sabato 7 dicembre 2013

ARTE E DENARO. MANAZZA P., Può un quadro da solo valere 142,5 milioni di dollari?, IL CORRIERE DELLA SERA, 15 novembre 2013

Può un quadro da solo valere 142,5 milioni di dollari? Assolutamente sì. Il trittico di Francis Bacon aggiudicato da Christie’s a New York per questa cifra colossale (l’equivalente di 105,4 milioni di euro) è la prova evidente. Anche se ha lasciato tutti a bocca aperta. Anzi, spalancata. Che succede al mercato dell’arte? I recenti super record, a ripetizione, delle aste newyorchesi hanno diversi versanti di lettura. E molte possibili interpretazioni. Tra dipinti impressionisti, moderni e contemporanei in questi ultimi dieci giorni, nella Grande Mela, sono stati spesi qualcosa come quasi 2 miliardi di dollari in opere d’arte. Mai successo prima. I nuovi record per singoli artisti sono stati complessivamente una trentina: 21 solo tra quelli contemporanei. La suddivisione tra arte moderna e contemporanea, nelle aste internazionali, è una norma che considera i primi come gli artisti che hanno lavorato dall’Impressionismo alla metà del Novecento. I secondi quelli che hanno espresso le opere migliori a partire dal 1946 ad oggi.



L’exploit del mercato, al termine degli anni Ottanta, aveva premiato nei super prezzi i maestri impressionisti (da Renoir a Van Gogh), oggi non è più così. Ora sul trono siedono i grandi artisti dell’arte contemporanea. Questa trasformazione del gusto ha ragioni diverse. Con la grande crisi finanziaria molti investitori hanno dovuto fare i conti con l’altissimo rischio nel collocare il loro denaro sui tradizionali strumenti finanziari. E, come sempre accade, il bene reale, l’oggetto materiale, ha riacquistato d’incanto la classica allure del “bene rifugio”. Su molti dei recentissimi prezzi stellari esistono ragioni puramente speculative più che squisitamente estetiche. Gli artisti contemporanei -si sa- possono essere tirati, come si suol dire, dalla giacchetta. Manipolati, appoggiati, spinti. Mentre di Van Gogh ne esistono un numero preciso e basta, se un mercante difende e fa lievitare i prezzi d’un contemporaneo di cui ha acquistato in precedenza cento opere (e che è in grado di produrne molte altre sinché vive) è chiaro che i margini del business crescono a dismisura. Tutto assolutamente lecito, ovviamente. Ma segnale evidente di un’altissima febbre speculativa che si è impadronita dell’attuale mercato dell’arte. La speranza è che nessuno, tra quelli che seguono per imitazione questi indici impazziti, possa poi trovarsi con il classico cerino acceso tra le dita.

Poi vi sono altri interrogativi. La rivalità tra le due major internazionali dell’arte potrebbe aver inciso su queste incredibile performance. In che modo? La guerra tra i due colossi è accesissima. Nelle aste londinesi di ottobre, Christie’s -controllata dal finanziere francese Francois Pinault- aveva quasi umiliato Sotheby’s. A New York, nelle vendite dedicate ai dipinti moderni, era accaduto il contrario. I cataloghi Christie’s promettevano scintille. E invece i risultati sono stai deludenti. Mentre la concorrente americana è riuscita a ottenere ottimi risultati (un Alberto Giacometti battuto a 50 milioni e un Picasso del 1935 partito da 15 ma aggiudicato a 40 milioni di dollari). E tra i contemporanei con un Andy Warhol a 105 milioni (anche in questo caso nuovo record per l’autore). Ma non v’è dubbio che l’ultima asta serale Christie’s ha ribaltato ancora le carte. In poche ore la maison del finanziere francese ha venduto per 700 milioni di dollari. Con i due jolly pescati. Quello del trittico di Francis Bacon acquistato a 142,5 milioni di dollari da un rappresentate della galleria newyorchese Acquavella (chissà per chi?...qualcuno parla di Roman Abramovich, altri di un cinese). E l’opera di Jeff Koons “Ballon Dog” battuta a 58,4 milioni di dollari. Non importa se nulla si sa degli acquirenti reali. O se Koons sia un artista amatissimo e collezionato proprio da Pinault. Di fatto ora la prima è il quadro in assoluto più caro di sempre a un’asta (spazzando via il record dell’anno scorso per “L’urlo” di Edvar Munch venduto da Sotheby’s a 120 milioni). Il secondo ha permesso a Koons la medaglia d’oro come artista vivente più caro di tutti i tempi (superando il record raggiunto dalla Milano dipinta da Gerhard Richter e aggiudicata 37 milioni lo scorso maggio da Sotheby’s). Sarà un caso ma i record da qualche anno a questa parte arrivano alternati dalle due case d’asta. E guarda caso riguardano artisti sponsorizzati da big dealer.

A quanto equivalga, in termini pubblicitari per la maison del finanziere francese, questo eclatante risultato se lo chiedono in molti. Anche perché sugli oltre 12 miliardi di dollari fatturati annualmente dai due competitor l’incidenza dei top price ultimamente era diminuita per lasciar il posto al cosiddetto mercato dei mid range, le opere eccellenti offerte a stime non più stellari. Quelle che compongono lo zoccolo duro del mercato. D’improvviso è cambiato l’orizzonte. Certo il bollettino finale Christie’s di arte contemporanea è impressionante. Il venduto è stato del 98% sul valore e del 91% sui lotti. Gli acquirenti sono arrivati da 42 Paesi diversi del mondo nella vendita serale e da 90 Paesi durante le aste della settimana. Undici opere sono state aggiudicate per oltre 20 milioni di dollari. Tre per oltre 50 milioni. Sedici per oltre 10 milioni. E cinquantasei per oltre 1 milione di dollari. Oltre al top price assoluto di Bacon e quello di Koons, si segnala anche il nuovo record per il nostro Lucio Fontana con i 20.885.000 spesi per una sua “Fine di Dio”. Mentre un Willem de Kooning del 1975 è salito sino a 32.085.000 dollari. In totale quest’asta ha raccolto vendite per 691,5 milioni di dollari l’incasso più alto in assoluto per una singola vendita nella storia dell’intero mercato.

Sul cielo della Big Apple piovevano soldi a palate sulle opere contemporanea, mentre a Ginevra i gioielli e le pietre preziose hanno infranto altri muri. Altri record. Christie’s ha venduto il più grande diamante arancione mai estratto dalla terra, di quasi 15 carati, per 31,5 milioni di dollari. Sotheby’s ha aggiudicato il “Pink Star” un diamante rosa di 56,90 carati per 83 milioni di dollari. Il prezzo più alto mai raggiunto da una gemma. E la domanda ritorna. Perché tutti questi soldi sull’arte e i preziosi? Da dove arrivano? Chi sono gli acquirenti? Una cosa è certa. Mentre la grande finanza celebra ogni giorno un elenco di continue sconfitte, gli investimenti in arte e beni preziosi sembrano indossare i panni d’una accelerazione straordinaria verso la finanza reale. Quasi fosse lo specchio speculativo dell’analoga necessità di cercare la crescita attraverso l’economia reale. Mariolina Bassetti capo della divisione europea Christie’s da New York commenta così “Si è passati dal mercato dell’arte a quello dei capolavori. Collezionisti asiatici, russi, americani, arabi e dell’America centrale partecipano con sempre maggiore attenzione alle aste per disputarsi opere museali”. Anche i nuovi ricchi hanno compreso quanto valore appartenga alla cultura e alla storia dell’arte. Soltanto noi italiani, un tempo primi al mondo, guardiamo da lontano un quadro del nostro Lucio Fontana venduto a 20,5 milioni di dollari. Una cosa che poteva accadere solo a New York. Lontano da un mercato asfittico e compresso da controlli, norme, complicazioni e tasse come appare oggi quello italiano.

Certo, viviamo un’epoca di grandi sofferenze per un numero crescente di persone e tutto questo denaro speso nell’arte può essere discutibile. Ma forse è giusto osservare quanto sia meglio che accada così, piuttosto che vederlo risucchiato in torbide operazioni speculative e finanziarie. Come accadeva sempre sino a pochi anni fa. La speranza è che gli anonimi acquirenti del Francis Bacon o di altri capolavori decidano un giorno di esporli pubblicamente. Per condividere con tutti la gioia di contemplare e godere dell’arte. Nel segno di un’epoca, migliore. Meno avida è più sensibile. Un mondo governato da una ragione meno calcolante. O meglio dove il calcolo si fidanza temporaneamente con la bellezza. Forse in queste valanghe di soldi spesi nell’arte c’è il segno che qualcosa sta cambiando. Deve cambiare. Anche nella speculazione.
(modifica il 15 novembre 2013)

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