Lisbona, quartiere di Alfama, undici di sera. Fuori, il vento dell’Atlantico spazza via le ultime nuvole della giornata. Dentro, una donna siede al tavolo della cucina. Accende il tablet, si collega al sito dell’agenzia delle entrate portoghesee inserisce la password. Sul video appaiono alcune scritte colorate: salute, educazione, familiari, affitto, lavori di casa, trasporti, ristoranti, supermercato, veterinario, parrucchiere, automobile, motociclo. Sotto ogni scritta c’è una cifra. «Indicano quanto ho speso l’anno scorso per ciascuna di queste voci, e di conseguenza quanto potrò detrarre dalla mia dichiarazione dei redditi».
Catarina Pinto da Silva, 40 anni, commessa dei grandi magazzini El Corte Inglés, può contare su quattro vantaggi rispetto a una sua collega italiana alle prese in questi giorni con il 730. Il primo è che risparmierà 3.753 euro di tasse, traduzione pratica di quelle detrazioni che appaiono sul tablet. Il secondo è che per ottenere questo sconto non c’è stato bisogno di accumulare in qualche cassetto di casa centinaia di scontrini, come invece succede da noi a chi vuole scaricare le spese sanitarie: perché ogni volta che è andata a comprare qualcosa, a farsi la messa in piega o a pagare l’idraulico, Catarina ha fornito il suo codice fiscale ricevendo in cambio uno scontrino identificativo caricato direttamente sul sito dell’agenzia delle entrate. Il terzo vantaggio è che alla commessa di Lisbona per compilare la dichiarazione dei redditi basterà schiacciare il tasto invio per spedirla al Fisco. Il quarto e ultimo beneficio dipende invece dalla fortuna.
Ogni volta che la donna spende 10 euro, lo scontrino riporta un codice numerico che le permette di partecipare a una lotteria con premio massimo di 50 mila euro. «Di tutte le persone che conosco nessuno finora hai mai vinto la lotteria», racconta la signora Pinto da Silva, «ma la speranza di farcela, e soprattutto la certezza di poter risparmiare qualche migliaio di euro all’anno, ha portato a un cambiamento radicale nell’atteggiamento di noi portoghesi: mentre prima era un’abitudine di pochissimi, oggi qui si fa a gara per farsi fare lo scontrino».
Il nome dato a questo programma è “e-fatura”. Significa fatturazione elettronica ed è stato introdotto a partire dal 2013 per combattere l’evasione. Una piaga devastante per l’economia lusitana. O almeno così era fino a cinque anni fa, quando l’allora governo di centro destra, nel pieno della crisi finanziaria che ha portato a Lisbona i tecnici della Troika, decise di adottare questo metodo basato su una piccola rivoluzione tecnologica: collegare tutti i registratori di cassa del Paese all’agenzia delle entrate, così da tenere traccia di ogni fattura o scontrino emesso.
I dati dell’istituto di statistica portoghese dimostrano che la riforma ha prodotto risultati invidiabili. Racconta Monica Paredes, portavoce del ministro delle Finanze Mario Centeno, da poco diventato anche presidente dell’Eurogruppo: «Da quando è partito il programma e-fatura, le entrate fiscali sono aumentate in modo significativo, molto di più rispetto a quanto è cresciuto il pil e i consumi delle famiglie. Tutto questo significa una cosa: è calata l’evasione fiscale». Detta dal rappresentante di un governo di sinistra, che la riforma l’ha ereditata senza cambiarla di una virgola, l’affermazione assume un valore ancor più significativo. Soprattutto se osservata da casa nostra, dove l’economia nera sottrae ogni anno decine di miliardi alle casse dello Stato.
Nel 2013 il Portogallo ha permesso di detrarre parecchie spese. E il gettito è cresciuto molto più dei consumi. Ecco le variazioni percentuali dal 2012 al 2016
Gli studi più attendibili calcolano che in Italia vengono evasi ogni anno tra i 110 e i 140 miliardi di euro. Soldi con cui, tanto per dire, si potrebbe raddoppiare la spesa sanitaria nazionale. O dare una netta sforbiciata alle tasse in un Paese in cui, calcola l’Ocse, la pressione fiscale è la sesta più alta al mondo. Il problema è come recuperarli, questi soldi, cioè come far sì che tutti paghino le imposte. Questione talmente popolare da aver convinto diversi partiti a concentrare le loro promesse elettorali proprio su questo punto. Prima fra tutti la Lega di Matteo Salvini con la proposta della flat tax: cancellazione di tutte le detrazioni fiscali e introduzione di un’aliquota uguale per tutti, persone e imprese, fissata al 15 per cento (a cui, pare di capire dalle ultime dichiarazioni, se ne aggiungerà un’altra al 20 per cento per i redditi familiari superiori agli 80 mila euro).
La tesi leghista è semplice: se abbassiamo le imposte ci saranno molte più persone disposte a pagarle. Scommessa che comporta però conseguenze pericolose. Soprattutto per uno Stato, l’Italia, che ha già il quarto debito pubblico più alto al mondo in rapporto al pil. Lo stesso consigliere economico di Salvini, Armando Siri, ha stimato che l’introduzione della tassa piatta causerà un calo iniziale delle entrate fiscali pari a 63 miliardi all’anno. Siri sostiene però che già nei primi mesi, grazie al fatto che il prodotto interno lordo crescerà e molte più persone verseranno le imposte, il buco verrà in parte compensato da 37 miliardi di nuovi introiti. Risultato: nel primo anno dell’ipotetica applicazione della flat tax, ha calcolato la stessa Lega, il costo netto della misura per la casse pubbliche sarà di 26 miliardi di euro.
Quanto è costata invece la riforma portoghese? Zero. I commercianti si sono infatti limitati ad aggiornare i loro sistemi di fatturazione, permettendo a ogni registratore di cassa di trasmettere direttamente le ricevute al Fisco, e il nuovo sistema è partito. Spiega Diogo Ortigão Ramos, avvocato di Lisbona esperto in diritto tributario e partner dello studio Cuatrecasas: «L’unico aiuto pubblico messo a disposizione consiste nella possibilità offerta ai commercianti di recuperare più velocemente del passato i costi sostenuti per aggiornare i registratori di cassa. Anche per questo credo che la riforma abbia avuto un successo clamoroso a livello popolare. Ha permesso di ridurre l’economia sommersa e ha modificato la percezione della gente nei confronti delle tasse». Il tutto senza aumentare la spesa pubblica né la pressione fiscale. Viene da chiedersi allora perché l’Italia non abbia ancora seguito il modello lusitano. E per quale motivo, invece di proporre riforme che secondo molti esperti rischiano di mandare a picco i conti del Paese, i partiti che si apprestano a governarlo non prendano in considerazione una riforma magari meno allettante della flat tax, ma decisamente più praticabile.
Indagando sul tema si scopre che in realtà l’idea di prendere spunto da Lisbona era stata seriamente considerata dai governi guidati da Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni. Ma alla fine non se n’è fatto niente. Lo racconta un alto funzionario del ministero dell’Economia, che in cambio dell’anonimato spiega chi finora si è opposto alla rivoluzione. «Va detto che un piccolo passo in avanti è stato fatto con le detrazioni per le spese mediche, visto che i registratori di cassa delle farmacie sono già collegati all’agenzia delle entrate. Premesso questo, esistono evidentemente alcune categorie che guardano con preoccupazione una riforma simile a quella portoghese. Ci sono i commercianti, i quali vedrebbero diminuire sensibilmente la possibilità di fare nero, ma anche i commercialisti, i sindacati e tutte quelle associazioni che attraverso i Caf incassano parecchio denaro ogni anno assistendo pensionati e dipendenti alle prese con la dichiarazione dei redditi», racconta la fonte del ministero dell’Economia. Di certo alla fine ne è venuta fuori una riforma che porta lo stesso nome di quella portoghese (e-fattura), ma ha caratteristiche piuttosto diverse.
Dal 2015 in Italia i fornitori della pubblica amministrazione devono emettere fatture elettroniche, obbligo che dal prossimo luglio dovrebbe essere esteso a tutte le cessioni di carburante e dal gennaio dell’anno prossimo sarà allargato a ogni operazione commerciale tra imprese. La differenza fondamentale rispetto al Portogallo è che da noi gli scontrini elettronici non arriveranno ai consumatori finali. I quali non potranno scaricare dalla dichiarazione dei redditi spese come l’idraulico, il gommista o il parrucchiere. Proprio i settori in cui, dice l’agenzia delle entrate, l’evasione fiscale è più diffusa. Secondo Andrea Parolini, docente di diritto tributario all’università Cattolica di Milano e partner dello studio Maisto e Associati, «è un peccato non aver ancora deciso di dare queste opportunità ai contribuenti. Sebbene queste ipotesi facciano spesso sorridere i puristi della materia, l’esperienza portoghese dimostra che nella lotta all’evasione dell’Iva gli strumenti premiali possono essere efficaci quanto quelli restrittivi». La tesi è condivisa anche da alcuni esponenti della cultura umanistica. Spiega ad esempio Gabriele Giacomini, ricercatore di Neuroscienze cognitive e Filosofia della mente all’università di Udine: «Come sosteneva Foucault, lo Stato non deve limitarsi a punire, deve anche premiare i comportamenti virtuosi perché così li incentiva. Quella portoghese è una soluzione dove vincono tutti: lo Stato, che incassa più denaro, e il singolo cittadino che risparmia e può sperare di vincere la lotteria».
Una spiegazione sul perché la soluzione portoghese non sia invece la migliore possibile la fornisce Vincenzo Visco, più volte ministro delle Finanze con il centro sinistra, oggi schierato con Liberi e Uguali, uno che della lotta all’evasione ha fatto il suo tratto distintivo, tanto che i suoi nemici lo hanno soprannominato Dracula. Visco condivide buona parte della strategia fiscale adottata da Lisbona, a partire dal collegamento dei registratori di cassa con l’agenzia delle entrate. «Lo avevo suggerito a Renzi quattro anni fa», racconta l’ex ministro, «ma non se n’è fatto niente e credo che la ragione sia semplice: si è creduto che in un Paese di piccole imprese la tolleranza sull’evasione portasse consenso». Ciò che Visco non condivide del modello lusitano è però la possibilità di detrarre le spese dichiarate: «Da una parte questo toglie gettito potenziale, perché lo Stato rischia di restituire più di quanto incassa, dall’altra non va dimenticato che esiste sempre la possibilità di un accordo tra le parti». Come dire: pagare in nero è comunque più conveniente che farsi fare la ricevuta, sebbene detraibile. «Sarebbe meglio limitarsi alla lotteria», è la sintesi di Visco, «così da offrire un incentivo senza perdere gettito». Alla fine, comunque la si pensi resta un fatto, anzi due. La riforma ha permesso al Portogallo di migliorare i conti pubblici senza alzare le tasse per persone e imprese. E il nuovo governo italiano, quello che va formandosi con Lega e Movimento 5 Stelle al potere, non sembra avere alcuna intenzione di prendere esempio da Lisbona. Loro puntano a cancellare tutte le detrazioni fiscali e a istituire un’unica imposta, al massimo due. Seguendo modelli considerati vincenti: dalla Russia di Vladimir Putin all’Ungheria di Viktor Orbán
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