lunedì 23 dicembre 2013

CINESI IN ITALIA. IL CASO PRATO. A. CRISPINO, Così gli italiani «agevolano» il sistema cinese a Prato, IL CORRIERE DELLA SERA, 23 dicembre 2013

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E’ un piccolo magnete, simile a quelli che utilizzano le Ferrovie per muovere gli incroci dei binari. Si appoggia sopra il contatore della corrente elettrica e il gioco è fatto. I numeri girano più lentamente ma i kw consumati sono di più. Nelle aziende cinesi a Prato c’è proprio un «addetto al magnete». Ha il compito di staccarlo via in caso di controlli. Ma non è un’invenzione asiatica. «Frate’ questo te lo devi mettere in azienda o qua fallisce tutto». Alcuni cinesi hanno descritto così l’accento di due napoletani in trasferta. Agli ispettori dell’Enel, a cui i conti cominciavano a non tornare, hanno raccontato che in un certo giorno della settimana si presentavano due persone. Dicevano di venire da San Giuseppe Vesuviano, nel napoletano, (altro comune dove la presenza cinese è massiccia, così come il numero di fabbriche clandestine). «Da noi lo usano tutti», era la rassicurazione. «Alcuni li abbiamo scoperti, altri no - ci racconta uno degli ispettori che ha fatto i sopralluoghi -. Ovviamente l’azienda non vuole che se ne parli perché se si pubblicizza questa frode sarebbe un disastro. E’ difficilissima da scovare, innanzitutto perché non lascia traccia sul contatore e poi perché viene fatta in orari notturni. Noi finiamo i turni alle 18,00 e loro lavorano di notte». E questo, chi propone la frode, ai «laoban» (i titolari delle aziende) lo spiega benissimo. E quasi sempre li convincono.

Una piccola frode se paragonata con i 70 milioni di euro di tasse che le aziende cinesi evadono mediamente in un anno. Ma che ci permette di entrare nel cuore produttivo di questa città. Nel nostro tour notturno abbiamo modo di osservare come si muove tutto il sistema. Le aziende lavorano senza sosta, i capannoni sono inaccessibili, sorvegliati da telecamere a circuito chiuso ma anche da vere e proprie sentinelle. Sorvegliano ogni ingresso seduti in macchina. Turni ininterrotti di 12 ore. Ne incrociamo tantissimi nella zona di via Pistoiese, la «chinatown» pratese. Da queste parti se non hai gli occhi a mandorla non puoi passare inosservato. Dietro capannoni anonimi e inaccessibili si nascondono gran parte dei circa 30 mila clandestini cinesi (in tutta Prato se ne stimano 60 mila, tra regolari e irregolari). Sono la manodopera indispensabile per far funzionare il carrozzone tessile asiatico. Sono l’ultima ruota del carro, quelli che vivono tra gli scarti tessili e lastre di compensato per 600 euro al mese. L’orario di lavoro non si conosce. Tutti dichiarano 6 o 7 ore al giorno. Se fosse così, per loro sarebbe impossibile produrre un milione di capi al giorno (cifra stimata dall’Unione Industriali).

I capannoni sono fittati tutti da italiani. Spesso sono gli stessi spazi che dieci anni fa, prima del boom asiatico, ospitavano le più belle filature a livello internazionale. «Eravamo famosi per le spalmature, la lavorazione del cardato rigenerato, la filatura - racconta Andrea Cavicchi, imprenditore tessile e presidente dell’Unione Industriali di Prato-. Oggi quelle aziende non ci sono più. In dieci anni è scomparso il 30% delle aziende pratesi». Molti di questi ex imprenditori hanno fatto e fanno affari con i cinesi. La locazione dei capannoni viene pagata a peso d’oro. In cambio, i proprietari fanno finta di non sapere degli abusi edilizi che i cinesi realizzano un attimo dopo aver firmato il contratto. Ogni volta che sono interrogati dalle forze dell’ordine dicono di non saperne nulla. Eppure molte di queste fabbriche nascono, se non all’interno, a due passi dalle abitazioni padronali.

I cinesi non fanno storie e non vogliono liti con gli italiani. Pagano tutti. Quasi avessero capito qui in Italia come funziona. Pagano caro per avere i capannoni ma anche per avere la consulenza dei migliori professionisti della zona. «Chi ha un rapporto privilegiato con loro fa ricchi guadagni - spiega il sindaco di Prato Roberto Cenni -. Ad esempio: i commercialisti che gli insegnano come evadere le tasse o gli avvocati che li assistono, piuttosto che i trasportatori di merce contraffatta... hanno parecchi soldi in banca». E come evadere le tasse lo mettono in pratica magistralmente. La mortalità delle aziende cinesi è molto alta. Sei imprese su dieci chiudono i battenti entro un anno, massimo due. Solo sulla carta. «Guarda caso coincide con il periodo in cui si inizia a pagare l’Iva» sottolinea Cavicchi. Ma lo fanno anche per sfuggire ai controlli del fisco. Con l’aiuto di fior fior di professionisti, tutti italiani, hanno messo su un sistema di scatole cinesi, è il caso di dirlo, per cui cartolarmente la società muore ma in realtà opera no stop.

La prima cosa che fanno i cinesi dopo essere approdati sul suolo patrio è nascondere o bruciare i documenti (in genere sono visti di soggiorno per motivi di studio o lavoro). Qualcuno deve avergli spiegato che senza documenti è impossibile espellerli. Perché senza un passaporto che lo attesti, l’ambasciata cinese non li riconosce come concittadini. I dati confermano che hanno imparato bene la strategia. Nel 2009 su 1000 clandestini individuati ne sono stati rimpatriati solo 18. E gli anni successivi il numero non è cambiato molto. A questo risultato contribuisce una cineseria tutta nostrana. Provare a spiegarla può rendere l’idea. Il potenziale clandestino deve essere accompagnato in un centro di identificazione ed espulsione dislocato sul territorio italiano. La pratica viene avviata dal ministero dell’Interno tramite l’ufficio Immigrazione della Questura di Prato che fa una ricerca dei posti liberi. Ovviamente in Toscana, dove c’è la più alta concentrazione di clandestini cinesi in Europa, di centri così non ce ne sono. Significa che il poliziotto, il carabiniere o il finanziere che ha scoperto il clandestino deve prenderlo, metterlo in macchina e accompagnarlo ovunque ci sia un posto libero nei centri di identificazione. Diversamente, la questione si risolve con un ordine di espulsione (un foglio di carta firmato da Prefetto e Questore) che intima di lasciare il territorio dello Stato entro 5 giorni. Carta straccia. Non lo fa nessuno.

Nel distretto industriale di Prato, dove lavorano quasi 20 mila cinesi, non c’è praticamene mai una denuncia, un infortunio , un licenziamento (tutti cessano il rapporto di lavoro dopo circa un anno per dimissioni volontarie), un sindacato (solo due imprese cinesi sono iscritte all’Unione Industriali). A controllare che nelle circa 3000 aziende cinesi (quelle ufficiali) tutto sia in regola ci sono 5 ispettori dell’INPS, 10 ispettori del lavoro e un solo ispettore dell’INAIL. Anzi, in tema di sicurezza sul lavoro c’è la maggiore speculazione. Un ispettore in servizio presso il Dipartimento della Prevenzione dell’Asl è stato arrestato. Secondo gli inquirenti «vendeva» ai cinesi attestati di RSPP (Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione). Faceva un prezzo di favore, invece, per quelli di Primo soccorso antincendio. Stesso andazzo per tre tecnici specializzati nel rilascio di attestati in materia di sicurezza sul lavoro. Ma episodi di corruzione o concussione si sono registrati anche al porto di Livorno (per favorire l’ingresso di rotoli di tessuto cinese); all’anagrafe comunale; per ottenere il rilascio di patenti, etc. Si falsifica persino la Scia, l’autorizzazione comunale per mettere in funzione il macchinario industriale.

Oggi i grandi capi cinesi si servono sempre meno dei professionisti italiani. «In questi anni hanno sviluppato una criminalità organizzata propria che riesce a gestire praticamente tutto», conferma il comandante provinciale della Guardia di Finanza di Prato, Gino Reolon. E quello che gestiscono è: importazione clandestina di mezzi e tessuti, flussi di clandestini da e per la Cina, produzioni contraffatte, evasione fiscale... Con i soldi non fatturati alimentano l’usura, la prostituzione e la droga. «A Prato abbiamo il primato europeo di vendita di droghe sintetiche - dice il sindaco Cenni -. E’ un mercato che per ora resta chiuso nella loro comunità ma in futuro chissà…». Nell’ultimo periodo si sta diffondendo a macchia d’olio il «mahjong». E’ un gioco d’azzardo che fa girare svariate migliaia di euro ogni sera. Alcune bische clandestine sono state rinvenute per puro caso nei sotterranei di capannoni alla periferia della città. Non solo. Un nuovo affare sta diventando lo smaltimento dei rifiuti. Se l’azienda è in nero, deve essere necessariamente in nero anche il ciclo di smaltimento dei rifiuti. Alcune fonti investigative ci hanno confermato che i cinesi si starebbero organizzando per smaltire tonnellate di scarti industriali in conteiner diretti in Grecia e nell’est Europa.

Gli enormi guadagni di questo sistema hanno un’unica direzione: la Cina. Dal 2007 al 2009 è stato trasferito dall’Italia alla Cina un miliardo duecentosessantamila euro. Tutti con il money transfer. Non un euro viene investito nella manodopera. Così, mentre gli operai sono schiavizzati in questi nuovi lager, i capi arrivano in fabbrica con la Porsche. All’inizio le forze dell’ordine gliele sequestravano. Ma i cinesi hanno imparato presto. «In qualche caso il proprietario non si trova, in altri creano contratti sottostanti di leasing che portano a una o più società finanziarie rendendo impossibile risalire all’effettivo proprietario» spiega il colonnello Reolon.

Le auto di lusso, i bordelli esclusivamente per cinesi, i locali alla moda, gli hotel a 5 stelle, non hanno niente a che vedere con le immagini (che volutamente non vi mostriamo) dei bambini che dormono a terra, accartocciati su balle di stoffa; donne al sesto mese di gravidanza messe a lavorare dietro a una cucitrice per dieci ore; vermi che restano impigliati nelle pareti unte delle cucine improvvisate in un angolo di capannone.

C’è chi protesta. Proprio durante un blitz della Guardia di Finanza scende in strada un anziano signore con la sua famiglia. Inveisce e urla. Non contro l’illegalità cinese ma contro i controlli delle forze dell’ordine. Proprio dietro casa sua si scopre un altro capannone della vergogna. Due finanzieri restano di ghiaccio quando aprendo le ante di un armadio trovano un materasso e due ragazzi chiusi dentro a dormire.

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