In tutta Italia lo sfruttamento della manodopera è una pratica consolidata e a farne le spese sono soprattutto gli stranieri. Secondo le stime dell'Istat il lavoro nero nell'agricoltura arriva al 43%, cifra che costa allo Stato 420 milioni di euro ogni anno
Una situazione che la crisi economica ha aggravato ulteriormente. A farne le spese sono soprattutto gli stranieri che si trovano in una posizione di vulnerabilità economica e sociale. Ad oggi, in base ai dati ufficiali che non tengono conto della presenza degli irregolari, i lavoratori stranieri occupati nel settore ammonterebbero a circa 314mila persone. Le nazionalità maggiormente coinvolte sarebbero nell'ordine: quella romena (circa un terzo del totale), quella indiana (con 25mila braccianti), seguita da quella marocchina e albanese (24mila) e polacca (22mila).
LE MAPPE DELLO SFRUTTAMENTO
Lavoratori stranieri con una lunga storia nel nostro Paese, ex operai provenienti dalle fabbriche del nord-est e manodopera respinta dal mercato del lavoro. L'Osservatorio Placido Rizzotto, promosso dalla Flai-Cgil, ha censito oltre 80 aree a rischio caporalato. Una mappa che non include solo zone in cui il fenomeno è tradizionalmente radicato, come la Calabria, la Campania, la Puglia o la Sicilia, ma anche regioni come il Lazio, la Toscana, il Piemonte e la Lombardia, dove il caporalato si associa sempre più frequentemente ad altre forme di reato: contraffazione alimentare, truffa, contratti di lavoro falsi, sottrazione e furto dei documenti di identità fino alla riduzione in schiavitù.
E se la quota di lavoro nero in agricoltura per l'Istat è pari al 43 per cento, in termini di evasione fiscale il caporalato costerebbe allo Stato oltre 420 milioni di euro l'anno. Cifre che denunciano l'urgenza di una diversa regolamentazione del mercato del lavoro e di una nuova politica dell'immigrazione.
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