Il caso dell’Argentina e del suo default è prima di tutto un fatto politico, prima ancora che economico. Politico perché quello che sta succedendo in questo paese del Sud America non è come può sembrare un avvenimento relegato alla periferia del mondo sviluppato, ma può diventare un nuovo “metodo” di colonizzazione. Penso inoltre che il caso Argentina sia un esempio di cattiva informazione, perché non è vero che il paese non ha pagato i suoi debitori e non è vero che la situazione è drammatica. E’ complessa certo ma non paragonabile a 13 anni fa, il bilancio commerciale del paese è in attivo grazie all’export agricolo, ha uno stato solvente ed un sistema bancario funzionante.
Il metodo di colonizzazione al quale faccio riferimento è certo molto più sofisticato e multidimensionale di quello di un tempo ma è indubbio che esistono varie modalità di pressione perché uno Stato possa essere costretto ad agire non del tutto autonomamente. Spingere ad esempio un paese al fallimento, costringendolo a vendere o a pagare il debito ‘regalando’ le sue materie prime, non è fantapolitica è realtà. Perché nei paesi del Sud America quello che c’è in gioco da sempre è lo sfruttamento delle materie prime di cui il paese è ricco e nel caso dell’Argentina recentemente è stato scoperto, in Patagonia , uno dei più grandi giacimenti di gas.
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La dittatura o colonizzazione, come la chiamo io dei grandi fondi, l’abbiamo già vista in azione in Perù, in Congo o in Inghilterra, quando nel 1992 il fondo di George Soros, con le sue scommesse speculative costrinse il paese, ad una grande svalutazione della sterlina e all’uscita dall’euro. Ora l’accanimento dei fondi speculativi che sono proprietari solo di una piccolissima parte del debito rimanente argentino, desta più di un sospetto e non solo perché Paul Singer gestore dei fondi è apertamente un simpatizzante dei tea party che non vedono di buon occhio la svolta a sinistra di gran parte dell’America Latina.
Per spiegare il sospettoso accanimento di Singer, bisogna fare un piccolo passo indietro. Prima nel 2005 e poi nel 2010 l’Argentina aveva proposto a tutti i possessori dei cosiddetti ’tango bond’ un pagamento ristrutturato,ossia tutto il debito non possiamo pagarvelo,veniamoci incontro. Il 93% dei creditori (fra cui molti italiani) avevano accettato. Del 7 % che era rimasto fuori dall’accordo, una piccolissima parte venne acquistata dai fondi di Paul Singer. L’Argentina per essere più credibile aveva posto due clausole nel suo contratto: la prima che in caso di controversia o di non pagamento i creditori avrebbero potuto ricorrere ad un tribunale “terzo” New York, o Londra; la seconda, la clausola Ruffo, che prevedeva, nel caso in cui venissero applicate condizioni economiche più favorevoli anche ad uno solo dei creditori, il diritto per tutti gli altri di chiedere un trattamento simile. E qui vengono i guai. I fondi speculativi hanno fatto ricorso alla giustizia americana, (che gli ha dato ragione), perché venga pagato il loro debito al 100 %.
L’Argentina chiede ai fondi di aspettare fino al 1 gennaio del 2015, quando la clausola Ruffo decadrà. Ma i fondi non vogliono sentire ragioni. Perché? Per loro l’affare è già fatto; hanno comprato titoli argentini per un valore nominale di 170 milioni, pagandoli molto meno,ora valgono 1,5 miliardi di dollari. Perché non possono aspettare 6 mesi? Se l’Argentina pagasse ora i fondi speculativi, sarebbe costretta in virtù della clausola a pagare tutti sborsando 200 miliardi di dollari, dopo aver pagato in questi anni 190 mila milioni di dollari. Tullio Zembo, rappresentante giuridico in Argentina, dei creditori italiani che hanno aderito alla ristrutturazione del debito, ha definito la sentenza del giudice americano che obbliga l’Argentina a pagare: “una barbarità giuridica ed umana. Gli stessi italiani-dice Zembo- appoggiano l’Argentina che in questi anni ha sempre pagato”.
I 539 milioni di dollari depositati nella banca di New York per l’ultimo pagamento sono stati bloccati dal giudice americano. Il mio non è un discorso anti imperialista è l’invito a guardare più attentamente alla complessità della realtà politica dei paesi, che non possono operare disgiunti da quelli che sono le grandi manovre economiche che di fatto impediscono politiche sociali più inclusive. Oppure se vi viene meglio pensate a quello che diceva Andreotti: “ a pensare male solitamente ci si prende”.
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