venerdì 19 gennaio 2018

DISABILI E ASSUNZIONE OBBLIGATORIO AL LAVORO. FEMIA, PINNA, L’assunzione obbligatoria dei disabili scatena la rivolta delle piccole imprese, LA STAMPA, 19 gennaio 2018

Per i lavoratori disabili doveva essere una svolta. Ma la riforma entrata in vigore il primo gennaio si preannuncia un percorso a ostacoli. Le piccole aziende coinvolte nella nuova norma sono già in rivolta. Quelle che impiegano almeno 15 dipendenti ora hanno l’obbligo (in cambio di sgravi) di assumere un lavoratore disabile, ma chi può sfugge. La novità doveva scattare nel 2017 ma nonostante il rinvio molte aziende sono impreparate: alcune non conoscono la normativa e altre hanno annunciato che non la rispetteranno. Poche, dunque, quelle che hanno già le carte in regola.  



Una legge sconosciuta  
Per mettersi a norma c’è tempo fino ai primi giorni di marzo. Poi scatteranno le sanzioni: 153,20 euro per ogni giorno non lavorato dal disabile che doveva essere assunto. Pagare le multe costa più dell’assunzione, ma non basta a convincere gli imprenditori. «In tanti hanno detto che preferiranno pagare le sanzioni», svela un impiegato dell’Ufficio provinciale del lavoro di Roma. 

Le regole  
Sono tutte contenute nel decreto legislativo 151 del 2015. La parola chiave della norma è il «collocamento mirato». L’azienda comunica i profili che cerca e gli uffici del lavoro si adoperano per trovare la persona più adatta. Una logica per superare la chiamata obbligatoria del primo iscritto alla lista. «C’è molta resistenza – dice Alessandra Naddeo, dello sportello Anmil di Napoli – Ci è capitato che alcune aziende ci chiedessero profili assurdi, per esempio un interprete cinese-arabo, per poi dire che non c’è la persona adatta». 

Aziende in rivolta  
Sul collocamento mirato, che sembra incompatibile con l’obbligo, insistono anche gli imprenditori. «Le persone disabili hanno il diritto di essere inserite nel mondo del lavoro ma non è corretto scaricare tutto il peso sulle aziende - protesta Confindustria - Il collocamento obbligatorio, a prescindere dalla conoscenza delle capacità della persona disabile e delle mansioni disponibili in azienda, contraddice palesemente il principio del collocamento mirato che è il fulcro della legge». «Dovremo individuare i profili più adatti da inserire nelle aziende - dice Luca Sanlorenzo, direttore generale dell’Api di Torino - Non dobbiamo trasformare un diritto, quello dei lavoratori disabili, in un onere a carico solo delle imprese».  

La protesta dei disabili  
I lavoratori esclusi sono moltissimi. Gianni Del Vescovo, 40enne di Latina, è costretto sulla sedia a rotelle dopo un incidente in moto. Ha una laurea magistrale in ingegneria ambientale ma è disoccupato: «Sono costretto ad accettare lavori in nero per 400-500 euro. Purtroppo in Italia c’è da sconfiggere la logica per cui siamo un peso e non una risorsa». La nuova legge, dunque, non basta. «Spesso, infatti, siamo costretti ad avviare le azioni legali - dice Gigi Petteni della segreteria nazionale Cisl - Il lavoro è la più alta forma di inclusione ma sarebbe bello che le aziende sentissero la loro responsabilità sociale più forte dell’obbligo di legge». E questo sembra anche il sogno di chi ogni giorno fa i conti con la disabilità: «Per noi il lavoro è una conquista e per questo lo facciamo con più responsabilità - dice amareggiato Franco Bettoni, presidente dell’Anmil - Ma le aziende vorrebbero l’invalido alto, biondo, con gli occhi azzurri».  

Lo stesso consiglio gliel'avevano dato in tanti e alla fine Giovanna ci ha persino creduto: «Fai in modo che la tua disabilità venga riconosciuta e così ti sarà più facile trovare un lavoro». Per Giovanna Galasso la doccia fredda è arrivata poco dopo, da quando la Asl le ha firmato il certificato e l’ha inserita nelle liste dei lavoratori speciali è iniziato il calvario della disoccupazione. «Da cinque anni sono a casa, perché nessun’azienda è disposta ad assumermi. Il motivo è semplice, anche se poi nessuno ha il coraggio di dirlo espressamente: tutti si spaventano che il mio problema è legato alla depressione. La mia patologia è perfettamente sotto controllo, curata costantemente. Insomma, non sono matta. Ma chissà perché i disabili psichici fanno paura».  

Giovanna Galasso ha 50 anni e vive ad Afragola, in provincia di Napoli. I primi problemi di salute li ha avuti già nel 2001 e ha iniziato subito le terapie. Fino al 2013 ha lavorato senza problemi, persino con incarichi importanti nella segreteria del sindaco della sua città. Fino a quel momento, almeno ufficialmente, non era una disabile. E infatti non ci sono stati problemi. «Con l’inserimento nelle liste dei lavoratori disabili sono iniziati i guai. Tutte le aziende che mi contattato, o quelle a cui mando il curriculum, pretendono di sapere quale sia la patologia. Nei documenti della Asl, infatti, non il tipo di disabilità non è specificata nel dettaglio ma prima di assumerti tutti chiedono di sapere anche ciò che no dovrebbero. E puntualmente, quando racconto della mia sindrome, saltano fuori le scuse più disparate, improvvisamente gli interlocutori spariscono e io mi ritrovo al solito punto. Pensano che un disabile mentale sia un pazzo o un pericolo pubblico. Ma io sono perfettamente in grado di lavorare. E le precedenti esperienze lo dimostrano».  

Giovanna Galasso, infatti, ha lavorato in diversi settori per parecchi anni. In un multinazionale della moda e in società di marketing tra Napoli, Parma, Roma e Milano. Con il marchio della disabilità tutto è diventato più difficile. «Neppure mi concedono un appuntamento per un colloquio. Ci chiamano categoria protetta, ma siamo solo più penalizzati degli altri». 
Bruno Carraro è a capo del gruppo Domovip Europa, un’azienda con sede ad Aviano, in provincia di Pordenone: un società in forte espansione, specializzata nella ricerca, nella produzione e nella distribuzione di una vasta gamma di prodotti attraverso la vendita diretta. Negli ultimi tre anni ha premiato, con qualcosa come 600 mila euro, i propri dipendenti che gli hanno permesso di far volare il fatturato.  

Un industriale di provata generosità, che però è scettico sulla validità della norma sull’assunzione dei disabili appena entrata in vigore. «Non penso che favorisca davvero il miglior inserimento possibile delle persone con disabilità, per le quali va invece trovata la collocazione ideale, che difficilmente può essere il risultato di un obbligo per l’imprenditore». Sui diritti dei lavori diversamente abili sono tutti d’accordo, ma a far infuriare gli imprenditori è l’obbligo di assunzione per le aziende. «Questa categoria protetta deve avere tutele assolute - dice Bruno Carraro - e poter beneficiare di accessi prioritari all’occupazione, ma con l’imposizione dell’assunzione si rischia di provocare l’effetto contrario. Se non c’è la mansione adeguata, l’addetto non si sentirà a proprio agio, né la ditta potrà giovarsi delle sue prestazioni per migliorare le proprie performance».  

Nell’azienda di Aviano qualche esperienza di lavoratori disabili in organico c’è già stata. «Nella mia filosofia imprenditoriale, la parola obbligo non può mai essere sinonimo di risorsa positiva - sostiene Carraro - Noi avevamo proceduto da poco all’assunzione di una persona con disabilità, dopo un’attenta valutazione relativa al suo inserimento, che doveva essere adeguato alle sue condizioni psico-fisiche, per metterlo completamente a proprio agio. Perché il benessere dei dipendenti è un elemento fondamentale se si vogliono raggiungere obiettivi di crescita sostenibile. Sinceramente, se adesso ci imponessero un ulteriore vincolo non avremmo un’altra mansione simile da coprire: l’eventuale assunzione, comunque benvenuta nella nostra politica aziendale, incontrerebbe solo difficoltà» 

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