L’idea: quella di tassare chi gioca con la speculazione. L’obiettivo: quello di produrre una somma di denaro tale da: 1) ridurre il debito pubblico dei Paesi Ue; 2) finanziare le politiche sociali e di cooperazione allo sviluppo; 3) scoraggiare le speculazioni-lampo; 4) contribuire a una maggiore stabilità dei mercati finanziari.
Stiamo parlando della Ftt, Financial Transaction Tax (la tassa sulle transazioni finanziarie), quello 0,05% che tanto preoccupa apparati di lobbying, giganti finanziari come Stati Uniti e Gran Bretagna. Eppure l’imposta, definita “ridicola” dal nostro premier Silvio Berlusconi, e propagandisticamente caldeggiata invece dal suo amico d’Oltralpe Nicolas Sarkozy in sede Onu, potrebbe rappresentare una risorsa importante per dare ossigeno alle casse statali e superare gli effetti di crisi economica mondiale che ancora ci attanaglia.
Campagna
Ne è convinto il Pse, che a Bruxelles si è fatto promotore di una campagna che fa capo alla piattaforma Europeans for financial reform, coordinata dal presidente del Pse Poul Nyrup Rasmussen.
Le ragioni? Ecco alcuni numeri. Secondo l’Austrian Institute for Economic Research, se la tassa venisse applicata a livello globale allo 0,05%, il gettito raccolto potrebbe attestarsi fra i 500 e i 1000 miliardi di dollari l’anno. Applicata nei soli Paesi dell’Unione europea la Ftt “frutterebbe” circa 200 miliardi di euro.
Una somma notevole, la cui destinazione potrebbe essere dal risanamento delle finanze pubbliche, per esempio, all’innovazione, all’istruzione, agli Obiettivi del Millennio, o ancora per mantenere in salute il welfare europeo sempre più “tagliuzzato”.
Leggendo le cifre, verrebbe da dire: facciamola subito. Ma la strada appare, per ora, tutt’altro che in discesa.
Pochi giorni fa il Pse ha fatto il punto. Alla riunione ha preso parte anche l’europarlamentare Pd Leonardo Domenici. Che in una lettera aperta ai vertici del Partito democratico, ha chiesto a Bersani di «non perdere l’occasione e farsi promotore in Italia di un disegno di legge» sulla Ftt.
«Una delle decisioni prese - ci conferma infatti Domenici- è quella di fare, a cura dei gruppi democratici, progressisti e socialisti, una presentazione coordinata di proposte di legge per l’istituzione della tassa sulle transazioni nei parlamenti nazionali dei paesi membri dell'Unione europea». Un primo passo, concreto, per smuovere le acque e canalizzare l’attenzione sulla tassa.
Vantaggi
Per i promotori, i vantaggi sarebbero tutt’altro che insignificanti. Se la Ftt fosse introdotta in un primo momento a livello dei singoli paesi, le rispettive autorità nazionali ne controllerebbero ogni aspetto e deciderebbero autonomamente quanto e dove utilizzare il gettito raccolto: debito pubblico, sostegno all’occupazione, aiuti sociali.
In maniera ancora più generale, parte del gettito potrebbe essere utilizzata anche per il finanziamento dei Beni Pubblici Globali. Parliamo di quei beni - dalla biodiversità alla tutela del clima fino alla stessa stabilità finanziaria - che interessano l’insieme dell’umanità e che nessun governo è in grado di assicurare autonomamente.
Parigi e Berlino si sono espressi già a favore della tassa. Così come il premier spagnolo Zapatero. Ha detto sì anche il presidente della Commissione europea, Josè Manuel Durao Barroso, secondo cui «è ora che le banche restituiscano quanto hanno ricevuto e tornino al servizio dei cittadini e delle imprese».
Detrattori
Ma i detrattori non mancano. Dalle grandi banche d’affari internazionali salvate dalla crisi con i fondi pubblici incassando profitti enormi, ai capi di governo. Tra questi anche il premier Berlusconi che definisce la tassa “ridicola”. Gli fa eco il ministro Giulio Tremonti, secondo cui è “un’idea affascinante sul piano politico ed etico, ma o nel G20 la fanno tutti o diventa un suicidio, torna indietro come un boomerang”. Una delle ragioni addotte per contrastarla è infatti la temibile fuga di capitali su altri mercati. Il presidente della Bce Trichet lo ha detto chiaramente al Parlamento Ue: «Una simile tassa non è consigliabile ed è molto difficile da mettere in pratica», oltretutto «porterebbe al dislocamento delle transazioni in altri luoghi».
Ma i promotori replicano: la tassa (dallo 0,001 allo 0,05%) che sia applicherebbe a tutti i movimenti finanziari superiori a 200mila euro, non avrebbe nessun effetto sui movimenti di capitale a scopo produttivo, ma rappresenterebbe invece un fortissimo freno ai rapidi spostamenti di capitale e titoli a scopo speculativo. Di più. Secondo Domenici, «è uno strumento concreto per riportare la finanza al servizio dell’economia reale, per trovare le risorse necessarie allo sviluppo e per favorire la trasparenza dei mercati finanziari. Bisogna uscire da questa crisi risanando i conti ma non facendo pagare il prezzo ai lavoratori ed ai contribuenti o cancellando il welfare. In un momento come questo le misure di austerità vanno a colpire solo i più deboli, è necessario invece recuperare risorse per costruire un nuovo e più efficace welfare e per fare nuovi investimenti».
La mobilitazione è già partita. In America il dibattito è stato aperto dagli economisti Paul Krugman e da Joseph Stiglitz, ma il presidente Obama finora non è riuscito a riformare Wall Street, frenato anche dalle imminenti (a novembre) Mid Term. In Europa numerose associazioni, organizzazioni sindacali e singoli cittadini si stanno muovendo per “rompere il silenzio”.
A Bruxelles i socialdemocratici tedeschi e austriaci hanno lanciato l’idea di raccogliere un milione di firme in base a quanto previsto dall'Art. 11 del Trattato di Lisbona per invitare la Commissione europea a presentare una proposta. L’obiettivo è chiaro: chiedere al prossimo G20, previsto a novembre Seul, l’introduzione di Ftt.
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