Il capitalismo nell’attuale fase logora ogni memoria identitaria al fine di rendere i soggetti funzioni del sistema, perché vi sia l’esodo dal capitale è fondamentale domandarsi che cosa il capitalismo: violenza e dominio mediante l’adorazione idolatra del plusvalore.
Vi è la violenza percettiva e la violenza psichica, entrambe nella loro azione coordinata producono e disseminano in ogni punto della comunità saccheggiata tensione e privazione. L’abbondanza materiale è consustanziale alla privazione ontologica del bene e dei fini oggettivi.
Il capitalismo deforma la natura umana, bombarda “gli stati canaglia” e saccheggia l’ambiente; a livello psichico sottrae memoria, contenuti e identità per rendere i soggetti flessibili e adattivi. La percezione del mondo è alterata dal frastuono delle immagini e dei suoni, si tutto regna la cinesi della dispersione. La velocità mito e croce della modernità divide il soggetto da se stesso e dalla comunità. Non si ascolta il corpo vissuto, le relazioni si consumano velocemente, per cui la percezione è distorta al punto da fondare il soggetto deterritorializzato, regna la scissione in ogni direzione relazionale. L’alterazione è tale che il soggetto diviene incapace di distinguere il mondo reale dall’immaginario indotto. Confusione e caos sono i mali in cui il soggetto precipita.
Per trasformare i popoli in materiale inerte il capitalismo sottrae loro la lingua e la storia. Senza lingua non vi è logos, ma solo un soggetto sempre più simile al “niente”.
Il caso italiano è emblematico: l’anglo-italiano si coniuga con l’ostracismo perenne alla tradizione culturale e filosofica italiana.
Antonio Labriola
La grande tradizione filosofica italiana hegelo-marxiana tra Ottocento e Novecento è scomparsa dalle Accademie come dai media, al suo posto regna la chiacchiera e l’incultura dello spettacolo. Il grande nulla che stiamo vivendo emerge nelle forme violente del degrado morale sempre più palesi negli episodi di cronaca quotidiana. La pochezza interpretativa degli stessi è il segno più evidente della regressione culturale e civile di questi decenni. Senza identità culturale non è possibile uscire dal degrado antropologico. L’identità culturale è dialettica, perché consente il dialogo tra storie e tradizioni, senza di esse il linguaggio è solo atto fonatorio senza significato.
La grande vittoria del sistema neoliberale è nella convinzione, ormai diffusa e quasi totale, che la storia non abbia un senso, che sia solo il susseguirsi di eventi fatali che cadono “dall’alto dei cieli”. Dinanzi a tale condizione le risposte possono essere molteplici, ma non si può prescindere dal ricordare coloro che il sistema tratta come “cani morti”.
Antonio Labriola1 è stato pensatore hegelo-marxiano, la sua analisi si è avvalsa del metodo olistico con il quale interpretare la storia e la sua direzione. Il suo marxismo critico è stato improntato ad un profondo umanesimo. Nella storia vi sono processi che dipendono dal modo di produzione e dalle sue forze, ma senza la coscienza di classe che li reinterpreta e li finalizza non vi è razionalità ma solo fatalismo. Il vero motore della storia è la coscienza comunitaria di classe la quale trasforma contingenze e violenze mediante la decodifica delle stesse. “Il moto proletario” è creativo, poiché pensa collettivamente la violenza di cui è oggetto, in tal modo chi è posto nella condizione di vittima e servitù può ribaltare il proprio stato per diventare soggetto responsabile nella storia:
“C’è sì un'analisi, che, separando astrattamente i fattori di un organismo, li distrugge in quanto elementi concorrenti nella unità del complesso: - ma ce n e un'altra di analisi, ed essa sola ha valore per la intelligenza della storia, ed è quella che distingue e separa gli elementi soltanto per ravvisarvi la necessità obiettiva della concorrenza loro nel resultato. Oramai è opinione popolare, che il socialismo moderno sia un normale e perciò inevitabile portato della storia attuale. La sua azione politica, che ammette, sì, d'ora innanzi indugi e ritardi, ma non più riassorbimento totale e annichilimento, cominciò decisamente con la Internazionale. Più indietro però di questa sta il Manifesto. La sua dottrina è innanzi tutto la luce teorica portata sul movimento proletario; il quale, del resto, s'era generato e continua a generarsi indipendentemente dall'azione di ogni dottrina. E poi è più che questa luce. Il comunismo critico non sorge se non nel momento in cui il moto proletario, oltre a essere un resultato delle condizioni sociali, ha già tanta forza in sé da intendere, che queste condizioni sono mutabili, e da intravvedere con quali mezzi e in che senso possano essere mutate. Non bastava che il socialismo fosse un resultato della storia; ma bisognava inoltre intendere come fosse intrinsecamente cotale resultato, e a che cosa menasse l'agitazione sua. L'enunciazione di tale consapevolezza, che cioè il proletariato, come resultato necessario della società moderna, ha in sé la missione di succedere alla borghesia, e di succederle come forza produttrice di un nuovo ordine di convivenza, in cui le antitesi di classe dovranno sparire, fa del Manifesto un momento caratteristico del corso generale della storia. Esso è una rivelazione, ma non già come apocalissi o promessa di millennio. È la rivelazione scientifica e meditata del cammino che percorre la nostra società civile (che l'ombra di Fourier mi sia benigna); la quale rivelazione, pei modi come è espressa, assume la parola decisiva e direi fulminea di chi enuncia nel fatto la necessità del fatto stesso2”.
Labriola coglie il nucleo essenziale della filosofia di Marx, ovvero il proletariato è il soggetto che deve riorientare la storia, deve condurre verso l’esodo dall’alienazione nelle sue forme plurali. In Labriola la speranza si coniuga con l’analisi delle condizioni storiche e strutturali. Il proletariato è la classe su cui grava il dolore e l’ingiustizia del modo di produzione capitalistico per cui è la classe deputata alla liberazione dell’umanità tutta. Se il finalismo è tramontato, oggi il motore della storia restano gli ultimi. Il proletariato composito di precari, operai e migranti possono ancora essere la miccia che può far deviare la storia. La speranza è ancora negli ultimi che vivono nella carne la violenza quotidiana del grande capitale.
Comunismo critico
La storia non è iscritta secondo una fatalità binaria: dominatori-dominati, gaudenti-sofferenti, tale condizione ha le sue cause umane e pertanto modificabili. Il grande successo del capitale supportato è nell’aver ipostatizzato tale contraddizione. Nichilismo e pessimismo lavorano per rendere la contraddizione eterna. Non a caso i discepoli di Schopenhauer (Galimberti, Mieli ecc.) hanno ampio spazio e visibilità, descrivono a tinte fosche una contingenza inemendabile, di conseguenza le loro critiche diventano la lastra tombale per un’impossibile prassi. Il sistema incentiva e favorisce la diffusione di questa linea interpretativa del presente per presentarsi come democratico e per “educare” all’adattamento senza speranza.
Il comunismo critico di Labriola conosce la fatalità ideologica, ma per smascherarla e riportare la storia alla prassi possibile, alla speranza radicata razionalmente nella storia:
“Come il proletariato moderno suppone la borghesia, così questa non vive senza di esso. E l'uno e l'altra sono il resultato di un processo di formazione, che tutto poggia sul nuovo modo di produrre i mezzi necessari alla vita; cioè tutto poggia sul modo della produzione economica. La società borghese è sorta dalla società corporativa e feudale, e ne è sorta lottando, e rivoluzionando ciò che aveva dinanzi a sé, per impossessarsi degl'istrumenti e dei mezzi della produzione, i quali tutti poi culminano nella formazione, nell'allargamento, e nella riproduzione e moltiplicazione del capitale. Descrivere la origine e il progresso della borghesia, nelle sue varie fasi, esporre i suoi successi nello sviluppo colossale della tecnica e nella conquista del mercato mondiale, indicare le conseguenti trasformazioni politiche, che di tali conquiste sono l'espressione, le difese e il resultato, vuol dire fare al tempo stesso la storia del proletariato. Questo, nella sua condizione attuale, è inerente all'epoca della società borghese; ed ebbe, ha e avrà tante e tante fasi, quante ne ha questa società stessa, fino al suo dissolvimento. L'antitesi di ricchi e di poveri, di gaudenti e di sofferenti, di oppressori e di oppressi, non è un qualcosa di accidentale e di facilmente removibile, come era parso agli entusiastici amatori della giustizia. Anzi è un fatto di necessaria correlazione, dato il principio direttivo dell'attuale forma di produzione; il che apparisce nella necessità del salariato. Questa necessità è in sé duplice. Il capitale non può impossessarsi della produzione se non a patto di proletarizzare, e non può continuare a esistere, a esser fruttifero, ad accumularsi, a moltiplicarsi e a trasformarsi, se non a patto di salariare i proletarizzati. E questi, alla lor volta, non possono esistere e rinnovarsi se non a condizione di darsi a mercede, come forza di lavoro, il cui uso è abbandonato alla discrezione, cioè alle convenienze dei possessori del capitale3”.
Esodo e prassi
La prassi storica non è profezia, ma potenzialità pronta a trasformarsi in atto, se ci si dispone al cambiamento, affinché ciò possa essere sono necessarie le condizioni storiche e la coscienza interpretativa di classe. I due elementi per coniugarsi e diventare operativi hanno bisogno di cultura critica e rappresentanza politica. Il sistema aziendalizza la storia e rende la democrazia pura formalità senza realtà allo scopo di conservare se stesso. Ogni vera rivoluzione, sottolinea Labriola, non può che coinvolgere interamente la comunità sociale; la rivoluzione è partecipazione diffusa, è movimento che necessita della relazione osmotica tra partito e popolo. Se la rivoluzione diventa settaria non può che fallire, perché non è rivoluzione, ma moto di pochi. Il comunismo critico di Labriola è umanistico perché democratico:
“La previsione storica, che sta in fondo alla dottrina del Manifesto, e che il comunismo critico ha poi in seguito ampliata e specificata con la più larga e più minuta analisi del mondo presente, ebbe di certo, per le circostanze del tempo in cui apparve la prima volta, calore di battaglia, e colore vivissimo di espressione. Ma non implicava, come non implica tuttora, né una data cronologica, né la dipintura anticipata di una configurazione sociale, come fu ed è proprio delle antiche e nuove profezie e apocalissi. L'eroico Fra Dolcino non era sorto di nuovo a levar per le terre il grido di battaglia, per la profezia di Gioacchino di Fiore. Né si celebrava nuovamente a Münster la risurrezione del regno di Gerusalemme. Non più Taborriti o Millenarii, Non più Fourier, che aspettasse chez soi, a ora fissa, per degli anni, il candidato della umanità. Non era più il caso che l'iniziatore di una nuova vita cominciasse da sé a mettere in essere, con mezzi escogitati, e in modo unilaterale e artificiale, il primo nocciolo di una consociazione, che rifacesse, come albero da germoglio, la pianta uomo: - come accadde da Bellers, attraverso Owen e Cabet, fino alla impresa dei fourieristi nei Texas, che fu la catastrofe, anzi la tomba, dell'utopismo, illustrata da un singolare epitaffio, la calda eloquenza di Considérant che ammutolì. Qui non è più la setta, che in atto di religiosa astensione si ritragga pudica e timida dal mondo, per celebrare in chiusa cerchia la perfetta idea della comunanza; come dai Fraticelli giù giù alle colonie socialistiche di America. Qui, invece, nella dottrina del comunismo critico, è la società tutta intera, che in un momento del suo processo generale scopre la causa del suo fatale andare, e, in un punto saliente della sua curva, la luce a se stessa per dichiarare la legge del suo movimento. La previsione, che il Manifesto per la prima volta accennava, era, non cronologica, di preannunzio o di promessa; ma era, per dirla in una parola, che a mio avviso esprime tutto in breve, morfologica4”.
Il nichilismo imperante non è un destino, ma una condizione contingente storica, la quale non è la conclusione della storia. Uscire dal fatalismo significa riportare la prassi al centro e specialmente leggere l’attualità con categorie teoretiche che ne permettano la razionalità interpretativa. La contingenza storica va strappata al suo vuoto fatalismo, il primo passo per uscire dalla caverna della servitù è dialetizzare il presente.
Antonio Labriola è parte della tradizione critica della cultura italiana, la sua rilettura è un atto politico, poiché è il segno tangibile che il capitale può erodere una tradizione come la natura umana etica e comunitaria, ma non annichilirle. La coscienza pensante è condizionabile, ma non determinabile al punto da renderla ente tra gli enti. La coscienza infelice testimonia l’arsura del capitalismo e il potenziale veritativo inestinguibile della natura umana In ogni circostanza e tempo storico l’essere umano conserva il suo potenziale critico e rielaborativo. Il capitalismo non è l’ultima parola, da questa verità comincia l’esodo dal capitalismo di sangue e merci.
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