Anticamente i romani si spinsero fino alla foci del Nilo in cerca di schiavi e soprattutto oro. In pochi riuscirono a rientrare a Roma. Alcuni morirono durante la spedizione, altri vennero inglobati dalle tribù locali. A fine 800 a Berlino il peggior sarto avrebbe tracciato delle linee diverse per ripartire i confini dei vari stati africani. Dalla sconfitta di Adua l’Italia avrebbe reagito con veemenza e spirito revanchista sganciando nel 1911 le prime bombe sul territorio libico cent’anni prima della guerra civile. Un primo assaggio dell’industria bellica made in Italy.
Nel 2012 l’industria armiera italiana ha rilasciato autorizzazioni al Ciad per un valore di 87.937.870 euro. Simile discorso per il Gabon, caratterizzato da un regime autoritario, verso il quale nel 2011 sono state rilasciate autorizzazioni per armamenti italiani del valore complessivo di oltre 30 milioni di euro. Nel 2011 come anche nel 2012 il primo acquirente africano di sistemi militari italiani è stato l’Algeria (oltre 477 milioni di euro di autorizzazioni nel 2011 mentre 262.857.947 di euro nel 2012). Il governo Berlusconi ha autorizzato l’esportazione di un completo arsenale militare basato innanzitutto su sistemi antisommossa, ovvero 75 mila cartucce lacrimogene.
Durante il premierato di Berlusconi sono stati sostenuti diversi regimi nordafricani da quello di Ben Alì in Tunisia, a quello di Gheddafi in Libia per finire a quello di Mubarak in Egitto. Già prima dello scoppio della sommossa egiziana erano arrivati al Cairo più di 2000 fucili d’assalto Beretta per non parlare dei colpi per carri armati prodotti dalla Simmel Difesa, azienda di Colleferro, alle porte di Roma. La vendita di armi in Africa coincide spesso con lo sfruttamento di risorse energetiche dalle quali dipende il nostro Paese se si pensa soprattutto ad Algeria e Libia. Proprio durante la guerra libica l’Italia è stato il primo grande esportatore di armi verso Gheddafi.
Negli anni 90 in Sierra Leone l’Italia è stato il primo fornitore di armi leggere ed esplosivi. In Burkina Faso nel 1997 sono state vendute pistole italiane per un valore di 87.000 dollari. Infine nel Corno d’Africa, dove siamo attivi con la missione in Somalia, sono state vendute negli anni molte armi leggere italiane. Questo conflitto d’interesse italiano tra l’apparato militare e quello della Difesa esistente da anni ha indotto il generale Mini a ipotizzare la Difesa come “piazzista” estero di Finmeccanica. Il notevole commercio di armi leggere ha alimentato dei flussi illegali indiretti, dei circuiti spesso legati alla criminalità.
La diffusione di armi ha poi generato nuovi conflitti per i quali si è intervenuti con delle missioni internazionali. Molti dei dittatori africani temendo il peggio per ragioni di sicurezza si sono circondati di guardie armate private munite di armi dalla testa ai piedi. Un commercio indefinito in cambio di risorse energetiche o materie prime che alimentano le guerre dei cosiddetti “warlords” che trafficano oro e diamanti protetti spesso da potenze mediorientali o comunque asiatiche. L’idea dell’Africa Gialla è una realtà da tempo. Dai romani ai cinesi passando per inglesi e francesi le esplorazioni in Africa hanno avuto l’unico obiettivo di sfruttare l’enorme ricchezza del continente africano per trasformarlo negli anni in una polveriera di guerre intestine.
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