“Pensateci, quante cose avete comprato per farvi accettare da persone che non vi piacciono? Quanto spesso vi sentite stressati, annoiati e sovraccarichi di lavoro?”. Se lo chiede il giornalista e storico Rutger Bregman in un video diffuso dal Guardian. Secondo Bregman, 27enne definito dal quotidiano belga De Morgen come uno dei più promettenti pensatori dell’intera Europa, per vivere meglio basterebbe, semplicemente, lavorare meno. Ma come si potrebbe sopravvivere? Concedendo a tutti il reddito di base. Un pensiero utopico, così come titola il suo ultimo libro, Utopia for realists: the case for a universal basic income, open borders and a 15-hour workweek. In Italia è ancora inedito, ma l’edizione olandese è diventata immediatamente un bestseller, dando vita a un movimento per il reddito minimo, che ha presto ricevuto l’attenzione dei media internazionali.
Eppure Bregman non è il primo a pensarla così. Già nell’estate del 1930, nel pieno della Grande depressione, l’economista John Maynard Keynes scriveva: “Da troppo tempo ci alleniamo a combattere, non a divertirci”. Bregman fa proprie queste parole, contenute nella lettura pubblica di Keynes Possibilità economiche per i nostri nipoti. L’economista inglese aveva previsto che, in assenza di conflitti drammatici, entro il 2030 bilanci e sviluppo non sarebbero più stati un problema e che gli standard di vita occidentali si sarebbero almeno quadruplicati. Nell’arco di cento anni, la settimana lavorativa si sarebbe inoltre ridotta fino a un massimo di 15 ore, consentendo in questo modo a tutti di dedicare il resto del proprio tempo libero al piacere e alla salute.
Keynes ci aveva quasi visto giusto. Paesi come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna sono oggi cinque volte più ricchi del 1930. Ma, a differenza di quanto sperato, il tempo libero non è affatto aumentato. “Oggi la pressione e il lavoro eccessivo sono diventati uno status symbol – spiega Bregman –. Avere un po’ di tempo libero è considerato come essere disoccupati, non come la scelta intelligente di anteporre la vita al lavoro”. Lavorare troppo non solo è superfluo, ma può provocare enormi danni, alla propria salute e a quella degli altri: basti pensare, ricorda lo storico, ai disastri di Chernobyl oppure all’attuale crisi economica e finanziaria, nelle quali lo stress dei manager ha avuto una responsabilità importante.
Prima ancora di Keynes, già Benjamin Franklin, uno dei padri fondatori degli Stati Uniti, aveva previsto un futuro di quattro ore lavorative al giorno. E per un certo periodo, dall’introduzione della settimana lavorativa di 30 ore negli Stati Uniti nel 1933, la società americana è sembrata dirigersi verso una costante riduzione delle ore di lavoro. Poi, negli anni ’80, il processo ha subito un drastico arresto. Così oggi lavoriamo paradossalmente molto più di ottant’anni fa, anche per colpa delle nuove tecnologie – smartphone su tutte – che ci impediscono di separare vita professionale e privata.
La proposta di Rutger Bregman è allora quella di ripensare il concetto di lavoro. “Se la smettessimo di svolgere lavori inutili e concedessimo a tutti un reddito di base, mantenendo lavori utili come l’assistente sociale, lo spazzino, l’insegnante, lo scienziato, potremmo recuperare moltissime ore e cambiare il modo in cui viviamo”. Ma lavorando meno, non si rischierebbe di passare tutto il tempo davanti alla tv? “In realtà – risponde Bregman – è proprio nei paesi in cui si lavora troppo, come l’Inghilterra e gli Usa, che le persone guardano tantissima tv”. Scongiurato anche il rischio di diventare un popolo di fannulloni: la Danimarca ha la più breve settimana lavorativa del mondo, ma è il quinto paese in termini di produttività.
In conclusione: secondo Bregman, riducendo consumi e ore di lavoro e concedendo a tutti un reddito minimo, si potrebbero ottenere vantaggi per l’uomo e la terra. Si ridurrebbero impatto ecologico ed emissioni di anidride carbonica, si combatterebbero disoccupazione, diseguaglianze economiche e di genere. Saremmo, insomma, tutti più
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