Nessuna rivoluzione fino ad ora è riuscita a sbarazzarsi del capitalismo, quella bolscevica è finita nel fiasco sovietico e giace seppellita sotto le ceneri del Muro di Berlino; quella Cinese, grazie a Deng Xiaoping, ha subito una serie di metamorfosi ed oggi il sistema si chiama capi-comunismo, capitalismo senza democrazia; i pochi avamposti anti-capitalisti come la Corea del Sud, sono regimi dittatoriali e brutali, il Venezuela del defunto Chavez è una bomba ad orologeria, pronta ad esplodere in ogni momento. Neppure nazioni come l’Uruguay o la Bolivia sono totalmente immuni dal fascino “discreto” del capitale.
Dallo scoppio della crisi del credito uno stuolo di economisti ha messo in guardia il mondo contro le distorsioni del sistema capitalista, prima fra tutte la sperequazione dei redditi. Ciononostante, i tentativi di rivolta di una fetta di quel 99 per cento della popolazione che non gode degli stessi benefici della globalizzazione del rimanente 1 per cento, dalla primavera araba agli indignatos fino al movimento Occupy, sono svaniti come tante bolle di sapone, nessuno di questi ha infatti innescato la miccia della protesta mondiale. L’ultima volta che il modo si è coalizzato per dire ‘no’ all’establishment è stato nel 2003, quando l’asse Bush-Blair ha fabbricato le prove per un intervento armato preventivo in Iraq. Da allora la protesta non riesce a coagularsi, anche se grazie alla moderna tecnologia oggi siamo tutti più vicini gli uni con gli altri.Paradossalmente, le picconate maggiori al sistema capitalista stanno arrivando da quelle nazioni che Bush e Blair pensavano di colonizzare con l’intervento armato: l’Iraq e tutta l’area limitrofa che include naturalmente anche il conflitto siriano e l’Afghanistan, dove i talebani sono tornati a gestire gran parte del territorio.Siamo tutti talmente imbambolati dal mondo della finanza, dalle beghe sull’euro e dal dibattito sulla deflazione da relegare la rimonta del fondamentalismo islamico e la ricostituzione del blocco sovietico, oggi definito federazione russa, ad opera di Putin nelle pagine di politica estera mentre dovrebbe figurare in quelle di economia.Obama ha dichiarato che tutte le opzioni sono aperte per sopire la rivolta di Al Qaeda in Iraq, ciò significa rimandare le truppe in Iraq. Dopo 11 anni il mondo ad est del mediterraneo ed ad ovest del sud est asiatico è fortemente destabilizzato (questo include l’Ucraina ed il Caucaso) ed il capitale occidentale non ha potuto penetrare in nessuna di queste zone, tute ricche di risorse naturali, come aveva sperato, ma ha continuato a ripiegarsi su se stesso, allargandosi nel settore finanziario ed in quello della vita virtuale.Da 300 anni il capitalismo poggia su due postulati: l’accesso alle risorse strategiche delle colonie da parte delle nazioni occidentali e la guerra quale strumento di conquista economica e di soluzione alle crisi finanziarie del capitale. Nessuna di queste opzioni esiste più, il colonialismo occidentale appartiene al passato e Putin ce lo ha ricordato con l’annessione della Crimea e la destabilizzazione dell’Ucraina dell’est; neppure la guerra quale strumento di penetrazione economica funziona più, la prova è il fiasco iracheno.Se distogliessimo un attimo gli occhi dalle beghe politiche nazionali e dalla caciara euroscettica o europeista ci renderemo conto che il mondo sta cambiando, questa volta non perché qualcuno lo vuole ridisegnare ma per un processo naturale d’implosione di un sistema economico il cui funzionamento è fuori fase con la realtà. Ma per farlo bisogna alzare gli occhi dal giardinetto dove viviamo e guardare fuori.
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