giovedì 28 gennaio 2021

CAPITALISMO E DEMOCRAZIA. P. FAVILLI, L’alienazione infelice del capitalismo totale. Recensione a "La democrazia dei followers", IL MANIFESTO, 28 gennaio 2021

 Il libro di Alberto Mario Banti (La democrazia dei followers, Laterza, pp. 136, euro 14) è certamente un pregevole contributo alla vasta letteratura che, ormai da tempo, si interroga sulla qualità della nostra democrazia. Inoltre, lo svolgimento della sua analisi stimola la riflessione su un’importante questione di metodo storico: la pratica di una storia culturale del tutto aliena dalla contiguità con il postmodernismo come ideologia.


LA DISAMINA di Banti si articola intorno al tema della costruzione dell’immaginario pubblico che informa di sé quella che è stata chiamata spectator democracy. Un immaginario «che nasce da un processo molecolare, quasi indefinibile, giorno dopo giorno, una nuova microfisica del potere comunicativo».

Alla fine del XX secolo un autorevole filologo metteva in guardia verso un tipo di filologismo per cui «il testo viene assunto come l’alfa e l’omega dell’operazione critica, il cui discorso sarà: testo e testo, e ancora testo e testo; ciò che va oltre è peccato» (N. Pasero, Marx per letterati, 1998). Allo stesso modo Banti, seppure intento a spiegare i modi in cui i meccanismi discorsivi diventano elementi imprescindibili per la formazione di rappresentazioni mistificanti la realtà economico-sociale, si guarda bene dal rimanere interno alla dimensione del linguaggio, alla sua autoreferenzialità.

LA SCELTA FATTA dall’autore di far iniziare il suo percorso analitico alla fine degli anni Settanta, scegliendo il valore simbolico (e operativo) della frase assiomatica «non ci sono alternative», pronunciata nel 1979 da Margaret Thatcher, parte proprio dalla consapevolezza che da lì si debba «scandire una cronologia che riguarda anche la cultura di massa». Anche, appunto. Il processo che ha portato alla prevalenza di una cultura di massa «basata su un immaginario infantilizzante», è lo stesso processo che ha portato il panorama delle disuguaglianze nelle nostre società a un livello mai conosciuto a partire dal secondo dopoguerra.

Nel 1979 il there is no alternative non è stato soltanto un indiscutibile postulato, una concezione assoluta della società, ma una vera e propria dichiarazione di «guerra di classe», condotta, da Thatcher anche manu militari, attraverso la proclamazione dello stato di emergenza. Per certi aspetti l’operazione di polizia condotta con cavalleria e cani contro 5000 minatori nello Yorkshire scozzese, «la battaglia di Orgreave» (18 giugno 1984), ricorda la Peterloo dell’agosto 1819.

«Guerra di classe» (class warfare) come l’ha definita con cinico realismo quasi trent’anni dopo Warren Buffet: «è la mia classe, la classe dei ricchi, che fa la guerra e noi stiamo vincendo» (The New York Times, nov. 26, 2006). Il neoliberismo ne è il campo di battaglia.

IL NEOLIBERISMO non ha dei rapporti economici una concezione naturalistica, e considera la dinamica delle relazioni di mercato come il frutto di una costruzione politico-culturale, dunque di un processo normativo. Un dispositivo di regole che determina, o intende comunque determinare, qualsiasi «valore» in termini di valore di mercato. Il soggetto primario della costruzione è lo Stato liberale, che di fatto diventa uno Stato ideologico, agente fondamentale di quello che, con espressione corrente, chiamiamo «pensiero unico». Trattandosi di una struttura la cui dinamica è strettamente legata a fondamenti culturali, il neoliberismo è naturalmente attento alle istituzioni formative del pensiero, e non unicamente di quello economico.

IL MODO DI PRODUZIONE capitalistico, soprattutto nella sua fase neoliberista, non è solo un modo di produzione economico, bensì anche modo di produzione «antropologico». È questo il contesto dell’analisi «culturalista» di Banti, un’analisi attenta al coniugare il dispiegarsi delle logiche discorsive con la materialità della costruzione di gigantesche corporazioni, frutto di gigantesche concentrazioni di capitale, cioè il motore primo di quelle logiche. Il contesto di un neoliberismo «capace di tradursi in soggetto totale e pervasivo di ogni luogo, materiale e mentale, del nostro vivere» (R. Finelli, «L’ospite ingrato», 10 agosto 2020)

ALDOUS HUXLEY, nel suo Brave New World (1932), delinea il dispiegarsi ultimo di un «capitalismo assoluto» nel quale l’«alienazione assoluta» coincide con l’«alienazione felice». Condizione essenziale è che ogni sistema discorsivo consideri indicibile la possibilità di alternative. La democrazia dei followers, la democrazia del neoliberismo, la democrazia del «capitale totale» di oggi, è, però, ancora quella dell’alienazione infelice.

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