Sono gli operai peggio pagati al mondo secondo un’indagine dell’Ituc la confederazione internazionale dei sindacati, e per questo da alcuni giorni oltre centomila lavoratori delle industrie tessili del Bangladesh sono in sciopero. Vogliono che il loro stipendio di 1600 taka, circa 25 dollari al mese, sia aumentato a 5000 taka, circa 78 dollari al mese. I proprietari di 300 fabbriche che producono vestiti anche per molti campioni del low cost comeWal Mart , H&M , Zara e Carrefour hanno chiuso i portoni a causa delle proteste che stanno diventando violente. La polizia ha riferito di scontri, atti di vandalismo, barricate sulle strade ad Ashulia, non lontano dalla capitale Dacca, cuore dell’industria tessile del poverissimo paese asiatico.
Almeno 100 persone sono rimaste ferite. La produzione di abbigliamento è la voce più importante dell’export bengalese, pari a $12 miliardi di dollari nel 2009.
Abdus Salam Murshedy, presidente della Bangladesh Garment Manufacturers and Exporters Association (BMGEA), l’associazione che raggruppa 4.500 fabbriche dove sono impiegate 3.5 milioni di persone in maggioranza donne, è preoccupato: “I compratori si stanno innervosendo e le consegne saranno sicuramente ritardate. Gli investitori finiranno per andarsene”.
Le condizioni di lavoro degli operai sono spesso molto precarie, turni massacranti di 12-15 ore al giorno, sicurezza discutibile. A febbraio nella fabbrica Garib e Garib di Gazipur è scoppiato un incendio che ha ucciso 15 donne e 6 uomini rimasti intrappolati nell’edificio perché “le uscite di sicurezza erano bloccate, il portone chiuso a chiave, e le finestre sbarrate da grate”, denunciano gli attivitisti della campagna Clean Clothes (Abiti puliti ). Secondo quanto risulta a Clean Clothes la Garib Garib produce per una serie di marchi tra i quali H&M, Terranova, El Corte Ingles, Provera.
“Stiamo cercando di ottenere dalle grandi aziende occidentale una compensazione delle vittime, e maggiori controlli per evitare che episodi simili si ripetano” spiega a Panorama.it Samantha Maher dell’Ong Labour behind the label . Spesso i codici di condotta esistono e vengono anche inseriti nei contratti stipulati dalle multinazionali, “ma manca la capacità di farli rispettare”, chiarisce Maher.
A gennaio di quest’anno un gruppo di aziende della moda ha scritto al governo di Dacca per chiedere di rivedere al rialzo il salario minimo di 1660 taka. “La verità è che circa una buona parte dei parlamentari sono proprietari di fabbriche del tessile, industria cruciale per lo sviluppo del paese”, sottolinea Maher. “E i compratori chiedono sempre di rivedere i prezzi al ribasso. A causa della crisi economica c’è stata un’ulteriore flessione del 20 per cento. Chiaro che in queste condizioni è difficile discutere di rialzi dei salari”. Secondo i calcoli delle ong per poter vivere decentemente, mangiare a sufficienza, mandare i figli a scuola un operaio dovrebbe guadagnare 10.000 taka, BMEA sembra disposta a concedere al massimo 3000 taka.
“Le relazioni sindacali sono inesistenti”, prosegue Maher. “Non esiste nessun margine di contrattazione in fabbrica. E la pressione è tale che basta un episodio qualsiasi per innescare la rabbia anche violenta degli operai”.
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