Primo: non chiamatelo telelavoro. Sarebbe troppo riduttivo
considerare lo smartwork come semplice lavoro da casa. Il vero tratto
distintivo del lavoro agile è il seguente: il dipendente non viene valutato per
il numero di ore che mette a disposizione dell’azienda ma per i risultati che è
in grado di garantire. Di conseguenza all’organizzazione non interessa più
quando si timbra il cartellino ma se gli obiettivi sono raggiunti alla fine del
mese.
Una volta entrati in quest’ottica, il fatto che si lavori da
casa, dal bar, dalla casa della suocera diventa ininfluente per
l’organizzazione. Tornando all’uso del tempo, in generale lo smartwork
presuppone che si trascorra la settimana in parte a casa, in parte in ufficio.
In questo modo si evita l’«effetto isolamento» e si mantiene il contatto
diretto con capo e colleghi.
Lo smartwork libera il tempo che di solito passiamo nei
trasferimenti casa-ufficio. Di conseguenza diventa più semplice fare fronte a
imprevisti e incombenze familiari. Non a caso di smartwork si è cominciato a
parlare tre anni fa soprattutto in chiave di conciliazione tra lavoro e vita
familiare. Attenzione, però: nella maggioranza delle esperienze di smartwork a
oggi non si pagano gli straordinari. Una ricerca dell’università la Sapienza di
Roma sul lavoro smart di 42 dipendenti del comune di Torino, poi, ha messo in
evidenza due effetti da non trascurare. Il primo: l’effetto Stackanov. In
pratica i lavoratori agili sono talmente preoccupati di dimostrare la loro
produttività che spesso lavorano ben oltre le richieste dell’impresa. Il
secondo: l’effetto Mulino Bianco. Soprattutto le donne che lavorano da casa si
caricano di incombenze familiari in più trasformando la giornata in un tour de force.
Per le aziende la vera difficoltà è cambiare mentalità e
valutare le persone sui risultati. A opporsi sono spesso i dirigenti di livello intermedio che temono di
perdere ruolo e identità non avendo più personale in ufficio da controllare in
modo diretto. Una volta superato questo ostacolo, però, per le aziende ci sono
numerosi vantaggi. In termini di economie e maggiore produttività. Le economie:
le imprese risparmiano sui buoni pasto per cominciare. Poi i permessi e i
giorni di malattia si riducono perché chi lavora da casa ne chiede meno. Ultimo
ma più importante: gli uffici si rimpiccioliscono.
Quando l’azienda sa che in media il 20% del personale a rotazione lavora da
casa, può ridurre gli spazi aziendali. Il che significa meno affitti, meno
riscaldamento, bollette della luce ridotte. Per quanto riguarda la
produttività, secondo le valutazioni dell’osservatorio sullo smartwork del
Politecnico di Milano, quando si lavora due giorni la settimana da casa in
media aumenta del 20 per cento.
All’inizio fu Siemens, una delle prime aziende ad attuare un
progetto di smartwork. Oggi sono 1.700 di dipendenti del gruppo che lavorano
agile senza timbrare il cartellino e senza una scrivania fissa. Il primo
settore a scegliere il lavoro agile senza se e senza ma è stato quello
dell’informatica, delle tecnologie e della consulenza: Fastweb, Microsoft,
Vodafone, Accenture per fare qualche esempio. Anche le banche stanno sposando
questo modello organizzativo. Qualche esempio: Unicredit, Intesa Sanpaolo, Bnl,
Ubi banca. Ora il modello sta entrando un po’ in tutti i settori. Dal
farmaceutico all’alimentare. Naturalmente non tutte le funzioni possono
lavorare in questo modo. Un’infermiera non potrà mai lavorare agile. Ma a
sorpresa anche nel manifatturiero ci sono margini di azione. Dove si lavora su isole a volta si passano
giornate a inserire dati. E questo si può fare da casa, come avviene già alla
Tetra Pack di Modena. Oggi solo le esperienza di smartwork censite portano a
pensare che i lavoratori agili in Italia siano oltre 100 mila. L’ultima
esperienza – e la più ampia per numero di persone coinvolte – è quella di Telecom.
Il parlamento ha
iniziato a esaminare da ieri un disegno di legge del governo e uno presentato
dal presidente della Commissione Lavoro del Senato, Maurizio Sacconi.
L’obiettivo di palazzo Chigi è semplificare in primis le modalità di
assicurazione dei lavoratori in smartwork e creare un minimo di regole certe.
Senza trascurare di incentivare la contrattazione collettiva nazionale e
aziendale a occuparsi della materia. Il ddl Sacconi demanda la definizione
delle condizioni dello smartwork in primis ad accordi individuali
lavoratore-azienda. Inoltre limita questa modalità organizzativa a chi guadagna
più di 30 mila euro lordi al mese.
La legge delega sulla pubblica amministrazione dice che nel
giro di tre anni almeno il 10 per cento dei lavoratori pubblici debba avere la
possibilità di lavorare agile. Finché non saranno emanate le norme attuative
(si parla dell’estate) il principio resterà però sulla carta. A oggi le
principale esperienze di smartwork sono realizzate dal comune di Torino e dalla
provincia di Trento. Il comune di Milano organizza ogni anno una giornata del
lavoro agile. D’altra parte le grandi città avrebbero grandi vantaggi da questo
modo di lavorare: meno traffico e meno inquinamento.
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