ROMA - Nell'ultimo trimestre dello scorso anno il tasso di disoccupazione è aumentato sull'anno prima di quasi due punti. La disoccupazione giovanile di 5 punti. Eppure sono stati registrati in quello stesso trimestre 218 mila nuovi contratti. In ben 17 regioni le assunzioni sono in ripresa rispetto all'anno prima. E' vero che solo 31 mila sono a tempo indeterminato, ma sono comunque posti. Eppure i giovani sono rimasti fuori. E' il segnale che sono lavori vecchi: per questo non si assumono giovani ma persone che hanno già esperienza. La classe di età più vicine alla pensione è quella meno toccata dalla crescita della disoccupazione. E poiché sono lavori vecchi, sono anche pagati meno. La crisi dei consumi interni, o detto in termini più esatti, il fatto che gli italiani abbiano tagliato le loro spese, dall'alimentazione all'abbigliamento, al tempo libero dipende dal fatto che ci sono disoccupati, troppi cassintegrati e le retribuzioni di quelli che hanno un lavoro sono basse. Non crescono da anni per da anni non cresce la produttività.
E' in uno dei passaggi più neri di questa crisi economica, e nel mezzo di una campagna elettorale che può portare il Paese intero di fronte a un bivio, che esce questo secondo numero dei Quaderni di Affari & Finanza dedicato al lavoro. "Capire il lavoro - Le cento voci da conoscere sull'occupazione che cambia" vuole essere un percorso ragionato, articolato secondo la formula già sperimentata lo scorso anno del glossario, attraverso due temi fondamentali:
gli effetti dalla riforma Monti-Fornero sul mercato del lavoro e la precarizzazione.
Attraverso le cento voci selezionate, affidate alle firme del gruppo Repubblica, e un'analisi finale dettagliata dell'impianto della riforma, il Quaderno vuole accompagnare i lettori dentro i grandi nodi irrisolti del "caso Italia". Un paese anomalo anche in questo: in un tasso di disoccupazione complessivo (11,1%) non poi così lontano da quello degli altri grandi paesi europei, vicino a quello francese, sotto la media dell'area euro (11,8%) appena sopra di quello dell'Ue a 27 (10,7%). Eppure con un tasso di disoccupazione giovanile al 37%, più vicino al catastrofico 57% spagnolo che non alle altre economie.
Di qui parte il viaggio dentro un sistema economico "antiquato" e per ciò stesso povero. Tutto questo, nel linguaggio degli economisti, si chiama "bassa produttività". Ed è questo il male che affligge l'Italia e gli italiani. di qui una infinita serie di contraddizioni e paradossi, come quello che ci vede lavorare, in termini di ore, molto sopra la media europea. Se ci trovassimo in Asia a competere con il Vietnam andrebbe bene. Ma siamo in Europa: bisogna fare cose diverse, in linea con la percezione che abbiamo di noi stessi e che si riflette nelle nostre aspettative di livelli di vita e di consumi.
Il vero lavoro che non c'è, dunque, è tanto nei posti persi quanto in quelli nuovi che non sono stati creati. Ma come si creano i posti di lavoro? In un solo modo: capendo e interpretando i cambiamenti dell'economia. E questo è uno dei primi nodi italiani: una classe dirigente non all'altezza della situazione. Basta guardare questa campagna elettorale dove di lavoro si parla pochissimo; un paragrafetto di rigore in ogni intervento per deprecare la disoccupazione.
Ma le soluzioni? Tutto viene affrontato solo in termini di fisco: meno tasse per far ripartire i consumi. Le tasse si alzano o si abbassano, si cancellano e a volte addirittura si promette di restituirle. Ma non si parla del vero problema: perché il lavoro degli italiani non produce abbastanza ricchezza. Ricostruire un'economia significa fare i conti con quello che c'è, valorizzarlo e non perdere energie e risorse dietro a un mondo che non c'è più e a modelli e comparti industriali del secolo scorso. Importiamo energia e paghiamo per portare all'estero i nostri rifiuti che altri trasformano in energia (con tecnologie sicure) diminuendo così la "loro" bolletta energetica: questo è un tipico esempio di come noi finanziamo il lavoro degli altri. Quanta occupazione creerebbe invece la raccolta differenziata e una gestione efficiente del ciclo dei rifiuti? Molta e duratura. E i casi potrebbero moltiplicarsi, specie su tutta la filiera dell'economia verde. Ma non solo. Dei 218 mila nuovi contratti dell'ultimo trimestre 2012 la metà vengono da azienda con meno di 50 dipendenti. Un quarto da aziende con meno di 250 dipendenti. E solo 50 mila dalla grande industria. Forse è ora di ribaltare l'agenda e le priorità di questo Paese
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