LONDRA - Tutta colpa di Reagan e della Thatcher. E' questa la risposta di prammatica alle domande sul perché in Occidente il gap ricchi-poveri sia paurosamente aumentato negli ultimi trent'anni e l'ineguaglianza tra l'1 per cento e il 99 per cento della popolazione in Europa e negli Stati Uniti sia diventata più evidente. Ma se la ragione di questo profondo mutamento sociale fosse un'altra? E' la tesi di un libro che fa molto discutere in questi giorni sulle due sponde dell'Atlantico. Si intitola "The second machine age" (La seconda età delle macchine), gli autori sono due accademici americani, Erik Bryniolfsson e Andrew McAfee, e la loro tesi è che la responsabilità di quanto è avvenuto sia da imputare più al progresso tecnologico, in particolare alla rivoluzione digitale, che a reaganismo e thatcherismo.
Naturalmente è vero che tra fine anni '70 e inizio anni '80 il presidente repubblicano e la premier conservatrice, entrambi paladini del neoliberalismo, tagliarono le tasse, ridussero la spesa pubblica, avviarono la deregulation dei mercati finanziari, creando economie forse più dinamiche ma più diseguali. I leader venuti dopo di loro hanno parzialmente corretto il tiro, ma la filosofia è rimasta la stessa, anche dopo il collasso globale del 2007-2008 provocato almeno in parte da tali politiche. La spinta neoliberista, proseguita in diversa misura da Clinton e Blair, può avere contribuito alla globalizzazione, che ha portato maggiore benessere a miliardi
di persone nei paesi in via di sviluppo. Ma è indubbio che ha fatto indietreggiare la classe media occidentale, dove ha colpito molti premiando pochi.
La politica del laissez-faire reaganiano o thatcheriano non è stata adottata in modo uniforme in tutto l'Occidente, notano tuttavia gli autori del libro. Eppure il gap ricchi-poveri è aumentato in modo analogo pressoché in tutta Europa e America del Nord. Anzi, nel loro libro notano che negli ultimi tre decenni la diseguaglianza è aumentata in Svezia, Finlandia e Germania, paesi con una cultura politica e un'economia differenti da quelli di Usa e Regno Unito, più di quanto sia avvenuto proprio negli Stati Uniti e in Gran Bretagna.
La stagnazione del reddito dei ceti metodi, sostengono i due economisti, in effetti non è cominciata nella Washington di Reagan o nella Londra della Thatcher, bensì in California, dove nel 1980 Bill Gates e Steve Jobs muovevano i primi passi della rivoluzione digitale. E' stato questa svolta tecnologica a infliggere un colpo senza precedenti alle masse, afferma il loro studio. La gente ha sempre temuto che nuove tecnologie rendessero obsoleto il lavoro umano e riducessero l'occupazione, ma fino ad ora era sempre avvenuto il contrario: la rivoluzione commerciale del '700 e quella industriale dell'800 hanno creato più lavoro, non meno, e diffuso più benessere. Ma la rivoluzione digitale è differente. Con essa i posti di lavoro diminuiscono, anziché aumentare.
Il libro cita un caso tipico. La Kodak, fondata nel 1880, al suo apice aveva quasi 150 mila dipendenti, a cui se ne aggiungevano molti di più nell'indotto. I suoi fondatori sono diventati ricchi, ma hanno offerto lavori qualificati a generazioni di americani della classe media. Instagram, viceversa, fu lanciato nel 2010 da una società di 4 persone. Nel 2012 è stato venduto a Facebook per 1 miliardo di dollari. E Facebook, con un valore immensamente più grande di quanto la Kodak ne abbia mai avuto, impiega in tutto 5 mila persone. Almeno una decina delle quali sono ricchi dieci volte di più di George Eastman, il fondatore della Kodak.
Ecco perché la "seconda età delle macchine" è anche un'era di crescente diseguaglianza. Bastano aziende di pochi programmatori o ingegneri elettronici per creare servizi utili a miliardi di persone e in grado di generare miliardi di utili. Tanti mestieri stanno scomparendo, rimpiazzati dalle macchine: si è cominciato con i lavori più umili, dalla cassiera di supermercato all'impiegato di banca, ma presto potrebbe essere il turno di avvocati, medici e altri professionisti. Coloro che non hanno la capacità o la fortuna di acquisire il know-how necessario a lavorare nelle industrie di élite saranno sempre più tagliati fuori dalle occupazioni ben pagate e gratificanti. La classe media precipiterà sempre più in basso. Il divario tra l'1 per cento e il 99 per cento crescerà.
Il libro dei due studiosi americani non offre una soluzione al problema: al momento non c'è molto, concludono gli autori del libro, che i leader politici possano fare per invertire questa tendenza. E una recente storia di copertina dell'Economist è giunta alla stessa conclusione: "Cosa può fare la tecnologia ai lavori di domani", s'intitolava, accompagnata dall'immagine di un tornado che sconvolge e spazza via un ufficio di esseri umani seduti alla scrivania.
(03 febbraio 2014)
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