martedì 26 marzo 2013
SOCIOLOGIA DEL CAPITALISMO CONTEMPORANEO. MAURO MAGATTI, La politica ascolti le parole del Papa, IL CORRIERE DELLA SERA, 25 marzo 2013
Popolo, poveri, umiltà, misericordia. Le prime parole di papa Francesco suonano straordinariamente attuali, non solo per rinnovare la Chiesa cattolica, ma anche per rianimare le economie e le democrazie avanzate. Ieri ha dato coraggio ai giovani: «Non siate tristi, non fatevi rubare la speranza...». Targare politicamente queste parole sarebbe sbagliato. L'impiego delle categorie costruite lungo l'asse innovazione-conservazione, se applicate a una istituzione che ha attraversato duemila anni di storia, è fuorviante. Semplicemente perché il rinnovamento della Chiesa - quello che propose Francesco d'Assisi e a cui il nuovo Papa esplicitamente ha deciso di richiamarsi - è fondamentalmente un ritorno alle origini. Un movimento quasi del tutto estraneo alla sensibilità moderna per la quale cambiare significa, unilateralmente, proiettarsi sul futuro.
Bergoglio viene dall'Argentina, un Paese che, negli ultimi 15 anni, ha attraversato una gravissima crisi economica. Con un'enorme disoccupazione, milioni di famiglie in difficoltà, il sovraffollamento delle villa miseria. E, come arcivescovo di Buenos Aires, Bergoglio ha scelto di stare sempre vicino al popolo, denunciando più volte gli eccessi di un'economia che dimentica l'uomo. Per questo, nei discorsi del nuovo Papa, alcune parole tornano così insistentemente: poveri, misericordia, custodia, speranza. Come a dire che c'è un punto di vista privilegiato da cui, come cristiani, occorre guardare la storia. Si dirà: ascoltare i poveri, fermarsi a parlare con loro, dire la messa nelle periferie non risolve i problemi sociali. Tuttavia, è oggi difficile non riconoscere che il partire dai bisogni delle persone può essere un antidoto alle derive disumanizzanti dei nostri potenti sistemi tecnico-economici. Indicandoci così una strada per affrontare i problemi della crisi che ci attanaglia.
Che un Papa proveniente da una storia difficile intercetti così facilmente la sensibilità diffusa anche in Europa dovrebbe farci riflettere: la sua naturale capacità di porsi dalla parte del popolo è come se avesse squarciato un velo. Tutti lo abbiamo sentito vicino. Sta di fatto che, nel mezzo della più grave crisi dal secondo dopoguerra, le parole di Francesco sono un invito a non rifuggire la sfida di questo tempo, che chiede di innovare modello economico e istituzioni politiche. Una volta che il coperchio di una finanza autoreferenziale è stato scoperchiato, è ogni giorno più irrealistico pensare di tornare a quel tipo di espansione accelerata e puramente quantitativa che ha preceduto il 2008. Al contrario, noi oggi sappiamo che l'uscita dalla crisi - cioè la nostra capacità di tornare a crescere - comporta rilegare, in modo nuovo, l'economia con la società.
Da questo punto di vista, lo sguardo di Francesco appare prezioso nella misura in cui, invitandoci a metterci dalla parte di chi è fragile, senza populismi, ci aiuta a rompere l'idea che sia immaginabile una crescita economica basata unicamente sulla potenza e perciò disinteressata alle persone e allo sviluppo sociale. Una tale separazione può funzionare per brevi periodi. Ma è destinata a rivelare la sua insostenibilità. In modo semplice ma non semplicistico, papa Francesco ci ricorda che senza attenzione al povero la nostra umanità si inaridisce. E quando ciò accade, non c'è giustizia. E senza giustizia - possiamo aggiungere - anche la crescita si blocca. Spiegando la scelta del nome, il vescovo di Roma ha detto che Francesco è il santo dei poveri, della pace, della cura del creato. Tre criteri necessari per ripensare e rilanciare il nostro modello di sviluppo.
Nei prossimi anni, uno dei nodi più importanti da sciogliere, tanto nei Paesi ricchi quanto in quelli emergenti, sarà il riequilibrio di una distribuzione dei redditi palesemente squilibrata. Nel momento in cui l'espansione finanziaria non può più darsi come si è data nel recente passato, potenziare la domanda che viene dai ceti popolari e dalle società meno ricche diventa inevitabile. D'altro canto, i segni di arresto, se non di arretramento, della globalizzazione fanno temere una guerra commerciale e valutaria, già tante volte anticamera di una guerra armata.
Infine, il tema della sostenibilità ambientale è, tanto per le imprese quanto per i consumatori, una priorità ormai acquisita, anche se stentiamo ancora a renderla una leva per la crescita. Si scopre così che, invitandoci a tenere i piedi piantati nella realtà degli uomini e delle loro comunità, le riflessioni di Francesco possono aiutare a trovare la strada del nostro futuro. Sembra un paradosso. In realtà, altro non è che uno dei segreti della storia occidentale: prendere sul serio la dignità di ogni persona umana, assumendola come vincolo per affrontare, in modo innovativo, i problemi della convivenza e del suo futuro. È per questo che, come ci dicono gli storici, i seguaci di san Francesco, già nel '400, segnarono i primi importanti passi per la nascita dell'economia moderna. Furono proprio loro, ad esempio, a istituire i Monti di pietà, embrioni delle future banche, per aiutare le famiglie che non avevano accesso al credito a un equo tasso d'interesse e per questo erano costrette a rivolgersi agli usurai e quindi destinate a precipitare in miseria. Partendo dall'idea che «quando in una città c'è un indigente, è l'intera città che si ammala», i francescani favorirono un impegno attivo nel combattere la povertà, capace di andare al di là della elemosina. Da allora, molta acqua è passata sotto i ponti. E tuttavia, anche oggi, l'invito di Francesco a cambiare il nostro modo di guardare il mondo può sostenerci nell'intraprendere quella nuova strada che, ormai da qualche anno, stiamo invano cercando.
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