(...) Subito dopo l’acquisito della Chrysler Marchionne la rimise in piedi concentrandosi sulla promozione ed espansione dei marchi di nicchia Jeep e Ram, tralasciando gli investimenti sui marchi classici Dodge e Chrysler.
Questa decisione, che ha coinciso con il boom degli acquisti degli Suv e pulmini negli Stati Uniti, ha fatto sì che la Fiat Chrysler raddoppiasse le vendite negli Stati Uniti dal 2009. Marchionne ha inoltre supervisionato l’ingresso in borsa del fiore all’occhiello della Fiat Chrysler, la Ferrari, che, contrariamente a quanto molti avevano previsto, ne ha fatto gravitare le azioni, dalla comparsa a piazza affari nell’ottobre 2015, il titolo si è quasi triplicato in termini di valore. Nell’ultimo anno, le azioni di Race sono aumentate del 37%. (...)
Lavoratore instancabile, per anni ha dormito sul divano del suo aereo privato mentre faceva la spola tra gli uffici di Detroit, Torino e Londra, spesso nella stessa settimana. Non sarà facile sostituirlo specialmente nel mondo delle guerre dei dazi di Donald Trump. (...)
Con Marchionne la Fiat perde un capitano d’industria, un timoniere che nulla ha da invidiare ad Henry Ford. Anche i sindacati non possono negare questa verità. Elogiare i grandi servitori del capitalismo non è facile ed è certamente pericoloso, ma bisogna dare a Cesare quel che e’ di Cesare. Se il capitalismo deve essere ed è il modello della produzione prescelto dal sistema in cui viviamo allora che sia un capitalismo illuminato, che benefici tutti, dal grande capitale agli operai fino ai consumatori, anche se in misura diseguale. E questo era il capitalismo in cui credeva Marchionne. L’aver salvato la Chrysler dalla bancarotta e con questa mossa aver rimesso in piedi la Fiat è un successo anche e soprattutto per le tute blu di Detroit. Anche a loro il manager che nessuno ha mai visto in cravatta mancherà.
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