lunedì 2 dicembre 2013

ITALIA. SFRUTTAMENTO DEI LAVORATORI CINESI. A. CRISPINO, Prato, la tragedia annunciata: cosi si muore per 40 centesimi a vestito, IL CORRIERE DELLA SERA, 2 dicembre 2013

Da lì non si esce. Mai. Nemmeno la luce del sole si vede. Mai. Le vetrate sono ricoperte da strati di cellophane nero. Dall’esterno non si deve vedere niente. Anche le finestre sono sempre chiuse, d’estate come d’inverno. Bisogna fare il minimo rumore. Nell’aria sale e scende la fuliggine provocata dal cotone che incessantemente passa sotto i macchinari. Sembra neve. Se ne trova a batuffoli sulle cucitrici, per terra, sugli abiti. Ma anche nei capelli degli operai, sulla loro pelle. La respirano 24 ore.

http://www.corriere.it/inchieste/prato-tragedia-annunciata-cosi-si-muore-40-centesimo-vestito/afd8fe5a-5b2e-11e3-bbdb-322ff669989a.shtml




Nelle fabbriche della cinatown più grande d’Europa, i cinesi ci vivono. Sono luoghi inaccessibili per gli altri. Monitorati dall’esterno da telecamere a circuito chiuso. Se bussate non risponde nessuno. Eppure si sente il lavorio frenetico delle persone. Se bussate con più insistenza i macchinari rallentano o, comunque, diminuisce il rumore. Dalle spalle vedete spuntare un gruppo di due o tre cinesi. Non riuscite a capire da dove. Non fanno niente, vi osservano. E continuano ad osservarvi finché non andate via. In alcuni casi vi seguono e vi scortano per un po’ di strada finché non siete lontani abbastanza.

INFERNO E CONTANTI - Partecipiamo a un blitz notturno del comando provinciale della Guardia di Finanza di Prato. Su 6500 imprese tessili, 3500 sono cinesi. La notte come il giorno non fa differenza. Qui si lavora sempre, non esistono turni, festività, giorni di riposo, malattie. Almeno non per i nuovi schiavi cinesi che ci lavorano. I boss, invece, fanno la spola con la madreCina.

In occasione del carnevale stanno via anche un mese intero. Loro arrivano con le Porsche in fabbrica, si portano appresso valigette piene di contanti. Poi vanno via. Sono da poco passate le due di notte quando le volanti della Guardia di Finanza bloccano due fabbriche. Si trovano alla periferia della città. Ci sono tanti banchi di lavoro uno attaccato all’altro, montagne di tessuti e fusi. Quando entriamo sono tutti di spalle. Sono tutti a lavoro. Lungo uno dei perimetri del capannone ci sono pareti di cartongesso con una porta di legno al centro. Li chiamano “loculi”. Perché più che assomigliare a una stanza da letto ricordano le nicchie nei cimiteri: piccole, strette, basse, senza luce o punto d’aria. Alcune non hanno nemmeno il solaio. Oppure è fatto di cartone e pezze. Quelli più fatiscenti li tengono nascosti.

Ogni capannone nasconde un’intercapedine che, in genere, porta al piano superiore. Nel nostro caso una finta libreria nascondeva l’accesso alle scale. Quello che si vede è qualcosa di bestiale. Esseri umani ammassati l’uno accanto all’altro in stanze di cartone e pavimenti di amianto. In un armadio a tre ante poggiato su una parete di un corridoio si sentono dei rantoli. Lo apriamo pensando ci siano topi; c’è un ragazzo a dormire. E’ così rattrappito per il poco spazio e stordito per la poca aria da non riuscire ad alzarsi. Molti di loro si appoggiano sui letti vestiti. Devono essere operativi sempre. Pronti a cambiare turno. Non ci sono servizi igienici per tutti. C’è un solo bagno per piano. Mediamente devono servire una trentina di persone.

Accanto a ogni materasso (spesso senza rete, appoggiato a terra) ci sono bacinelle per urinare e fare i bisogni. Mangiano in un angolo ricavato sempre in fabbrica dove l’assenza di finestre contribuisce a rendere tutto grasso e nero. Le pareti sono unte e attorno ai sacchi di alimentari (soprattutto riso e uova) c’è una colla nera. Ci spiegano che serve per catturare gli scarafaggi. Le porte non ci sono. Le sostituiscono veli, lenzuola, paraventi. A terra, tra una stanza e l’altra, ci sono tavole di truciolato alte più o meno mezzo metro. Servono per non far passare i topi dove ci sono i bambini. Già, i bambini. Fanno la stessa vita dei genitori. Qualcuno più fortunato va a scuola. Gli altri lavorano in fabbrica. Proprio accanto ai macchinari tenta di appisolarsi una bambina dal viso dolcissimo. E’ seduta in mezzo al letto, non ha sonno. Con il trambusto delle macchine in azione è difficile anche sentire il vicino parlare. Chiediamo alla mamma quanti anni ha. Non capisce l’italiano.

I BAMBINI NASCOSTI - La bimba invece sì. Alza le manine e forma il numero 8. Ha otto anni. Nei due capannoni che perlustriamo ne sbucano tantissimi. Tutti molto piccoli. Una di loro parla italiano. La luce della telecamera la sveglia. Ci dice che la mattina va a scuola. Il resto della giornata lo passa in fabbrica con i parenti. Prato, l’Italia... per lei sono quella stanza di cartone e la strada che fa per andare a scuola. I cinesi a Prato come a Firenze o Livorno sono indicati come i nuovi padroni. Ma di quelli che arrivano in Ferrari o pagano i conti degli hotel superlusso con mazzette di banconote o comprano interi palazzi in centro a suon di sacchi zeppi di euro, questa gente non sa nulla.

Sanno che producono una cosa che chiamano “pronto moda”. Non c’entra niente con il pret à porter dei grandi marchi di abbigliamento. Ma forse nemmeno sanno di essere i nuovi schiavi del terzo millennio. Non sanno nemmeno di produrre un volume d’affari stimato in 400 milioni di euro all’anno che vanno in Cina con il money trasfer e di cui non vedono nemmeno le briciole. Su un tavolo notiamo una specie di libro contabile. I finanzieri ci dicono che sono le commesse e le scadenze per le consegne. E’ scritto in cinese. Ma le cifre si capiscono. Nel periodo in cui andiamo noi è in lavorazione un vestito per l’estate prossima. Ha una scritta sul petto bella grande: “Smile to life around you and carry on” (sorridete alla vita intorno a voi e andate avanti). Stona maledettamente come quel “Il lavoro rende liberi” all’entrata dei campi di concentramento nazisti. All’operaio vanno 40 centesimi di euro a capo finito. Nessuno sorride, nessuno chiama questa “vita”. E c’è chi per quei 40 centesimi ci lascia la pelle. Questo in Italia, non in Cina.

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