Inevitabile: dopo il robot operaio e quello chirurgo, TurboTax che ti fa la dichiarazione dei redditi al posto del fiscalista e i giornali Usa che cominciano a far scrivere gli articoli meno complessi a una macchina, arriva anche «robolawyer», l’avvocato-robot. Mentre Trump continua a suonare la grancassa del rilancio dell’occupazione ingiungendo alle industrie che hanno costruito fabbriche all’estero di riportarle negli Usa senza preoccuparsi se i vecchi impianti da duemila operai vengono rimpiazzati da nuove fabbriche automatiche con un centinaio di addetti, l’onda lunga dell’impatto della tecnologia sul mercato del lavoro raggiunge anche i suoi professionisti preferiti: gli avvocati.
Sono loro i personaggi di cui il miliardario diventato presidente ama circondarsi: ora come prima, quando da imprenditore li usava per blindare i suoi accordi d’affari o minimizzare le tasse da pagare al Fisco. Sono in molti a gioire per i bollettini di vittoria della Casa Bianca: elenchi di aziende che accettano di tornare a produrre negli Usa. Ma Trump (e con lui gran parte della classe politica, negli Usa e in Europa) preferisce ignorare il nodo angoscioso del numero crescente di lavori in cui le macchine possono sostituire l’uomo senza perdite di qualità e a basso costo.
Progressi che, liberando dalla fatica, sono di certo un’opportunità, ma che, non gestiti, diventano problemi assai seri. Soluzioni facili non ce ne sono: il reddito di cittadinanza che le sinistre europee vorrebbero dare a chi perde il lavoro è un tampone costosissimo e provvisorio. Ma non si può nemmeno accantonare il problema nell’attesa che nascano nuovi mestieri, come avvenuto più volte in passato: l’attesa dura da almeno 15 anni mentre i progressi dell’intelligenza artificiale accelerano la diffusione dell’automazione. Si temono rivolte in un mondo senza più tassisti né camionisti, ma, benché meno visibile, è ben più profondo l’impatto delle tecnologie che invadono le professioni intellettuali: i computer che già leggono ecografie e risonanze magnetiche, «Watson» di Ibm che diagnostica un cancro meglio dell’oncologo. E, ora, «Ross», il computer già «assunto» da grandi studi legali Usa che svolge le ricerche necessarie per preparare un caso. E LexMachina un software basato sul linguaggio naturale e sui casi simili già discussi da tutti i tribunali, che formula gli argomenti da sostenere nel dibattito davanti alla corte.
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