La tassa proposta dalla presidenza del G20 creerebbe 250 miliardi di gettito "che i governi potrebbero investire in salute, istruzione, ambiente e infrastrutture"
L’ipotesi di una tassa minima globale del 2% sui miliardari avanzata dal Brasile, presidente di turno del G20, sta rapidamente guadagnando sostenitori anche tra i grandi Paesi europei. Dopo Parigi, che aveva aperto all’idea già durante il G20 Economia a San Paolo, ora anche Berlino e Madrid sostengono la proposta. Affiancati da Pretoria. “È il necessario terzo pilastro che completa i negoziati sulla tassazione dell’economia digitale e sulla tassa minima del 15% per le multinazionali“, scrivono in un editoriale congiunto uscito il 25 aprile su Spiegel, El Pais e The Guardian Svenja Schulze, ministra tedesca dello sviluppo e della cooperazione economica, Carlos Cuerpo e Maria Jesús Montero, rispettivamente ministri dell’Economia e delle Finanze spagnoli, Fernando Haddad, titolare delle Finanze brasiliano, ed Enoch Godongwana, omologo sudafricano. “Aumenterebbe la giustizia sociale e la fiducia nella redistribuzione fiscale“, oltre a “generare indispensabile gettito che i governi potrebbero investire in salute, istruzione, ambiente e infrastrutture – che beneficiano tutti, incluso chi sta in cima alla piramide” economica.
Germania e Spagna concordano con Brasile e Sud Africa sul fatto che le disuguaglianze, aumentate in gran parte del mondo nell’ultimo ventennio “con il gap di reddito tra il top 10% e il 50% più povero che è quasi raddoppiato”, sono dannose per lo sviluppo economico, “corrodono la democrazia e indeboliscono la coesione sociale”. Il che a sua volta “riduce il supporto per le riforme strutturali” attese nei prossimi anni, a partire dalla transizione verso un’economia a zero emissioni nette di carbonio. Di qui la convinzione che sia arrivata l’ora, per la comunità internazionale, di “affrontare seriamente la disuguaglianza e il finanziamento dei beni pubblici globali”. E “uno degli strumenti chiave che i governi hanno per farlo è la politica fiscale“, sottolineano Schulze (Spd), Montero (Psoe), Haddad (Partito dei lavoratori) e Godongwana (African National Congress). Perché “ha il potenziale di aumentare lo spazio fiscale dei governi” e “assicurare che ognuno nella società contribuisca al bene comune in linea con la sua capacità di pagare”.
Gli obiettivi di Lula – Si sta concretizzando, insomma, il primo obiettivo dichiarato dell’amministrazione di Lula: portare la questione delle disuguaglianze di ricchezza e dell’ingiustizia fiscale su un palcoscenico mondiale. Ora resta da affrontare il prossimo miglio: costruire sufficiente consenso tra le venti maggiori economie del pianeta da far sì che, nel comunicato finale della riunione di novembre, i capi di Stato e di governo auspichino perlomeno uno studio approfondito sulla fattibilità della tassa teorizzata dall’economista Gabriel Zucman. Cioè un prelievo minimo equivalente al 2% delle fortune dei 3mila miliardari mondiali, che attualmente stando al Global tax evasion report dell’Eu Tax Observatory versano a titolo di imposte sul reddito un ridicolo 0,5% della propria ricchezza: molto sotto quello che paga un normale lavoratore dipendente. Questo “è l’inizio della conversazione“, ha chiarito Zucman. Nello scenario migliore, la prospettiva è quella di riuscire nei prossimi anni a raggiungere un accordo globale, come accaduto per la Global minimum tax per le multinazionali. Anche se quella tassa, secondo pilastro della nuova architettura fiscale globale negoziata in sede Ocse e G20, è stata depotenziata rispetto agli auspici iniziali, mentre il primo pilastro – il diritto per gli Stati in cui i grandissimi gruppi generano entrate di tassarne almeno una parte – sta traballando pericolosamente causa mancata approvazione al Senato Usa. L’esito delle elezioni presidenziali di novembre sarà cruciale nel deciderne le sorti.
Perché serve una tassa globale – Agire a livello di G20 sarebbe utile per molte ragioni, sintetizzate pochi giorni fa dal premio Nobel per l’Economia Joseph Stiglitz durante gli incontri primaverili di Banca Mondiale e Fmi. Basti dire che l’elusione fiscale e le tanti crisi che il mondo sta affrontando, da quella climatica alla minaccia pandemica, hanno tutte portata globale. Muoversi in maniera coordinata, poi, sarebbe una svolta perché consentirebbe di coordinare gli sforzi in modo da evitare che i super ricchi riescano a sfuggire all’imposizione. Applicata in tutto il mondo, la tassa sui miliardari garantirebbe introiti fiscali pari a 250 miliardi di dollari l’anno. Sommando i proventi dell’imposta del 15% sulle multinazionali, pari a 270 miliardi potenziali (molto meno, però, secondo l’osservatorio di Zucman), si arriverebbe intorno ai 500 miliardi annui. Una cifra paragonabile, come ha argomentato la premio Nobel Esther Duflo , al “debito morale” accumulato ogni anno dagli Stati ricchi nei confronti dei Paesi poveri “per l’eccesso di mortalità causato dal riscaldamento climatico”, determinato dalle emissioni prodotte prevalentemente nel mondo sviluppato. Duflo ha proposto quindi di utilizzare quegli introiti per finanziare aiuti economici alle persone colpite dalla catastrofi naturali, sostegno ai governi dei Paesi più funestati dai disastri e misure di adattamento.
I ministri firmatari dell’op-ed pubblicato da Spiegel, El Pais e The Guardian non individuano un unico settore in cui investire i proventi, ma ricordano a loro volta i danni da eventi estremi come esempio delle emergenze da affrontare grazie al nuovo gettito raccolto. Nella chiusa, fanno appello alla necessità di impegnarsi in “azioni multilaterali concertate” sia su su questo fronte sia per ridurre “le disuguaglianze sociali e quelle nelle emissioni di carbonio“. I prossimi sei mesi diranno se da questo “inizio di conversazione” uscirà perlomeno un impegno politico su larga scala. Al momento non è pervenuta la posizione italiana sull’argomento, ma è ben nota la contrarietà del governo Meloni a ogni ipotesi di tassazione sui patrimoni.
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