mobilitazione dei lavoratori, di imporsi sul nuovo fondamentalismo ambientalista.
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