Il 17 marzo il sottosegretarioDomenico Manzione ha presentato in aula una lunga e articolata analisi. Per prima cosa i numeri. Su 1800 donne regolarmente residenti, le denunce di violenza sono due nel 2012 e 2013, appena una nel 2014. “Comunque l’attenzione delle forze dell’ordine su tale fattispecie delittuosa è costante”, spiega il sottosegretario. Anche il Ministero degli Esteri romeno aveva osservato che il numero di segnalazioni in merito è molto limitato.
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Cinquemila donne lavorano nelle serre della provincia siciliana. Vivono segregate in campagna. Spesso con i figli piccoli. Nel totale isolamento subiscono ogni genere di violenza sessuale. Una realtà fatta di aborti, “festini” e ipocrisia. Dove tutti sanno e nessuno parla
SOLO L'ULTIMA TAPPA
«È vergognoso da parte del governo dire che le violenze non sono aumentate perché non sono aumentante le denunce», dice all’Espresso l’onorevole Celeste Costantino, una delle firmatarie dell’interrogazione. «Chi vive in stato di segregazione si sente sotto minaccia e fatica a denunciare le violenze».
«Quella è solo l’ultima tappa di un lungo processo», ci dice Ausilia Cosentini, operatrice di Proxima, presente sul territorio fin dal 2012. «Occorre conquistare la fiducia della vittima. Con un passaggio in auto, col sostegno quotidiano. Materiale e psicologico».
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La curiosità di questi mesi ha aumentato la diffidenza delle donne. La sfiducia non è immotivata. Pratiche ferme, lentezze burocratiche, difficoltà di ogni tipo. Infine, una vittima deve trovare il coraggio di rendere pubbliche questioni così delicate. E quando accusa il datore di lavoro deve produrre prove in sede giudiziaria. Altrimenti rischia a sua volta la condanna per calunnia, osservano i legali.
In questi casi la prima interfaccia non può essere un poliziotto. Invece le istituzioni hanno scelto la strada delle retate. «Per l’esperienza che abbiamo, non siamo d’accordo con questa modalità di azione. Sappiamo che questo approccio non funziona», dice Cosentini.
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si muove il Parlamento
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Ma cosa ha portato l’attenzione mediatica dei mesi scorsi? I cambiamenti positivi riguardano la maggiore attenzione delle istituzioni. C’è un buon lavoro di rete tra le organizzazioni del privato sociale. Ma lo stesso progetto di Proxima, citato da tutti, è in scadenza il 30 giugno. Probabilmente ci sarà l’ennesima proroga. “Ma così non è possibile programmare”, spiegano gli operatori.
Le notizie positive finiscono qui. Si discute ancora sull’estensione del fenomeno. Non sul modo di cancellarlo per sempre. Del resto non occorre attendere le denunce per allarmarsi. Le violenze sessuali sono provate da altri numeri. Inequivocabili. Li fornisce sempre il governo, riferendosi provincia di Ragusa, in particolare i reparti di ostetricia operanti a Ragusa, Modica e Vittoria: «Nel triennio 2012-2014, le interruzioni di gravidanza praticate a cittadine straniere sono state complessivamente 309, di cui 132, cioè il 42,7 per cento, hanno riguardato cittadine romene».
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Marisa Nicchi, prima firmataria dell’interrogazione di SEL, evidenzia che a Vittoria, città di 60mila abitanti, siamo di fronte a “un’obiezione di struttura”. Nessuno dei medici che lavorano nel locale ospedale pratica l’interruzione di gravidanza.
UN FENOMENO CHE SI ALLARGA
Secondo il governo alcuni amministratori locali hanno riportato «l’esigenza di evitare enfatizzazioni della questione». «Una percezione non del tutto veritiera della realtà fattuale» potrebbe danneggiare l’economia locale.
Nel frattempo, proseguono gli incontri del tavolo in Prefettura a Ragusa. Ma il fenomeno sembra allargarsi alla provincia di Catania. È di qualche giorno fa l’inchiesta “Slave” della Procura etnea. Un’organizzazione di romeni e italiani riduceva in schiavitù i lavoratori impegnati nella raccolta delle arance. Secondo i giudici, un filone dell’indagine ancora in corso riguarderebbe le donne dell’Est costrette a prostituirsi.
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