grandi sconvolgimenti politico-ideologici sono appena iniziati. Nel suo ultimo, monumentale, libro Capitale e ideologia (La Nave di Teseo, pp. 1200, euro 25, traduzione di Lorenzo Matteoli e Andrea Terranova), Thomas Piketty li osserva a partire da un’idea-guida contro le vecchie e le nuove disuguaglianze che saranno prodotte dalla crisi innescata dalla pandemia del Covid-19. L’economista francese parla di un «socialismo partecipativo» il cui obiettivo è realizzare una trasformazione radicale del modo di produzione capitalistico e del suo regime della proprietà che andrebbe trasformato in una «proprietà sociale e temporale che può richiedere anche una riforma costituzionale». In questa prospettiva il ritorno molto chiacchierato dello Stato sulla scena assume una precisa connotazione politica.
Ad avviso di Piketty si tratta di trasformare il vecchio stato sociale ristabilendo una tassazione equa e un regime finanziario internazionale affinché i più ricchi e le grandi imprese possano contribuire quanto necessario. A questo ripensamento è collegata anche una nuova regolamentazione globale per garantire la sostenibilità sociale ed ecologica. «Va da sé – precisa Piketty – che una simile trasformazione richiede molti ripensamenti. Ad esempio, il presidente francese Macron e quello americano Trump sono pronti ad annullare le donazioni fiscali ai più ricchi decise all’inizio del loro mandato?».
Nei primi mesi della nuova crisi lo Stato è stato usato in tutto il mondo come un assicuratore contro i danni della pandemia alla salute, alle imprese e ai lavoratori anche autonomi. È sufficiente per ridurre le disuguaglianze del passato e altre che si verificheranno domani?
La crisi sociale ed economica innescata dall’emergenza sanitaria mondiale dimostra la violenza delle disuguaglianze sociali e la necessità di cambiare il sistema economico. Le assicurazioni sociali possono contribuire ad attutire lo shock, e la loro assenza può esacerbare la crisi, come sta accadendo oggi negli Stati Uniti. Ma non basteranno: l’intero modello economico deve essere ripensato, in modo più equo e sostenibile.
La crisi sociale ed economica innescata dall’emergenza sanitaria mondiale dimostra la violenza delle disuguaglianze sociali e la necessità di cambiare il sistema economico. Le assicurazioni sociali possono contribuire ad attutire lo shock, e la loro assenza può esacerbare la crisi, come sta accadendo oggi negli Stati Uniti. Ma non basteranno: l’intero modello economico deve essere ripensato, in modo più equo e sostenibile.
Perché ritiene necessaria una riforma fiscale progressiva delle imposte sul reddito e sul patrimonio?
La tassazione progressiva è una delle istituzioni che hanno contribuito a ridurre le disuguaglianze nelle società ricche nel corso del XX secolo, garantendo al contempo la loro prosperità. Negli Stati Uniti, l’aliquota fiscale applicata ai redditi più alti è stata in media dell’82% tra il 1930 e il 1980, e questo non ha impedito la prosperità, anzi. Negli anni Ottanta, Reagan ha aumentato il tasso a oltre il 28% nella speranza di stimolare l’innovazione e la crescita. Di conseguenza, la disuguaglianza è esplosa, i miliardari hanno prosperato. E la crescita si è dimezzata: 1,1% all’anno di crescita del reddito nazionale pro capite tra il 1990 e il 2020, contro il 2,2% tra il 1950 e il 1990 e il 2,1% tra il 1910 e il 1950. Storicamente, la prosperità è venuta dall’istruzione e dall’uguaglianza, non da una ricerca sfrenata di disuguaglianza e di esaurimento delle risorse. Nel mio libro propongo di fare un bilancio della storia della progressività fiscale e di andare in questa direzione, sia a livello nazionale che europeo, permettendo ai paesi che lo desiderano di votare a maggioranza per un supplemento di progressività fiscale europea su redditi e ricchezze molto elevati.
La tassazione progressiva è una delle istituzioni che hanno contribuito a ridurre le disuguaglianze nelle società ricche nel corso del XX secolo, garantendo al contempo la loro prosperità. Negli Stati Uniti, l’aliquota fiscale applicata ai redditi più alti è stata in media dell’82% tra il 1930 e il 1980, e questo non ha impedito la prosperità, anzi. Negli anni Ottanta, Reagan ha aumentato il tasso a oltre il 28% nella speranza di stimolare l’innovazione e la crescita. Di conseguenza, la disuguaglianza è esplosa, i miliardari hanno prosperato. E la crescita si è dimezzata: 1,1% all’anno di crescita del reddito nazionale pro capite tra il 1990 e il 2020, contro il 2,2% tra il 1950 e il 1990 e il 2,1% tra il 1910 e il 1950. Storicamente, la prosperità è venuta dall’istruzione e dall’uguaglianza, non da una ricerca sfrenata di disuguaglianza e di esaurimento delle risorse. Nel mio libro propongo di fare un bilancio della storia della progressività fiscale e di andare in questa direzione, sia a livello nazionale che europeo, permettendo ai paesi che lo desiderano di votare a maggioranza per un supplemento di progressività fiscale europea su redditi e ricchezze molto elevati.
Lei parla anche di «un’eredità per tutti di 120mila euro» e dell’istituzione di un reddito di base. Come costruire un’alleanza capace di sostenere la lotta politica che sarà necessaria per costruire il «socialismo partecipativo»?
Per cominciare, penso che sia importante parlare del sistema economico che vogliamo. Dopo la caduta del comunismo, abbiamo smesso di pensare a un altro sistema. Ma questo è essenziale oggi se vogliamo uscire dalle diseguaglianze sociali e climatiche prodotte dall’ipercapitalismo. Il «socialismo partecipativo» che sostengo poggia su tre pilastri essenziali: la giustizia educativa, che è reale e verificabile; la condivisione del potere attraverso nuovi diritti di voto per i dipendenti delle imprese; e la circolazione permanente della ricchezza, con la tassa progressiva sul patrimonio e sulle successioni. Attualmente, in Italia o in Francia, il 50% più povero detiene appena il 5% del patrimonio immobiliare, finanziario e professionale totale, contro quasi il 60% per il 10% più ricco e quasi il 25% per l’1% più ricco.
Per cominciare, penso che sia importante parlare del sistema economico che vogliamo. Dopo la caduta del comunismo, abbiamo smesso di pensare a un altro sistema. Ma questo è essenziale oggi se vogliamo uscire dalle diseguaglianze sociali e climatiche prodotte dall’ipercapitalismo. Il «socialismo partecipativo» che sostengo poggia su tre pilastri essenziali: la giustizia educativa, che è reale e verificabile; la condivisione del potere attraverso nuovi diritti di voto per i dipendenti delle imprese; e la circolazione permanente della ricchezza, con la tassa progressiva sul patrimonio e sulle successioni. Attualmente, in Italia o in Francia, il 50% più povero detiene appena il 5% del patrimonio immobiliare, finanziario e professionale totale, contro quasi il 60% per il 10% più ricco e quasi il 25% per l’1% più ricco.
Dopo il crollo drammatico di tutte le economie, dovremo aspettare la crescita e la ripresa delle forze di mercato per realizzare una riforma fiscale davvero equa?
Se fosse stato sufficiente questo approccio, l’avremmo visto molto tempo fa. Bisogna agire subito. Non c’è nulla di radicale nel sistema che propongo: chi non eredita nulla (attualmente il 50% più povero) riceverebbe 120mila euro, e chi eredita un milione di euro riceverebbe comunque 600mila euro.
Se fosse stato sufficiente questo approccio, l’avremmo visto molto tempo fa. Bisogna agire subito. Non c’è nulla di radicale nel sistema che propongo: chi non eredita nulla (attualmente il 50% più povero) riceverebbe 120mila euro, e chi eredita un milione di euro riceverebbe comunque 600mila euro.
Considerando il livello dell’ingiustizia sociale, ritiene che sia sufficiente?
Se vuole la mia opinione, potremmo andare anche oltre. I partiti socialdemocratici hanno perso l’elettorato popolare perché hanno abbandonato ogni ambizione di ridistribuzione.
Se vuole la mia opinione, potremmo andare anche oltre. I partiti socialdemocratici hanno perso l’elettorato popolare perché hanno abbandonato ogni ambizione di ridistribuzione.
Ha criticato il piano di ripresa di Angela Merkel ed Emmanuel Macron perché è sottofinanziato e perché non prevede una democratizzazione della politica europea. Questi problemi sono stati risolti dal «Recovery Fund» proposto dalla Commissione Europea?
No, perché resta il problema democratico di fondo. Dobbiamo allontanarci dalla regola dell’unanimità e dall’opacità. Continuiamo ad operare con i Consigli europei che decidono a porte chiuse e spesso attraverso negoziazioni segrete. Ciò causerà enormi problemi nel concordare l’ammontare dei prestiti, la natura delle spese autorizzate e le tasse comuni da mettere in atto. Dobbiamo creare un’assemblea europea, come l’assemblea parlamentare franco-tedesca creata l’anno scorso, in cui si possano prendere decisioni a maggioranza per decidere il livello del piano di risanamento, il suo utilizzo, le tasse comuni sui più ricchi.
No, perché resta il problema democratico di fondo. Dobbiamo allontanarci dalla regola dell’unanimità e dall’opacità. Continuiamo ad operare con i Consigli europei che decidono a porte chiuse e spesso attraverso negoziazioni segrete. Ciò causerà enormi problemi nel concordare l’ammontare dei prestiti, la natura delle spese autorizzate e le tasse comuni da mettere in atto. Dobbiamo creare un’assemblea europea, come l’assemblea parlamentare franco-tedesca creata l’anno scorso, in cui si possano prendere decisioni a maggioranza per decidere il livello del piano di risanamento, il suo utilizzo, le tasse comuni sui più ricchi.
Esiste una maggioranza nei governi che può sostenere questa ipotesi?
Con Italia, Francia e Spagna, c’è ora una maggioranza per un piano di ripresa molto più ambizioso. Se questi tre paesi dovessero proporre una simile assemblea, la Germania finirebbe per accettare questa prospettiva, e gli altri paesi si unirebbero gradualmente. Se invece restiamo bloccati alla regola dell’unanimità, c’è il grande rischio di aumentare la sfiducia e la frustrazione. È tempo che l’Europa abbia fiducia nella democrazia.
Con Italia, Francia e Spagna, c’è ora una maggioranza per un piano di ripresa molto più ambizioso. Se questi tre paesi dovessero proporre una simile assemblea, la Germania finirebbe per accettare questa prospettiva, e gli altri paesi si unirebbero gradualmente. Se invece restiamo bloccati alla regola dell’unanimità, c’è il grande rischio di aumentare la sfiducia e la frustrazione. È tempo che l’Europa abbia fiducia nella democrazia.
La trasformazione da lei auspicata non ha avuto luogo dopo la crisi del 2008. Perché dovrebbe avvenire nel 2020?
La crisi del 2008 è stata risolta stampando un sacco di soldi per salvare banche e banchieri. Il bilancio della Banca Centrale Europea è passato dal 10% del Pil prima della crisi a oltre il 40% del Pil. Questa politica ha evitato una depressione generalizzata, ma ha anche portato ad un aumento dei prezzi delle proprietà e delle borse e all’arricchimento dei più ricchi, senza risolvere i problemi fondamentali dell’economia reale (mancanza di investimenti, aumento delle disuguaglianze, cambiamento climatico). Se oggi non siamo in grado di dimostrare all’opinione pubblica europea che possiamo mobilitare almeno altrettante risorse per combattere il Covid-19 e mettere in piedi un altro modello di sviluppo, allora corriamo il rischio di un divorzio drammatico e potenzialmente fatale per la costruzione dell’Europa.
La crisi del 2008 è stata risolta stampando un sacco di soldi per salvare banche e banchieri. Il bilancio della Banca Centrale Europea è passato dal 10% del Pil prima della crisi a oltre il 40% del Pil. Questa politica ha evitato una depressione generalizzata, ma ha anche portato ad un aumento dei prezzi delle proprietà e delle borse e all’arricchimento dei più ricchi, senza risolvere i problemi fondamentali dell’economia reale (mancanza di investimenti, aumento delle disuguaglianze, cambiamento climatico). Se oggi non siamo in grado di dimostrare all’opinione pubblica europea che possiamo mobilitare almeno altrettante risorse per combattere il Covid-19 e mettere in piedi un altro modello di sviluppo, allora corriamo il rischio di un divorzio drammatico e potenzialmente fatale per la costruzione dell’Europa.
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