Nel caos geopolitico
in cui ci troviamo, nel labirinto della vita virtuale in cui diventa sempre più
difficile distinguere la realtà dalla finzione e di fronte a fenomeni
inquietanti come gli
scontri di piazza razziali negli Stati Uniti e l’ascesa in Medio Oriente dello
Stato islamico, meglio noto come Isis, si alza la voce di Papa Francesco, che come un faro
che cerca di squarciare le tenebre esistenziali in cui siamo piombati.
C’è
ben poco da stare allegri: sullo sfondo della deflazione e
di fronte all’ascesa della disoccupazione, non solo in Italia, ma a giudicare dai
fatti di Ferguson, anche oltreoceano, si profila lo spettro del razzismo. L’Isis lo pratica quale
strategia primaria per rendere la società il più omogenea possibile, una
tattica che facilita la raccolta del consenso all’interno del territorio da
questo controllato, il Califfato. La pulizia etnica e religiosa viene
amministrata con atti barbari e disumani che a noi europei fanno tornare in
mente le atrocità commesse dai Nazisti e dai Fascisti appena un secolo fa. L’accanimento
contro il diverso, chi non è come noi, è naturalmente un segno di debolezza, tutte le
gradi civiltà al loro apice erano multietniche e lo scambio di idee tra popoli
diversi, tra culture diverse, tra religioni, usi e costumi diversi, arricchiva
la popolazione. Da Babilonia a Roma fino al Califfato del Nono e Decimo secolo
questo è il modello.
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La debolezza dello Stato islamico è nota, un’organizzazione armata che vuole
strutturarsi come Stato attraverso una guerra di conquistaclassica, condotta quasi porta
a porta, in trincea. Un processo che dal 2011 viene attuato usando tecniche
terroristiche, barbare per terrorizzare i nemici, tra cui anche noi
occidentali, ed ingigantire l’immagine di potere dell’Isis. Una strategia che
allo stesso tempo presenta agli abitanti abilitati a far parte del nuovo Stato
– sunniti salafisti radicali – vantaggi mai avuti in passato sotto la gestione
statale di regimi sciiti ostili, quello di Damasco e di Baghdad. La debolezza
di questa costruzione sta nell’assenza di un processo di costruzione dello
Stato basato sulla volontà ed il consenso della popolazione di unirsi, farsi Stato e
condividere la cosa pubblica. Al suo posto, infatti, troviamo una guerra di
conquista, da qui l’assenza del riconoscimento da parte della comunità
internazionale che invece ha deciso di combattere con una nuova guerra per procura il nuovo nemico che pratica pulizia
etnica e giustizia barbaramente gli ostaggi occidentali.
La
debolezza dell’Occidente è un’altra ed è tutta economica. La lunga onda
recessiva si è trasformata in una marea deflazionista che minaccia il cardine
primario della società occidentale: la crescita.Sullo
sfondo dell’impoverimento della classe media e dell’assenza di mobilità sociale,
quel 99 per cento di poveri e potenziali poveri hanno iniziato a lottare tra di
loro. In questa guerra tra mendicanti c’è anche lo Stato, anch’esso affetto dal morbo della povertà, uno Stato che
non riesce a sedare la rivolta dei poveri e che invece finisce per farne parte. La
decisione delle istituzioni americane di non punire il poliziotto bianco che a
Ferguson la scorsa estate ha ucciso l’adolescente nero che armeggiava una
pistola giocattolo e di non concedere l’appello a questa sentenza ne è la riprova. Si vuole evitare il
dibattito sui perché di questa azione, la paura del poliziotto in pattuglia in
una zona principalmente popolata da neri; le tensioni razziali ancora
fortissime nel sud degli Stati Uniti; l’aumento della criminalità spicciola
quale reazione alle difficoltà economiche e così via.
In
Europa Cameron chiede di trattare gli immigrati come cittadini di
secondo grado, di ‘istituzionalizzare’ lo sfruttamento di costoro, e
molti in Europa gli daranno ragione. A 25 anni dal crollo del muro di Berlino
viene spontaneo chiedersi perché è stato abbattuto se il trattamento
dell’europeo doc sarà diverso da quello di tutti gli altri, forse i motivi sono
legati alla necessità del capitalismo occidentale di trovare nuovi mercati da
colonizzare, ragioni che non hanno nulla a che vedere con la diffusione della
libertà politica e l’uguaglianza tra i popoli.
Le
parole del Papa sono preziose perché ci ricordano che gli uomini sono tutti
uguali, questo è il primo sacrosanto diritto umano. Sono parole
coraggiosissime, pronunciate in Turchia, un Paese a stragrande maggioranza
musulmano, e che incitano all’apertura non alla chiusura attuale nei confronti
dell’Islam, che suggeriscono la
necessità di fare uno sforzo per intavolare un dialogo informale, rozzo, con
chi è vicino allo Stato islamico, per capire e trovare una soluzione non
bellica, ma pacifica a quanto sta accedendo in questa parte del mondo.
Discorso
analogo vale per la guerra tra i poveri, lo Stato deve avere il coraggio di
Francesco per fermarla redistribuendo la ricchezza a favore di quel 99 per
cento. La parola ‘nazionalizzazione’ dovrebbe essere
rispolverata dal vocabolario della politica e pronunciata pubblicamente.
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