Il vero motore dell'economia è ormai la tecnica, destinata al dominio del mondo Una spinta che progetta l'incremento indefinito di se stessaChi si oppone finisce per rinchiudersi nei limiti della sua particolarità, della Tradizione
S crive Natalino Irti: «Perché, mi domando, e domando a Severino, la tecnica come capacità indefinita di realizzare scopi (capacità velata di astratto e generico) sarebbe destinata a soverchiare la tecnica della forza, che è immanente al diritto e che accompagna ogni norma con la protezione di atti coercitivi? Perché quella volontà di potenza è più potente di questa?».La domanda che Irti mi rivolge si trova nel suo libro più recente L'uso giuridico della natura (Laterza) che, egli ricorda, prolunga la pluridecennale discussione tra noi due sul tema della tecnica. E la prolunga in modo quanto mai felice, innanzitutto per l'importanza di queste pagine. Dedicate a me «nella concordia discors del pensiero». Lo ringrazio di cuore. Con altrettanta generosità l'eminente giurista rileva di quanto si sia ridotto il suo sentirsi «discorde». Rimane però quella domanda. Da lui rivoltami altre volte e a cui altre volte ho risposto. Dev'esserci quindi qualcosa che inceppa l'intesa, e che provo a snidare. Accennerò poi alla direzione delle motivazioni che costituiscono l'organismo della risposta (attendendo che Irti le consideri). Il mio discorso sulla tecnica non indica uno stato di cose già in atto, ma una tendenza (non priva di resistenze): all'interno delle diverse forme di tecnica è oggi in via di formazione il progetto che ha lo scopo di aumentare senza limiti la capacità umana di realizzare scopi, di dominare il mondo. Anche, ma non solo, per questo vado scrivendo che la tecnica, in quanto è tale progetto, è «destinata» a prevalere sulle forme di tecnica che ad esso si oppongono. (La «destinazione» si riferisce al futuro). Questa capacità è «velata di astratto e di generico» (come scrive Irti), ma solo nel senso che oggi l'uomo non può conoscere concretamente e specificamente le proprie capacità future. La sua volontà vuol diventare «sempre più» potente. Soprattutto oggi, nel tempo in cui i Limiti filosofico-religiosi posti dalla Tradizione all'agire umano vanno mostrando, soprattutto all'interno del pensiero filosofico, la loro impotenza pratica e concettuale... «Volontà di potenza» e «tecnica» sono sinonimi; ma la Tecnica che progetta l'incremento senza Limiti inviolabili della propria potenza differisce essenzialmente da tutte le forme di tecnica in quanto sottoposte a quei Limiti e che pertanto le si oppongono. Differisce da esse, spingendole altrove, ma agendo al loro interno. Si chiamano economia, politica, morale, diritto, arte, le stesse discipline scientifiche (fisica, biologia, astronomia, eccetera) e le «tecniche» da esse guidate (apparati industriali, militari, burocratici, sanitari, scolastici eccetera). Anche il capitalismo è ancora, prevalentemente, una forma della Tradizione: pone come Limiti inviolabili (e pertanto come «verità» indiscutibili e «naturali») l'uomo in quanto individuo isolato e libero, la proprietà privata di beni e mezzi di produzione, il mercato come dimensione che rende possibile il profitto e la sua crescita, la concorrenza e, anche, il sistema di leggi che garantiscono la perpetuazione di questi Limiti, il sistema cioè che nelle società capitalistiche viene chiamato «diritto» tout court.Invece, Irti è ancora convinto che, nel mio discorso, quella tra la Tecnica e le altre forme di volontà di potenza sia la contrapposizione tra una certa particolare forma di tecnica, quella fisico-matematico-biologica, e le altre forme, tra cui il diritto (la volontà capace di regolare altre volontà). E, appunto, si domanda perché debba prevalere l'una piuttosto che l'altra. Sennonché, dico destinata a prevalere non quella forma particolare (sebbene oggi emergente), ma la Tecnica in quanto progetto di incrementare all'infinito la potenza presente nelle tecniche esistenti e che mira a porre tale incremento come la norma suprema ? la norma che è il più radicale superamento delle Norme e Limiti imposti dalla Tradizione. Un progetto dunque che non sta sopra la testa di quelle forme («astratto e generico»), e non è nemmeno la loro semplice somma, ma tende ad esser sempre più presente e dominante in ognuna (e, certo, in modo più avanzato, nella forma fisico-matematico-biologica) e a distoglierle dalla loro soggezione ai Limiti inviolabili che via via sono stati loro imposti. Nel diritto quei Limiti si incarnano nel cosiddetto «diritto naturale». Che però tende ad essere sempre più emarginato dalla convinzione che il diritto sia «positivo», posto storicamente dalle volontà vincenti; non, quindi, espressione di una volontà che rispecchia una immodificabile «Legge Naturale». Nel mondo occidentale (ma ormai sull'intero Pianeta, sia pure in modi molto differenziati e spuri) vincente è ancora, e nonostante le sue crisi, la volontà capitalistica, ed essa si impone come «la Legge», lasciando sullo sfondo, quasi dimenticato, quel carattere «positivo» della legge che sta soppiantando la pretesa del diritto capitalistico, di essere «naturale». La «forza» e la capacità «coercitiva» sottolineate da Irti non competono cioè a una pura volontà giuridica separata dalla volontà vincente, ma alla capacità di quest'ultima di rendere operante la forza e il carattere coercitivo della volontà giuridica. (La contrapposizione tra potere politico e potere giudiziario ? o quella dove un gruppo economico è sottoposto al giudizio della magistratura ? si svolge completamente all'interno dell'orizzonte giuridico che tutela i valori dell'economia di mercato).La volontà che progetta l'incremento indefinito della potenza non è quindi, come invece Irti mi obbietta, «astratta disponibilità, generica forza di raggiungere risultati», «indistinta e indefinita varietà degli scopi», «nome con funzione riassuntiva» ? mentre il diritto avrebbe il vantaggio di essere «decisione» che impone certi scopi escludendone altri (pp. 53-54). Le cose non stanno così.Le decisioni del diritto sono le decisioni del capitale, o dell'economia pianificata, cioè delle forme di volontà di volta in volta vincenti. Le volontà di potenza che hanno come scopo la potenza di certuni e non di altri, di certe concezioni del mondo e non di altre, di certe forme di ricerca e non di altre, non possono avere come scopo la crescita senza limiti ed esclusioni della potenza, ma la ostacolano. (Il socialismo reale ha ostacolato lo sviluppo tecnologico dell'Urss; il capitalismo evita la produzione dei beni che, pur vantaggiosi per l'uomo o l'ambiente, non avrebbero mercato, e alimenta forse quella relativa scarsità delle merci senza la quale, cioè con la loro abbondanza e la caduta della domanda, non avrebbe nulla da vendere. E in ognuno di questi casi vengono ostacolate forme di potenza, quali, appunto, la tecno-scienza, il benessere dell'uomo e dell'ambiente, il superamento della scarsità).Perché, dunque ? riformulo così la domanda di Irti ? la Tecnica è destinata a prevalere sulle forme particolari di essa nella misura in cui la ostacolano? E che le si oppongono sia per il loro chiudersi nella loro particolarità, sia per l'esser ancora soggette ai Limiti della Tradizione? E quindi: perché la Tecnica è destinata a prevalere anche sul diritto in quanto le si oppone nel senso ora indicato (visto che, nella misura in cui sono invece il terreno in cui prende piede la Tecnica in quanto progetto di potenziare all'infinito la potenza, la Tecnica non prevale su di esse, emarginandole, ma se ne serve ? o prevale nel senso che quel progetto è lo scopo che regola i loro scopi particolari)?Rispondo così. 1) Oggi la tecnica (tecno-scienza e apparati) si presenta ancora come un mezzo, anzi come il mezzo più potente di cui si servono le volontà di potenza dominanti e tra di loro in conflitto: Stati, concezioni politiche e religiose e, soprattutto, la volontà oggi più potente, il capitalismo. 2) Ma nella tecnica si sta facendo largo, ravvivandola, la Tecnica in quanto progetto di incrementare all'infinito la potenza, oltre ogni Limite «assoluto». 3) Il fondamento di questa negazione è l'essenza ? il «sottosuolo» essenziale ? del pensiero filosofico del nostro tempo. 4) Nel conflitto, ogni volontà può prevalere sulle altre solo se rafforza sempre di più il mezzo tecnico di cui dispone. 5) Tale rafforzamento è ulteriormente rafforzato dal progressivo prender piede, nella tecnica, del progetto della Tecnica di aumentare all'infinito la potenza ? e tale progetto è a sua volta rafforzato dalla volontà, quella capitalistica in testa, di potenziare il mezzo di cui essa dispone. 6) Pertanto lo scopo delle volontà dominanti si trasforma. Infatti, riferendoci ora al capitalismo, esso ? e quindi il diritto che lo esprime e sancisce ? tende a non aver più come scopo primario l'incremento del profitto, ma la sintesi tra tale incremento e il rafforzamento del mezzo: il rafforzamento che nella sintesi tende a occupare sempre più spazio rispetto a quell'incremento. 7) In tal modo la tecnica, da mezzo, tende a diventare lo scopo di quelle volontà ? che quindi si trasformano e la cui configurazione originaria tramonta. La tecnica tende dunque a diventare lo scopo del capitalismo e del diritto capitalistico. E in questa tendenza consiste la destinazione della tecnica al suo prevalere su di essi e al dominio del mondo. 8) A questo punto si tratterebbe di richiamare il senso autentico di tale «destinazione», confrontando ad esempio i miei La tendenza fondamentale del nostro tempo, pubblicato dalla Adelphi nel 1988, o Capitalismo senza futuro, edito l'anno scorso dalla Rizzoli. Ma, dicevo all'inizio, questo è solo un cenno alla direzione della risposta. RIPRODUZIONE RISERVATA
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