Sembra proprio che la globalizzazione sia in ritirata. O che stia prendendo forme diverse da quelle che hanno preceduto la Grande Crisi del 2008 e che hanno accompagnato la straordinaria crescita delle economie nei due decenni precedenti. Uno studio del McKinsey Global Institute ha calcolato che i flussi di capitale che attraversano le frontiere, uno dei motori della mondializzazione, sono calati del 65% tra il 2007 e il 2016. Prestiti, acquisti di azioni e di bond, trasferimenti, investimenti diretti tra un Paese e l’altro erano arrivati a 12.400 miliardi di dollari e sono scesi a 4.300. Tra il 1990 e il 2000, la media annua di questi flussi è stata il 5,3% del Prodotto lordo mondiale; tra il 2000 e il 2010 l’11,5%; tra il 2010 e il 2016 il 7,1%.
L’analisi di McKinsey sostiene che il calo non è in sé negativo: era l’eccesso finanziario precedente la crisi a essere poco sano. A indicare però che il modello di globalizzazione passato sta vivendo un periodo di trasformazione ci sono anche i dati sul commercio internazionale, il lato «reale» dell’economia. La Wto (l’Organizzazione mondiale per il Commercio) indica che nel 2016 gli scambi mondiali di merci sono aumentati, in volume, solo dell’1,3%, che è la metà della crescita del 2015 e molto sotto la media annuale dal 1980, che è il 4,7%. Per la prima volta, l’anno scorso il commercio mondiale di beni è cresciuto meno del Prodotto lordo globale. Dalla fine della seconda guerra mondiale, gli scambi sono in media aumentati di 1,5 volte la crescita dell’economia, negli Anni Novanta più del doppio. Dalla crisi in poi, il rapporto è sceso a 1,1 e l’anno scorso a 0,6. In termini di valore e non di volume, nel 2016 gli scambi sono diminuiti del 3,3% rispetto all’anno precedente, a 15.460 miliardi di dollari. Il commercio di servizi è cresciuto di solo lo 0,1% nel 2016 dopo una caduta del 5,5% nel 2015.
I fattori alla base di questo rallentamento degli scambi globali sono numerosi, in parte legati alla crescita economica, al rallentamento della Cina, ai cambiamenti dei flussi di merci nelle catene globali di produzione, alla diminuzione della domanda di materie prime, ai movimenti valutari. Probabilmente, anche la riduzione dei flussi finanziari, che non sono solo speculativi ma anche investimenti, ha rallentato il commercio. E un effetto non secondario lo hanno avuto le politiche protezioniste, intensificate dopo la Grande Crisi. Non siamo al crollo della globalizzazione. Ma siamo a un suo consistente cambiamento e forse ridimensionamento. A un mondo meno piatto, con più confini. Il che aiuta a capire il perché del disordine globale.
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