Non si vive di solo Pil. Ma anche di istruzione, relazioni sociali, inventiva, paura e molto altro ancora. La domanda, quindi, è semplice: cosa vuol dire benessere? Come si misura? Il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro e l’Istat hanno messo attorno a un tavolo economisti, sociologi, giuristi e ambientalisti per stilare una lista di 134 parametri: mesi di lavoro e da ieri, finalmente, il benessere ha un nuovo termometro con cui essere misurato.
Nell’ottobre scorso il Progetto Bes (Benessere equo e sostenibile) aveva definito dodici dimensioni per cercare di capire «che cosa conta davvero per l’Italia»: dall’ambiente alla salute, passando per la qualità dei servizi al patrimonio paesaggistico e culturale. Per ognuna di queste, poi, sono state individuate una decina di voci specifiche. Che a dicembre, quando sarà pubblicato il rapporto, ci diranno quanto benessere c’è in ogni zona d’Italia.
E così si scopre che tra i fattori più importanti per «pesare» la qualità della nostra vita non ci sono soltanto istruzione, reddito ed emissioni di CO2, ma anche i tempi medi d’attesa per le visite specialistiche, l’uso di internet, il numero di brevetti e la fiducia nelle istituzioni. Tra gli aspetti legati alla salute, per esempio, oltre al numero di fumatori e al consumo di alcol conterà anche il tasso di sedentarietà. Grande peso verrà dato all’occupazione, specchio della crisi attuale: numero di contratti a termine che vengono trasformati a tempo indeterminato, presenza delle Rsu sul posto di lavoro, tasso di infortuni e percentuale di Neet, i giovani che non studiano e non lavorano. Quelli che ancora faticano a intravedere la parola benessere nel loro orizzonte.
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