La crisi dell'Indesit è un brutto segnale perché mostra le grandi difficoltà in cui si trovano le nostre imprese in settori che una volta erano all'avanguardia del made in Italy. L'industria nazionale degli elettrodomestici bianchi è stata a lungo uno dei principali poli produttivi europei. Nonostante le difficoltà degli ultimi tempi, il settore impiega ancora oggi 130 mila addetti tra occupati diretti ed indiretti ed appare al secondo posto, dopo l'auto, nella classifica delle attività manifatturiere più importanti del nostro paese. Ma, come quello dell'auto, è a rischio estinzione. I processi di globalizzazione e di evoluzione tecnologica, l'evoluzione dei mercati internazionali, le debolezze e i ritardi delle strategie imprenditoriali nazionali, la mancanza di politiche industriali adeguate alla sfide del presente, hanno costruito una miscela che potrebbe rivelarsi esplosiva.
Il progetto di ristrutturazioneQualche settimana fa il gruppo Indesit ha presentato un piano per «la salvaguardia e la razionalizzazione dell'assetto di Indesit Company in Italia». Nel quadro di questa ristrutturazione, 1425 lavoratori su 4300 dipendenti del gruppo in Italiasono stati dichiarati in esubero, due stabilimenti dovrebbero chiudere. In questo calcolo non stati inclusi le probabili ricadute occupazionali nelle rete di imprese che forniscono la componentistica e contribuiscono a mantenere un adeguato livello di competitività alle attività finali. La società marchigiana ha parlato di contratti di solidarietà e contemporaneamente di nuovi investimenti. Il suo obiettivo sarebbe quello di portare all'avanguardiagli gli stabilimenti nazionali residui nella produzioni di alta gamma.
Indesit ha giustificato le drastiche misure con il fatto che in Italia i ricavi sono diminuiti del 25%. Da notare che questa azienda vende soltanto il 15% della sua produzione nel nostro paese dove, dal 2007, produce il 30% dei suoi elettrodomestici. Secondo il piano, in Italia sarà concentrata la produzione dei modelli a maggiore contenuto tecnologico, mentre verrà trasferita in Polonia ed in Turchia quella dei modelli per la fascia meno elevata. La Borsa ha subito festeggiato la bella notizia. Il valore del titolo è aumentato il giorno dopo.
Le ragioni di una crisiLa Indesit Company è specializzata nella produzione di lavabiancheria, lavastoviglie, frigoriferi. Essa è la principale realtà nazionale nel settore, con una concentrazione pressoché totale delle vendite e della produzione in Europa. Il gruppo occupa oggi 16 mila dipendenti, possiede 16 stabilimenti, oltre che in Italia, in Polonia, Regno Unito, Russia, Turchia. Il 27% degli occupati si trova nel nostro paese, il 29% in Russia, il 19% in Polonia, il 15% in Gran Bretagna e Irlanda, il 6% in Turchia. Il fatturato complessivo è stato nel 2012 pari a 2.886 milioni di euro, sostanzialmente analogo a quello dell'anno precedente. Il risultato economico netto si aggira sui 60 milioni di euro di utili, come nel 2011. Dal punto di vista finanziario l'impresa appare ben capitalizzata e con pochi debiti. Sulla carta non sembra un'azienda da buttare.
I volumi produttivi del settore in Italia sono stimati a fine 2012 in 14 milioni di pezzi, meno della metà dei 30 milioni raggiunti nel 2002. La pesante riduzione dipende in parte dalla saturazione del mercato e dalla crisi, e dipende inoltre dalla progressiva dislocazione delle fabbriche verso l'Est Europa alla ricerca di costi più bassi del lavoro e di prossimità ai grandi centri di consumo. I big coreani, Samsung e LG, hanno collocato i loro impianti europei in Polonia, mentre la cinese Haier ha varato uno stabilimento nella Repubblica Ceca. Si teme che gli impianti di altri produttori ora collocati in Italia facciano la stessa fine. P. Possamai, in un articolo su Affari e Finanza (Repubblica 28 gennaio) ha ricordato che i distretti di produzione degli elettrodomestici sono in crisi ovunque. Nei principali stabilimenti nazionali, Electrolux, Whirlpool e Candy, i lavoratori usufruiscono degli ammortizzatori sociali.
Elettrodomestici nel mondoIl mercato mondiale è in continuo sviluppo, sia pure con oscillazioni congiunturali. Secondo una stima è passato dai 130 miliardi di dollari del 2005 ai circa 180 nel 2013. Come in molti altri settori, tale crescita è alimentata per una parte consistente dallo sviluppo dei paesi emergenti, in particolare della Cina. Su un totale di 490 milioni di pezzi usciti dalle linee nel 2012 a livello globale, le imprese cinesi producono circa 250 milioni di unità.
Anche a livello di imprese, il tradizionale dominio statunitense (Whirlpool, General Electric) ed europeo (Bosch, Electrolux), con qualche presenza giapponese (Toshiba) viene sostituito dalla crescente penetrazione di quelle coreane (Samsung, LG) e cinesi (Haier), che tendono a conquistare i primi posti nella classifica dei produttori. Va peraltro sottolineato che il maggiore tra essi, la Haier, controlla intorno all'8% di un mercato mondiale che resta ancora abbastanza frammentato e soggetto a ulteriori processi di accorpamento. Ad un business tradizionalmente costituito da produttori specialisti su base nazionale e continentale se ne va ora sostituendo uno che registra la presenza di imprese molto grandi e molto diversificate. In questo contesto gli elettrodomestici bianchi rappresentano solo un parte dell'attività totale. Le imprese che dominano il mercato sviluppano ormai una presenza commerciale e produttiva su base mondiale.
Un'azienda come la Samsung nel 2013 dovrebbe ottenere profitti netti complessivi per più di 30 miliardi di dollari, contro un fatturato Indesit di soli 2,8 miliardi di euro ed utili per 60 milioni. Sui mercati maturi come quello europeo la domanda è eminentemente di sostituzione. Ci troviamo in una situazione con una debole differenziazione di prodotto, con basse barriere all'entrata, con un'offerta frammentata e un forte potere del consumatore. Per sostenere la pressione competitiva, accentuata dalla presenza di un eccesso strutturale di capacità produttiva, i gruppi tendono a puntare sul riconoscimento della marca, sull'efficienza energetica, sull'innovazione tecnologica e puntano ad un crescente contenuto di elettronica, su un adeguato servizio alla grande distribuzione dove si concentra una fetta crescente delle vendite.
Nei prossimi anni si dovrebbe progressivamente affermare il settore degli elettrodomestici «smart» caratterizzati da interconnessione, intelligenza, longevità. Appare già oggi evidente una crescente polarizzazione dei prodotti tra quelli «premium» e quelli da primo prezzo.
Cosa si può fareIndesit non sembra aver reagito con adeguata forza e tempestività ai mutamenti del mercato che si sono delineati nell'ultimo periodo. Per questo la situazione è molto difficile da governare strategicamente. Penalizzanti sono le dimensioni ridotte del gruppo rispetto alla gran parte dei concorrenti principali; la sua presenza rilevante solo su alcuni mercati europei; il suo inserimento in una fascia di mercato non sufficientemente caratterizzata per prodotti «premium», come invece accade per la Bosch e per la Miele. In più, Indesit non è famosa per politiche di prezzo aggressive. Non è in grado di presentarsi al mercato con una gamma di produzioni molto diversificata, come fanno i grandi produttori asiatici. E infine c'è l'aggravante di essere collocata in un paese che funziona molto male.
Servirebbe un'espansione anche verso altri continenti, una più forte presenza nella fascia alta del mercato. Ciò comporterebbe grandi investimenti sulla qualità, sull'innovazione tecnologica, sulla distribuzione. Senza contare che sarebbe comunque necessaria una rilevante crescita delle dimensioni aziendali.L'azienda non riuscirà probabilmente a fare tutto questo da sola. Per migliorare la sua collocazione sul mercato sarebbe importante, tra l'altro, l'alleanza con un medio produttore asiatico. Si potrebbero così unire le forze per raggiungere una massa critica sui fronti della ricerca e dell'innovazione, della diversificazione dei mercati, delle risorse finanziarie.
Bisognerebbe inoltre prevedere un programma di interventi per il settore da parte dei poteri pubblici. Un programma non costituito solo da incentivi alla vendita per i prodotti a più elevato livello tecnologico, misura già in parte messa in campo, ma da un forte sostegno alle attività di ricerca e di innovazione, una riduzione del carico contributivo sul costo del lavoro. Bisognerebbe infine incoraggiare una politica di alleanze con altri produttori.
Nessun commento:
Posta un commento