Un quadro per molti versi disarmante. È questo il ritratto dell'Italia affidato al rapporto 2014 dell'Istat, «La situazione del Paese», presentato a Montecitorio. A cominciare dall'enorme numero di «senza lavoro»: disoccupati e persone che vorrebbero lavorare in Italia si contano ben 6,3 milioni di senza posto. Nel 2013 ai 3 milioni 113mila di disoccupati si aggiungono 3 milioni 205mila forze lavoro potenziali, ovvero gli inattivi più vicini al mercato del lavoro. Si arriva così a oltre 6 milioni di individui che l'Istat nel Rapporto annuale definisce «potenzialmente impiegabili». L'Istat fa anche sapere che aumentano gli scoraggiati (1 milione 427 mila).
La carica dei «Neet»
Sono i giovani la categoria più colpita dalla crisi: il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) è cresciuto fortemente nel 2013 (+4,5 punti percentuali, toccando il 40%) e l'incidenza della disoccupazione di lunga durata (la quota di disoccupati in cerca di lavoro da più di un anno) è salita al 56,4%. È la fotografia scattata dall'Istat nel suo rapporto annuale. La progressiva riduzione dell'occupazione giovanile rispecchia le crescenti difficoltà che incontrano i più giovani nel trovare e mantenere il lavoro. La diminuzione dell'occupazione ha riguardato in particolare i contratti a termine (-6,1%).
Guardando ai giovani, nel 2013 tra i ragazzi tra i 15 e i 29 anni che né lavorano né studiano, i cosiddetti Neet, sono 2 milioni 435 mila, in aumento di 576mila rispetto al 2008. Alzando l'asticella agli under35, l'Istat fa notare come nei 5 anni di crisi gli occupati in questa fascia d'età siano scesi di 1 milione 803 mila.
D'altra parte, spiega l'Istat, il numero dei disoccupati in Italia è raddoppiato dall'inizio della crisi. E in quasi 7 casi su 10 l'incremento è dovuto a quanti hanno perso il lavoro. Cresce anche la disoccupazione di lunga durata che raggiunge il 56,4% del totale (dal 45,1% del 2008).
Guardando ai giovani, nel 2013 tra i ragazzi tra i 15 e i 29 anni che né lavorano né studiano, i cosiddetti Neet, sono 2 milioni 435 mila, in aumento di 576mila rispetto al 2008. Alzando l'asticella agli under35, l'Istat fa notare come nei 5 anni di crisi gli occupati in questa fascia d'età siano scesi di 1 milione 803 mila.
D'altra parte, spiega l'Istat, il numero dei disoccupati in Italia è raddoppiato dall'inizio della crisi. E in quasi 7 casi su 10 l'incremento è dovuto a quanti hanno perso il lavoro. Cresce anche la disoccupazione di lunga durata che raggiunge il 56,4% del totale (dal 45,1% del 2008).
Diseguaglianza ai massimi
Nel Paese la diseguaglianza tocca vertici mai raggiunti in precedenza, ma il forte disagio economico nel 2013 si attenua leggermente: la quota di persone appartenenti a famiglie in condizioni di grave deprivazione scende al 12,5%, pari a 7,6 milioni di individui, dal 14,5% del 2012, corrispondente a 8,7 milioni. L'Istat parla di «deboli segnali positivi». In generale, sottolinea l'Istat, «l'Italia è uno dei paesi europei con la maggiore disuguaglianza nella distribuzione dei redditi primari, guadagnati dalle famiglie sul mercato impiegando il lavoro e investendo i risparmi». Inoltre, aggiunge l'Istat, «nonostante l'intervento pubblico operi una redistribuzione dei redditi di mercato di apprezzabile entità, non inferiore a quella dei paesi scandinavi, in Italia il livello di disuguaglianza rimane significativo anche dopo l'intervento pubblico».
Donne «capofamiglia»
Aumentano, in Italia, le famiglie con donne «breadwinner», ovvero quelle in cui la donna è l'unica ad essere occupata: sono il 12,2% delle famiglie, con almeno un componente 15-64 anni (erano il 9,4% nel 2008). Le famiglie con breadwinner uomo sono il 26,5%: un dato stabile rispetto a cinque anni fa.
Del resto, è un meccanismo inevitabile: lLe donne «sono ancora troppo spesso costrette a uscire dal mercato del lavoro in occasione della nascita dei figli». Cosi il presidente facente funzione dell'Istat, Antonio Golini, nella relazione al rapporto annuale. La quota di madri che non lavora più a due anni di distanza dalla nascita dei figli è passata al 22,3% nel 2012 dal 18,4% del 2005.(
Del resto, è un meccanismo inevitabile: lLe donne «sono ancora troppo spesso costrette a uscire dal mercato del lavoro in occasione della nascita dei figli». Cosi il presidente facente funzione dell'Istat, Antonio Golini, nella relazione al rapporto annuale. La quota di madri che non lavora più a due anni di distanza dalla nascita dei figli è passata al 22,3% nel 2012 dal 18,4% del 2005.(
Un Paese sempre più vecchio
L'Italia tocca un nuovo minimo storico per le nascite da quasi vent'anni: nel 2013 si stima che saranno iscritti all'anagrafe poco meno di 515mila bambini, 12mila in meno rispetto al minimo storico registrato nel 1995.
Poco più della metà delle neo-madri in Italia continua a contare prevalentemente sull'aiuto dei nonni quando è al lavoro, ma cresce il ricorso al nido (35,2% contro il 27,4%), soprattutto se privato (la cui fruizione passa dal 13,9% del 2005 al 21,1% del 2012).
L'indice di vecchiaia è tra i più alti al mondo in Italia: a inizio 2013 tra i residenti si contano 151,4 persone over 65 ogni 100 giovani con meno di 15 anni: solo la Germania ha un valore più alto (158), mentre la media Ue28 è 116,6. Nel Rapporto 2014 l'Istat stima che lo scorso anno solo 515mila bambini sono stati iscritti in anagrafe, 12mila in meno rispetto al minimo storico del 1995. Completa il quadro un numero medio di figli per donna straniera in rapida diminuzione (2,37); ingressi di stranieri attenuati con la crisi, 321mila nel 2012 (-27,7% sul 2007), mentre aumentano coloro che lasciano l'Italia (38mila cancellazioni nel 2012, +17,9% su anno). Infine, più italiani si trasferiscono all'estero: 68mila, il record degli ultimi 10 anni (+35,8% sul 2011).
Poco più della metà delle neo-madri in Italia continua a contare prevalentemente sull'aiuto dei nonni quando è al lavoro, ma cresce il ricorso al nido (35,2% contro il 27,4%), soprattutto se privato (la cui fruizione passa dal 13,9% del 2005 al 21,1% del 2012).
L'indice di vecchiaia è tra i più alti al mondo in Italia: a inizio 2013 tra i residenti si contano 151,4 persone over 65 ogni 100 giovani con meno di 15 anni: solo la Germania ha un valore più alto (158), mentre la media Ue28 è 116,6. Nel Rapporto 2014 l'Istat stima che lo scorso anno solo 515mila bambini sono stati iscritti in anagrafe, 12mila in meno rispetto al minimo storico del 1995. Completa il quadro un numero medio di figli per donna straniera in rapida diminuzione (2,37); ingressi di stranieri attenuati con la crisi, 321mila nel 2012 (-27,7% sul 2007), mentre aumentano coloro che lasciano l'Italia (38mila cancellazioni nel 2012, +17,9% su anno). Infine, più italiani si trasferiscono all'estero: 68mila, il record degli ultimi 10 anni (+35,8% sul 2011).
Welfare sempre più «privato»
A fronte delle nuove tendenze demografiche , l'Istat rileva che nel 2012 la spesa sanitaria pubblica è stata pari a circa 111 miliardi, inferiore di circa l'1% rispetto al 2011 e dell'1,5% sul 2010. Durante la crisi, dal 2008 al 2011, le prestazioni a carico del settore pubblico si sono ridotte, compensate da quelle del settore privato a carico dei cittadini. Infatti, il valore della produzione pubblica (valutata a prezzi 2005) è rimasto invariato, mentre quello del settore privato è cresciuto dell'1,7%. Allo stesso modo, per la prima volta dal 2003, la spesa sociale dei Comuni risulta in diminuzione rispetto all'anno precedente. Cala anche la spesa per gli anziani, per la povertà e per il disagio.
Addio all'Italia da centomila giovani
Negli ultimi cinque anni quasi 100mila giovani (94mila) hanno lasciato l'Italia. Solo nel 2012 hanno lasciato il Paese oltre 26mila giovani tra i 15 e i 34 anni, 10mila in più rispetto al 2008. Calano anche i rientri. Nel 2012 gli italiani di rientro dall'estero sono circa 29 mila, duemila in meno rispetto all'anno precedente. Al contrario, è marcato l'incremento dei connazionali che decidono di trasferirsi in un Paese estero. Il numero di emigrati italiani è pari a 68 mila unità, il più alto degli ultimi dieci anni, ed è cresciuto del 35,8% rispetto al 2011.
Sforzi fiscali
L'Italia «si distingue come il Paese che ha attuato il maggior sforzo di consolidamento fiscale a fronte di una recessione tra le più profonde dell’Ue». Tuttavia non ha ottenuto i risultati attesi a causa di un effetto «avvitamento». Lo dimostra l'Istat nel Rapporto 2014. «La riduzione del deficit è risultata significativamente inferiore alle attese» e il debito è salito di 29 punti (dal 2007) contro i 26 dell’Area Euro, dove i principali paesi però hanno fatto politiche espansive. «Il deterioramento del quadro macroeconomico, in parte dovuto alle manovre stesse, ha avuto un ruolo molto rilevante», si legge. «La bassa crescita», causata anche da manovre fiscali restrittive, «ha in parte vanificato lo sforzo» di consolidamento dei conti pubblici. Ora, dunque, «per mantenere i risultati conseguiti sembrerebbe opportuno agire sul denominatore del rapporto, cioè attuare politiche per la crescita».
La recessione economica
L’evoluzione negativa dei conti pubblici - spiega l'Istat - è dipesa soprattutto dalla recessione economica, da un aumento della spesa per interessi e, in misura minore, dall’attuazione di politiche fiscali discrezionali espansive (come il sostegno al sistema finanziario, in Italia meno di due decimi di punto di Pil contro i 5,5 dell’Area Euro). Tra i paesi dell’Unione, in Italia è stato registrato nel 2013 l’avanzo fiscale primario più elevato, superiore al 2% del Pil. Diversamente da quasi tutti gli altri, l’azione pubblica negli anni 2007-2012 è risultata restrittiva. Gli interventi discrezionali hanno contribuito al contenimento della dinamica del rapporto debito/Pil solo in Italia e in Finlandia. L’azione di consolidamento della finanza pubblica ha ridotto in modo significativo i rischi di sostenibilità futura del debito, anche grazie alle riforme pensionistiche. «Il principale elemento di rischio per la sostenibilità del debito pubblico risulta attualmente essere la bassa dinamica del Pil e il differenziale tra tassi di interesse e tasso di crescita reale dell’economia», scrive l'Istat
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