Un libro (SAN PAOLO RELOADED, Transeuropa) che è un parco giochi teologico e filosofico, in cui Zizek asserisce che il cristianesimo è troppo prezioso per essere lasciato a fondamentalisti e agguerriti conservatori
Come si fa a recensire il libro di un filosofo come Slavoj Zizek, star mondiale del pensiero pre/post/trans? Uno che, vivo e vegeto, a colazione può godersi la lettura dell' International Journal of Zizek Studies ? Che dalle prime righe di un qualsiasi suo libro ti trascina su un ottovolante speculativo da cui atterri stordito? Se non sei un lettore ben temperato il rischio è di venire sballottato tra idee e contro idee e di sentirti, alla fine, un verme. Non mi risulta che tra le tipologie dell'argomentare filosofico ci sia la civetteria, anche se Georg Simmel gli ha dedicato un acuto saggio cent'anni fa. Zizek ti strizza l'occhio, poi ti volta le spalle e di nuovo ti prende per mano per abbandonarti subito dopo. Qualche volta sembra stupirsi da solo della propria arditezza intellettuale o della trita banalità che gli è appena sfuggita. Se poi ci mette di suo anche la meritoria casa editrice che traduce l'accademico titolo del libro qui in questione Paul's New Moment. Continental Philosophy and the Future of Christian Theology con San Paolo Reloaded. Sul futuro del cristianesimo , si capisce che non c'è solo Zizek a zizekkare (Transeuropa, Massa, a cura di Alice Gonzi e Damiano Bondi, euro 19,90). Se dobbiamo dunque fare download tra le nostre reti neurali delle 192 pagine di questo straordinario parco giochi filosofico- teologico e se vogliamo stabilirne la reciproca compatibilità, sarà meglio partire dal più breve e più veemente dei cinque saggi che compongono il libro (due appartengono a John Milbank, teologo anglicano fondatore della Radical Orthodoxy ): Una meditazione sul Cristo sulla Croce di Michelangelo. Interpretando il disegno del Crocefisso per Vittoria Colonna Zizek si concede la più esplicita dichiarazione di «fede» politica: «Il legame tra la comunità cristiana e il movimento progressista è cruciale...una comunità che segua il modello della comunità cristiana originaria: una comunità di emarginati... Ecco perché io e molti altri filosofi di sinistra... siamo così interessati a rileggere, riabilitare, e riappropriarci dell'eredità di Paolo...Io sostengo che se perdiamo questo momento cruciale - il momento della realizzazione dello Spirito Santo come una comunità di credenti - noi vivremo in una società davvero triste, in cui l'unica scelta sarà tra il volgare liberalismo egoistico o il fondamentalismo che lo contrattacca. Ecco perché io - esattamente un radicale di sinistra - penso che il cristianesimo sia una cosa troppo preziosa per lasciarlo ai fondamentalisti conservatori. Dovremmo lottare per esso. Il nostro messaggio non dovrebbe essere, 'Potete tenervelo', ma «No, è nostro. Voi lo state rapendo'». Dunque, una dose di cristianesimo da iniettare in una sinistra anemica e impotente, affetta da un relativismo, che, quando va bene, si impegna a correggere le storture dei modi di vita, invece di criticarli alla radice, immersa com'è in una universale compassione multiculturale in cui tutto può essere decostruito, anche i rapporti di produzione e lo sfruttamento che generano. Michelangelo rappresenta il «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» gridato da Gesù sulla croce come un gesto di ribellione e di accusa. Cristo-Dio è diviso dal Dio-Padre, la sua fede vacilla, per un momento diviene ateo. Dio abbandonato da Dio, Dio che non crede in sé stesso. Zizek vede in questo Dio michelangiolesco un Dio impotente (un Michelangelo influenzato in realtà da Vittoria Colonna e non viceversa, ma questo Zizek sembra non saperlo) e lo traduce, affidandosi al suo adorato Lacan, come il grande Altro , che muore sulla croce e con lui muore la garanzia di significato globale su cui contare e avere fiducia. Il Pezzo Grosso sistemerà alla fin fine tutto, dice la religione, lui sa cos'è meglio per noi e come sia la vera armonia del mondo e il suo destino. Niente di più falso, ribatte Zizek, il Garante supremo non garantisce niente, ha dubitato di se stesso, là, appeso ai chiodi, però ha fiducia in noi, manda lo Spirito santo, e Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, lì sono i mezzo a loro e così la comunità si costituisce e agisce. Nel nostro tempo, obietto io, il Paraclito deve essere in pausa pranzo, ma per Zizek questa è l'eredità del cristianesimo, un'istanza etica che ci carica dell'onere di organizzarci, perché la spinta del nostro sviluppo storico, l'economia sacrale, il mistico mercato, la sragione del capitalismo, se non l'abbiamo ancora capito, porta alla catastrofe. La storia non è dalla nostra parte, come sosteneva il marxismo classico con il suo proletariato salvatore atteso, predestinato e necessario dell'umanità, ci tocca invece andargli contro, agire di puro volontarismo contro la necessità storica. Non c'è nessun grande Altro su cui fare affidamento, c'è solo la nostra libertà radicale di contrastare o no la grande marcia della storia verso il disacon cui criticamente dialogare Alain Badiou e il suo autorevole San Paolo. Fondazione dell'universalismo (Cronopio, 1999). «Senza la Legge il peccato è morto» , scrive l'apostolo e Zizek: «una legge che genera la propria trasgressione giacché ne ha bisogno per affermarsi come legge». Come uscire da questo circolo vizioso in cui è l'atto stesso della proibizione che dà origine al desiderio di trasgredirla, in cui legge e trasgressione si generano e si alimentano a vicenda? Nell'analitica del presente, come resistere al capitalismo che satura ogni cosa, i nostri desideri e i nostri sforzi di resistergli, che cattura ogni nostra cognizione e impulso? Per farla breve: non con la perversione , dice Zizek parlando in lingua lacaniana, che è una trasgressione interna alla Legge (economica, politica, sessuale, religiosa...), che ad essa fa comunque riferimento, specchiandosi, ma con una radicale destituzione soggettiva o isteria o separazione dall'ordine simbolico dominante, sospensione della Legge, disconoscimento dell'Altro, fino ad accettare il vuoto della propria non-esistenza, della propria morte simbolica. È da questo attracco paolino che Zizek salpa per esplorare la possibilità di un materialismo cristiano apocalittico. stro e l'apocalisse. «Nel capitalismo può ravvivarsi una religione, vale a dire, il capitalismo serve essenzialmente alla soddisfazione delle medesime ansie, sofferenze, inquietudini, cui un tempo davano risposta le cosiddette religioni» scriveva Benjamin, richiamato da John Milbank e trascritto dai curatori del libro. Kapitalismus als Religion, Capitalismo come religione. Per fermarlo c'è bisogno di una «religione» altrettanto forte. Ma come si ricarica Paolo di Tarso in questa grandiosa baraonda teoretica? Guardandolo, dico io, come un Lenin mediterraneo e cristiano, e non so se Zizek questa me la passerebbe. Ma quale Paolo? La ricerca storica ed esegetica è da più di un secolo che oscilla tra Paolo come «vero» inventore del cristianesimo, e Paolo che non è cristiano per niente, mentre quella che viene chiamata la «radical new perpective» si affanna a dimostrare che la teologia paolina è paradossale, asistematica, incoerente, tutta legata a situazioni contingenti. Zizek non è interessato a questi sviluppi di ricerca, Milbank un po' di più. Di Paolo gli importano alcuni fulcri teorici che estrae da tutto il corpus paolino, ma soprattutto scavando la lettera ai Romani che gli appare come un testo proto-psicoanalitico
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